Sulla bellezza (nella natura, nell'arte, nell'uomo) di Vladimir
Sergeevič Solov'ëv
Introduzione e traduzione di Adriano Dell'Asta
Edilibri, 2006
Vladimir Sergeevič Solov'ëv. 1
Le sue opere. 1
Il curatore e traduttore di Sulla
bellezza. 1
Solov'ëv: pensatore non organico e
contraddittorio?. 1
Le prodromiche concezioni
spirituali di Solov'ëv. 2
Sulla bellezza (nella natura,
nell'arte, nell'uomo) 2
Appunti per una quotidianizzazione
delle meditazioni solovieviane. 3
Vladimir Sergeevič Solov'ëv nasce nel 1853 a Mosca e
muore nel 1900 a Uzkoje, vicino a Mosca.
È considerato il più importante pensatore russo, teologo
sommo e precursore del simbolismo. Egli è inoltre poeta. Nel suo sistema
filosofico sono già presenti tutte le idee che saranno all’origine della
rinascita spirituale russa dell’inizio del Novecento.
Con il ritorno della libertà religiosa nei Paesi dell’Europa
orientale, Solov'ëv attrasse nuovamente su di sé l'attenzione.
Papa Giovanni Paolo II, nell'enciclica Fides et ratio del 1998, citò il pensatore russo
come uno degli "esempi significativi di un cammino di ricerca filosofica
che ha tratto considerevoli vantaggi dal confronto con i dati della fede."
Affermò quindi: "L'attenzione all'itinerario spirituale di questi maestri
non potrà che giovare al progresso nella ricerca della verità e nell'utilizzo a
servizio dell'uomo dei risultati conseguiti."
Anche nell'Angelus dell'Anno giubilare, il Papa ricordò Solov'ëv come
una "personalità russa di straordinaria profondità, che con grande
chiarezza avvertì anche il dramma della divisione fra i cristiani e l'urgente
necessità della loro unità".
L'edizione italiana delle sue opere è curata da La Casa di
Matriona. Fino ad oggi sono usciti cinque volumi: Il significato dell'amore
e altri scritti, La crisi della filosofia occidentale e altri scritti,
La Russia e la Chiesa universale, La conoscenza integrale, Islam
ed ebraismo.
Alcune opere di Solov'ëv sono state anche tradotte da altre
Case editrici italiane tra cui segnalo Jaca Book (Sulla divinoumanità e
altri scritti, Il problema dell'ecumenismo), Giappichelli (Filosofia
teoretica) e Vita e Pensiero (I tre dialoghi e il racconto
dell'anticristo).
Edilibri
ha pubblicato nel 2003 Il significato dell'amore e nel 2006 Sulla
bellezza (nella natura, nell'arte, nell'uomo).
Adriano Dell’Asta, docente di Lingua e Letteratura Russa
dell’Università Cattolica, è curatore e traduttore delle opere di Solov’ëv
pubblicate da La Casa di Matriona (Russia Cristiana).
Per Edilibri ha tradotto anche Il significato dell'amore.
Sulla bellezza (nella natura, nell'arte, nell'uomo)
raccoglie in volume tre scritti: La bellezza nella natura (1889), Il
significato universale dell'arte (1890), Il primo passo verso
un'estetica positiva (1894).
La scelta di riunire in un unico volume i tre lavori poggia
sull'idea che era ad una loro risistemazione che Solov'ëv verosimilmente
pensava quando annunciò la preparazione di un'opera (anzi, essa era "per
metà già pronta", affermò lo stesso Solov'ëv) esplicitamente estetica.
Questa è l'ipotesi formulata da Adriano Dell'Asta, nell'Introduzione
de Sulla bellezza. Il quale continua illustrando ‑ e
successivamente confutando ‑ la posizione di "detrattori" di
Solov'ëv quali K. Močul'skij.
Nel pensatore russo ‑ sostiene Močul'skij ‑
è presente una sorta di cesura che contrappone nettamente il pensiero del
periodo teocratico solovieviano a quello del periodo dedicato alla creazione
dell'estetica, intesa come strumento per l'incarnazione dell'idea unitotale
del mondo. Solov'ëv si sarebbe cioè staccato dalla mistica ecclesiale propria
del suo periodo teocratico, durante il quale aveva "legato" l'arte
con i sacramenti, per prendere ‑ nel periodo degli scritti estetici ‑
le difese di un'arte autonoma. La credenza mai abbandonata da Solov'ëv è quella
di individuare "lo scopo del processo mondiale [nella] reale
trasfigurazione del mondo" e di stabilire che "in quest'opera
l'umanità [ha] un ruolo creativo". Ma mentre nel periodo teocratico ‑
continua Močul'skij ‑ il filosofo moscovita sostiene che
"l'umanità trasfigura il mondo attraverso la forza cosmica dei sacramenti
della Chiesa" e l'arte mondana non trova posto alcuno, "negli
articoli estetici […] egli difende l'autonomia dell'arte, senza neppure far
menzione della Chiesa e dei sacramenti."
