Uno scatto ai Berliner Philarmoniker di Alessio Buccafusca

"Mi getto a capofitto / nel silenzio d'un teatro."

È questo un incipit da apprendistato: l'incipit di una poesia che scrissi verso i quindici anni e che mi è tornato nitido alla mente qualche giorno fa, quando ‑ cioè ‑ ho visto lo scatto che Alessio Buccafusca dedicò nel 2002 ad una delle prove di Claudio Abbado alla testa dei Berliner Philarmoniker, presso il napoletanissimo teatro San Carlo. Scatto che conclude Trent'anni di foto di danza, il catalogo pubblicato in occasione della mostra personale svoltasi nell'aprile 2007 presso l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid (la personale verrà replicata a Napoli, con inaugurazione il 5 luglio, dove rimarrà aperta fino al 2 settembre).

Di questo scatto ho parlato con Alessio Buccafusca giusto ieri sera. La sua voce riempiva affabilmente la cornetta telefonica, rispondendo alla mia, che ‑ nella medesima cornetta ‑ cercava posto: era cogente, infatti, il bisogno di raccontargli il fascino che in me ha provocato quella sua opera. Con essa egli non ha voluto compiere l'atto di documentazione d'un momento d'arte, ma ha voluto entrare prepotentemente nell'arte stessa per interpretarla, divenendone quasi protagonista, affinché la misteriosa presenza di lui in seno alla massa orchestrale si storicizzasse. Del resto il fotografo che vede e riproduce, parla – sotto sotto – (anche) di sé, perché prepotente è la Weltanschauung che lo porta a vedere ciò che vede e come lo vede.

Se non apparissi irriverente nella mia autoreferenzialità, direi che Buccafusca ha scelto il momento meno silente di un teatro per gettarvisi a capofitto: quello in cui le voci dell'orchestra si alzano per intrecciare discorsi.

"Que l'importance soit dans ton regard et non pas dans la chose regardée", ammonisce André Gide. Piegherei volentieri le implicazioni morali di queste parole al mestiere di fotografo. E, parlando di Buccafusca, affermo che l'importanza è nel suo sguardo perché è dietro di esso che egli profondamente vive e sente. Alessio pulsa nella fotografia dell'orchestra in prova. Alessio c'è. Risulta celato all'obiettivo perché per forza di cose deve stargli dietro; eppure sentiamo che in qualche modo lui si trova contemporaneamente anche nella massa orchestrale. Lui c'è, ma ha voluto contraffare se stesso, nascondendosi nella frastagliatura della musica.