A Napoli c'era Sylvie Guillem…
Napoli, Teatro San Carlo, 8 luglio 2007
Sylvie Guillem in prova dello spettacolo Push al Teatro San
Carlo di Napoli, 8 luglio 2007.
© Foto Alessio Buccafusca
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Luci a mezza sala.
Un silenzio adrenalinico invade la platea del San Carlo.
L'attesa dura ancora qualche secondo.
Buio, finalmente.
"Buon viaggio", sussurra timida e trepidante una
voce in platea.
I due sfarzosi drappi rubini scorrono lentamente e a poco a
poco una luce fioca illumina la scena.
L'americana, tirata giù a pochi metri dal palco, illumina e
ritaglia una superficie quadrangolare.
È lo spazio del primo Solo.
Mentre lo sguardo si districa tra le deboli luci di una
scena scarna e minimale, silenziosa, un'ombra bianca si prepara sulla scena. Il
suo braccio avvia una morbida circonduzione quando, carico e brioso, irrompe il
ritmo andaluso della chitarra di Carlos Montoya.
Con armonia e leggerezza di Paradisea, Sylvie Guillem
cattura ogni sguardo e ogni energia, e attraverso la sua danza dà ritmo nuovo
alle corde del musicista spagnolo.
L'abito bianco accentua la flessuosità sinuosa del suo corpo
accompagnandone l'eleganza antropomorfa delle movenze: Grazia e Bellezza questa
volta non sono sufficienti a definire l'apnea estatica creata da questa prima
performance.
Tant'è: il fragoroso applauso finale è quasi catartico.
Tecnico e pacato, invece, l'inizio di Shift, l'assolo
di Maliphant dotato di forza e concentrazione implosivi.
Il tessuto coreografico (sulle musiche di Shirley Thomson)
sviluppa l'idea del dialogo dell'uomo con le sue ombre; l'enigma, dunque, di
una ricerca continua che, pur utilizzando un espediente scenografico piuttosto
convenzionale, così sapientemente costruito, produce un effetto di fascino
innegabile.
Segue il secondo assolo dell'étoile francese, questa volta
felino e totemico.
Scapole e braccia si torcono in figure serpentine, le dita ‑
sempre vive ‑ accompagnano pose ferine e sensuali, scatti improvvisi e
delicate contrazioni rapiscono e incantano anche lo sguardo dello spettatore
più sprovveduto: illuminata da un cono di luce algida, sulle note di Andy
Cowton, l'energia della Guillem ha dell'inumano.
L'attesa adesso è per Push, quarantacinque minuti di pas
de deux che Maliphant ci ha riservato, però, per il secondo atto.
Durante l'intervallo, il Foyer si affolla di personaggi noti
e meno noti della danza italiana e partenopea: il pluriautografato Picone, la
statuaria Patrizia Manieri, il fotografo Buccafusca, i solisti della Scuola di
Ballo del Teatro San Carlo fino ad arrivare alla numerosa schiera di
allievi-aspiranti-ballerini provenienti dalle scuole di danza di Napoli e
provincia.
L'atmosfera è di consenso ed entusiasmo generale; qualche
futile recriminazione qua e là dettata, forse, dall'insipienza; intanto i venti
minuti di intervallo sono passati e si ritorna seduti.
Dolore, tenerezza, forza, unione, abbandono. Push è
un emozionante avvicendarsi di tensioni e sentimenti che arrivano dritti allo
stomaco senza passare per le logiche regioni della mente.
Il lavoro coreografico del ballerino canadese Russell
Maliphant, costruito attraverso un perpetuo e itinerante scambio di pesi,
spinte, riesce finalmente a comunicare attraverso il corpo senza l'aiuto di
desueti feticci simbolici, trame narrative o vecchi cimeli da repertorio.
La Guillem e Maliphant procedono in un'unità perfetta sulle
note di Cowton; i loro corpi si intrecciano e si sciolgono continuamente,
sfidando le leggi gravitazionali e la sostenibilità stessa del respiro.
Inconsueti cambi di peso creano figure avvolgenti: torsioni
continue, slanci improvvisi e cadute senza mai rumore alcuno.
Solo un respiro, l'ultimo, la fine, a sancire la separazione
definitiva.
Così finisce il "viaggio", tra incredulità e
soddisfazione estatica.
Sylvie Guillem, stella internazionale della danza classica e
contemporanea, francese per la prima volta a Napoli all'età di quarantadue
anni, fa quindi ritorno in patria, silenziosa, come il suo incedere sulla
scena.
Cosa le rimarrà della nostra città? Gli applausi di un
pubblico affettuoso anche se esiguo e un avvertimento, quello "di non
passeggiare per la città con il suo Rolex". Magra soddisfazione.
Lo scorso gennaio, il suo Bolero a Milano aveva
paralizzato l'intera città per una settimana, e "La Scala" dichiarava
il "tutto esaurito" già a due mesi dalla prima.
L'intera élite milanese si era riversata per l'evento
insieme con il vasto stuolo di sindaci, assessori, ministri e addetti ai
lavori.
A Napoli, invece, per un evento simile ma in data unica,
poltrone vuote, programmi di sala scadenti e qualche articolo di fondo sulle
pagina culturali cittadine.
Eppure lui è "un coreografo e un interprete di immenso
talento" (The Times), lei la "più grande ballerina della sua
generazione" (The Guardian).
Erano al San Carlo di Napoli. La città non se n'è accorta…
Per gentile concessione dell'Autrice. L'articolo è stato
pubblicato nel sito della Fondazione
Premio Napoli