Dell'Asta confuta, dicevo, questa posizione, sostenendo che
l'intrinsecità del rapporto tra la filosofia e la fede non
implica assolutamente […] la scomparsa delle specificità filosofiche e il loro
nascondimento dietro una cortina teologica ma anzi richiede tali specificità
così che l'assenza di un discorso esplicito sui sacramenti nei testi di
estetica, lungi dal confermare un distacco dalla fede o una divisione che
intaccherebbe un organismo unitario […] non fa che riaffermare, pur all'interno
di un'unità che non viene mai meno, una corretta distinzione di campi.
Per quanto, poi, attiene all'autonomia dell'arte, essa ‑
ricorda Dell'Asta ‑ appare legittimata addirittura alla luce di quanto Solov'ëv
stesso scrive in Tre discorsi in memoria di Dostoevskij:
L'arte, dopo essersi isolata e separata dalla religione […]
deve inaugurare con essa un nuovo e libero legame. Gli artisti e i poeti
debbono tornare ad essere sacerdoti e profeti, ma ormai in un altro senso ancor
più importante ed elevato: non solo dovrà dominarli un'idea religiosa, ma loro
stessi dovranno dominarla e presiedere coscientemente alle sue incarnazioni
terrene, L'arte del futuro, che dopo lunghe prove tornerà spontaneamente
alla religione, sarà ben lontana da quell'arte primitiva che non si era ancora
distinta dalla religione […].
Già da questa introduzione appaiono chiari alcuni fondamenti
del pensiero di Solov'ëv.
Innanzitutto la concezione spirituale dell'unitotalità, la
cui definizione ho dato citando lo stesso Solov'ëv.
Subito dopo la concezione di un'arte libera, che sicuramente
non sposa l'idea di arte per l'arte ma che si pone criticamente anche nei
confronti dell'idea di arte per la vita; un'arte ‑ insomma ‑ la cui
autonomia è legittimata solo se concepita alla luce dell'unitotalità.
Infine la concezione della divinoumanità intesa come la
spiritualizzazione dell'essere umano.
Sono soprattutto i concetti di unitotalità e di divinoumanità
a dover essere considerati prodromi di quell'unità ecumenica dei cristiani
tanto auspicata da Solov'ëv. Ne Il primo passo verso un'estetica positiva
egli giunge infatti ad esporre l'analogia tra la storia locale e quella
universale, indicando così la chiave di volta:
La storia locale mostra come, qui o là, per vie difficili,
complicate e non di rado traverse, le varie regioni della terra si siano sempre
unite attorno a capi popolari e come a poco a poco sia cresciuta e si sia
sviluppata la coscienza nazionale. Ma anche la storia universale ci mostra come
per vie ancor più difficili e complicate tutta la terra e tutta
l'umanità si riuniscano attorno al centro invisibile ma possente della cultura
cristiana e come, nonostante tutti gli ostacoli, continui a crescere e a
irrobustirsi la coscienza dell'unità e della solidarietà universali.
Potrebbe sembrare eccessivo demandare la salvezza del mondo
alla bellezza, quando è ancora necessario salvare la bellezza stessa dai vari
esperimenti artistici e critici che cercano di sostituire al bello-ideale il
deforme-reale.
Incipit solovieviano che vale la pena citare per due motivi.
Primo: L'equilibrata ironia non fine a se stessa attrae d'un
subito il lettore...
Secondo: ... e lo invoglia a continuare nella lettura.
Il lettore di Sulla bellezza si trova perciò fin
dall'inizio "irrimediabilmente" in cammino sulla via di quella
disamina filosofica che, partendo dal primo saggio e attraversando gli altri
due,
mostra la bellezza come una forma concreta nella quale il vero e il buono si
realizzano. E tale realizzazione altro non rappresenta se non la realizzazione
stessa del processo cosmico, alla quale l'arte contribuisce. Arte non ‑
ovviamente ‑ da intendersi come "un vuoto divertimento" ma
nemmeno come "predica didattica". Arte, piuttosto, come "profezia
ispirata" d'un mondo futuro e quindi affidataria di un'"alta
missione […] [che] non è un'esigenza arbitraria".
Nonostante ci si trovi di fronte ad un saggio filosofico, Sulla
bellezza si fa leggere tutto d'un fiato, data l'assenza di un periodare
complesso e concettoso e la presenza dei molti esempi (soprattutto quelli
derivanti a Solov'ëv dai suoi studi di scienze naturali) che l'autore usa per
sostenere le proprie dimostrazioni.
Ritengo dunque che Sulla bellezza non metta in
soggezione i non addetti ai lavori, che si sentono invece guidati dallo stesso
Solov'ëv fino alla fine, riuscendo a mantenere vivo il proprio interesse e la
propria "curiosità" ‑ oserei dire ‑ di vedere come va
intellettualmente (ma prima ancora spiritualmente) a finire la storia della
realizzazione del mondo e dell'uomo attraverso la bellezza.
