L'importante è scritto nella Pietra

Il Romanico nel Ticino. Mostra nel ricordo del fotografo Vincenzo Vicari

Biasca, Casa Pellanda ‑ dal 21 agosto al 15 settembre 2007

a cura di Silvano Calanca e di Valerio De Giovanetti

Dalla brochure della ventesima edizione di "Cantar di pietre", colonne dalle chiese romaniche della Svizzera italiana

Sono passati pochi mesi dalla scomparsa di uno dei più grandi pionieri ticinesi della fotografia. E il pensiero corre a molti anni fa quando, per la quarta edizione della nostra Rassegna allestimmo, nelle sale di Casa Cavalier Pellanda a Biasca, la mostra della sua ricerca sul Romanico in Ticino. Fu uno di quegli incontri che, nella vita, lasciano il segno, che stimolano ad approfondire la conoscenza personale e l’opera di un artista. E con Vincenzo Vicari nacque anche una profonda amicizia, legata anche all’amore per la nostra terra, amore che in Lui si era tradotto in arte riprendendo con i suoi "scatti" paesaggi, ambienti di lavoro, persone e personaggi in momenti di gioia o di dolore…

Fu un interprete degli avvenimenti più importanti del nostro ‘900, dei cambiamenti sociali e del territorio, pioniere anche della foto aerea scoprendo così un Ticino anche dall’alto. Il Romanico lo affascinò in modo particolare. Già nel 1991 dissi: «Giuseppe Biscossa l’ha definito "Ladro d’anime", Romano Amerio "Lo scopritore della luce". Io lo definirei semplicemente l’uomo che si avvicina con grande amore agli uomini e alle cose della sua terra. E la mostra sul Romanico ce lo dimostra. Vicari è stato ed è attento osservatore dei nostri monumenti. Immagini stupende che ci permettono di scoprire eccezionali valori artistici nascosti negli angoli più impensati delle costruzioni, valori che sfuggono al nostro sguardo quasi sempre frettoloso. Un lavoro di ricerca, il suo, durato anni e anni, con chissà quanti ritorni sullo stesso luogo per riuscire a captare – non sempre il momento è opportuno – quei contrasti di luce e ombre, veri capolavori del suo senso artistico».

In un’intervista con Biscossa ebbe a dire : «Sempre, girando per il Ticino, avevo ammirato e fotografato i monumenti romanici. Erano, sono un tratto caratteristico del suo volto, un elemento determinante della sua bellezza. Ma era un po’ come per le vette delle montagne, per le cascate, i laghi. Ci sono, si vedono, si godono senza problemi. Poi, nel 1936, andai a San Vigilio di Rovio con un profugo catalano, acuto conoscitore del Romanico in Spagna. Davanti alla chiesa sul poggio, ci trovammo con uno dei nostri più agguerriti specialisti in storia dell’arte, don Agostino Robertini. Tra i due s’accese una discussione tanto infervorata da sembrare quasi una contesa. Mi resi conto che il Romanico è tutt’un mondo, con la sua vita, le sue oscurità, i suoi misteri. Da allora sono andato seguendola, con la macchina fotografica, quella vita appassionante». Appassionante perché questi monumenti furono edificati da quei maestri comacini che, nell’anonimato, hanno caratterizzato, democratizzando l’arte religiosa, i secoli del Romanico in tutta Europa. Appassionante perché nell’arte muraria – le superbe torri campanarie (indissociabili elementi del paesaggio, che hanno permesso alla fertile immaginazione dei costruttori di esprimersi con libertà creativa) e le stupende facciate di certi edifici –, nella scultura, nella pittura vi è la storia popolare di un’epoca di rinnovamento e in espansione.

«Le genre humain n’a rien pensé d’important qu’il ne l’ait écrit en pierre». Sono parole di Victor Hugo. E Vicari ce lo dimostra nelle sue fotografie. Vedute d’assieme, campanili, pietre angolari, conci, archetti, lesene, monofore, bifore, colonne, capitelli…, sorprendenti ornamenti floreali, visi, bestiari, demoni e santi. Ora un sorriso, ora la sofferenza, più oltre il grottesco. Fotografie che suscitano emozioni profonde, sensazioni insolite, filtrate – come sono – dall’occhio artistico. Vicari ha saputo rendere, anche attraverso particolari minimi, il senso intimo delle cose. La sua opera risponde e risponderà alle esigenze degli studiosi di un’epoca che ha, senza alcun dubbio, fortemente caratterizzato il nostro Ticino.

Riproponendo, oggi, le sue stupende immagini vogliamo dirgli ancora una volta il grazie per quel suo signorile rapporto culturale che ebbe con il nostro Comitato.