Se ci ponessimo alla ricerca di un'unica parola che
rappresenti (in un'operazione di ‑ ahimè ‑ radicale depauperamento,
giustificata tuttavia dalla volontà di nobilitare il quotidiano agire alla luce
delle meditazioni solovieviane) l'estrema sintesi del pensiero espresso dal
Moscovita in Sulla bellezza, approderemmo al termine solidarietà.
Oggigiorno, pensando a tale termine, la mente corre subito
al volontariato sociale. Dove, infatti, si trova solidarietà, nella sua
accezione letterale,
se non là dove vengono attuati progetti umanitari rivolti alle vittime di
qualche guerra o catastrofe naturale? O là dove i "meno fortunati" e
i "diversamente abili" vengono addirittura considerati ‑ nella
magnificazione del terenziano "homo sum" ‑ "non una
disgrazia ma una grazia"?
Addirittura esistono associazioni che perseguono scopi
culturali ed artistici ma che pongono il proprio fare arte e cultura anche al
servizio di progetti di solidarietà mondiale.
Recentemente, scrivendo la recensione di un evento musicale
organizzato da un'associazione culturale che si dedica anche a progetti di
solidarietà sociale, ho voluto alludere alle meditazioni solovieviane. Il
dialogo fra contenuti artistici e contenuti squisitamente umani, avvenuto la
sera dell'evento, infatti, mi ha portato a riflettere sul valore del vero e del
buono i quali ‑ solovievianamente parlando ‑ si realizzano nella forma concreta del
bello, in un processo cui contribuisce anche l'arte.
Arte, dunque, non certo per l'arte; arte, piuttosto, per la
vita ma nel senso che prepara alla vita e lo fa volendosi scevra di quel
disturbante narcisismo intellettuale che troppo spesso scopriamo conseguire
alla ed essere sostenuto dalla vacuità. La nostra società infatti pare afflitta
da un inesorabile parlare senza costrutto che va di pari passo con il vezzo di
far passare per arte ciò che neppure lontanamente le somiglia. È emblematico,
in tal senso, il già citato "è […] necessario salvare la bellezza stessa
dai vari esperimenti artistici e critici che cercano di sostituire al
bello-ideale il deforme-reale".
L'abitatore della nostra contemporaneità soffre dunque
sovente di due disturbi: vacuità e narcisismo. Se però egli cercasse sentieri
onesti e ‑ una volta individuatili ‑ continuasse a percorrerli
(ché, avvisa Betty Edwards, "se non si continua a percorrerli, i sentieri
possono chiudersi di nuovo"), allora non avrebbe bisogno di contrabbandare
come bellezza e arte i giocattoli-simbolo d'un potere che non possiede: il
potere, cioè, di trasformare se stesso in un epicentro delirante di giudizi che
ritiene giusti e quindi insindacabili, ma che derivano piuttosto dalla
coscienza (la quale egli riesce forse ad assopire, non certo a debellare) che
non si può riempire con il vuoto la vacuità. Ma quando l'uomo contemporaneo ‑
in un momento in cui la coscienza ha il sopravvento ‑ riesce almeno a
modulare il breve canto di questa sua pur momentanea presa di coscienza, allora
egli è dichiaratamente recuperabile:
So di voler colmare di vacuo
il vuoto
per non cedere
un potere che non ho.
La recuperabilità dell'uomo contemporaneo risulta tangibile.
Il vuoto, infatti, comincia a vacuare se stesso, scongiurando il pericolo del
risucchio: lasciando, cioè, spazio ad un'altra specie di vuoto: un vuoto che è
tale soltanto in apparenza, perché risulta subito chiaro che è possibile
colmarlo. E, in quanto possibile, l'azione del colmare diventa atto doveroso.
Colmare il vuoto assume allora il significato di riempire uno spazio in attesa
d'essere riempito a grado a grado da una certezza, da una sicurezza in cui il
crogiolarsi è balsamo: l'umano operato diviene strumento di lotta prima e
pietra miliare poi.
Non v'è certezza di stabilità, dunque, usando un potere che
non si ha e che mai conquista alcuna potrà procurare; la certezza deriva invece
dalla cosciente e tenace accettazione di se stessi in quanto uomini che
camminano accanto ad altri uomini con cui condividono necessariamente bisogni
materiali e spirituali. "Homo sum," l'ho ricordato sopra, "nihil
humani a me alienum puto."
Ecco dunque tradotta nei paradigmi della quotidianità la
profezia solvieviana d'un futuro per costruire il quale l'arte ha sostenuto la
bellezza; profezia che vale a confortare l'abitatore della nostra
contemporaneità: non qui ed ora si ottiene il risarcimento. Qui ed ora bisogna
lottare perché là e domani si possa ottenere la vittoria.