Intervista a Beatrice Cazzaniga, scultrice e docente universitaria

Beatrice Cazzaniga: Solitudine condivisa I dalla serie Solitudine.

Bronzo fusione a cera persa, cm34x50x10.

Per gentile concessione della scultrice

In occasione di una sua mostra in Italia ("Sulle orme della natura" a Palazzo Rezzonico di Barlassina) ho intervistato Beatrice Cazzaniga, scultrice d'origine italiana (lombarda, ad essere precisi, e brianzola, a voler specificare ulteriormente), che ora vive in Argentina dove, oltre a dedicarsi alla sua arte, è docente presso il laboratorio di scultura dell'università di Tucumán.

Lei: Beatrice, Beatriz, Bice, Bea. La chiamano o scrivono di lei usando un po' tutti questi appellativi. A me piace usare il secondo quando il fascino dell'altro capo del mondo si fa sentire e il primo quando voglio esaltare le sue radici italiane.

Ha uno sguardo che si posa con determinazione sulla persona che ha davanti, per inquadrarla. Ma non la cinge d'assedio: una volta assolto il compito va per altri lidi. Lei stessa, del resto, è così determinata, che non ha agio di soffermarsi: il tempo che scorre - inesorabile muscolo involontario - non deve dare scacco matto; l'ultima parola la vuole lei.

Con lei non si è di fronte a quei personaggi che amano rendersi preziosi e che si compiacciono nel rilasciare dichiarazioni. Ha accettato di buon grado che la intervistassi perché lei vuole dire la sua arte, parlare delle sue radici, raccontare dei suoi impegni artistici ed accademici. Ci tiene a far sapere. E non c'è bisogno di porle tante domande poiché è lei stessa a guidare l'interlocutore tra le proprie sculture, i cataloghi di mostre passate e le pubblicazioni che la riguardano.

Beatrice è un fiume: ti trovi trasportata senza neanche rendertene conto. Navighi, raccogli informazioni, guardi sculture e disegni, leggi i giudizi di qualche critico. Ogni tanto le chiedi qualcosa su cui ti interessa si soffermi. E poi, ad un certo momento, decidi che vuoi farti ascoltare da lei, comunicarle la tua fruizione della sua arte.

È curioso - a pensarci bene - che io abbia pensato alla metafora del fiume. Curioso perché, quando ci incontriamo, Beatrice non attende quasi la mia prima domanda e mi parla d'acqua e di fluire.

Beatrice, perché la tua mostra si intitola "Sulle orme della natura"?

Perché è una ricerca sull'uomo e sulla natura, sull'ecologia. Hai visto, ai piedi delle scale, la gigantografia del mare con la grossa pietra appesa ad una fune? Ecco, sto parlando di natura e di trasformazione: la pietra è ferma, rappresenta la solidità, rimane; il mare è il fluttuare, il cambiamento.

E in questa trasformazione, in questo mutamento, l'uomo che cosa fa?

Cerca la sua natura. Questa ricerca l'ho espressa ad esempio nelle sculture in cui si trovano le impronte delle mie mani: sono mani umane in forte contrasto con la natura selvaggia.

Possiamo dire che le impronte sono il simbolo dell'architettura umana tipica del paesaggio urbano (è sufficiente pensare alle città dell'hinterland milanese), mentre la natura quasi incontaminata è quella della tua seconda patria, l'Argentina?

Sì, certo.

Ora mi corre l'obbligo di domandarti come ti poni nei confronti delle tue due patrie.

Entrambe mi hanno dato e mi stanno dando qualcosa. Io sono nata in Brianza, a Barlassina, e a nove anni sono emigrata a Salta. La mia essenza mi lega a Barlassina, dalla quale ho appreso i valori fondamentali: volontà, onestà, responsabilità. Quello che impari nei primi dieci anni di vita ti resta per sempre. Ecco, queste sono le mie radici. Comunque io mi sento cittadina del mondo. Ho viaggiato tanto e in qualsiasi paese sia stata ho imparato e mi sono arricchita. Viaggiando conosci l'essenza dell'uomo e impari a comprendere i diversi stili di vita. E quando dico vita non alludo ad un concetto astratto: la vita è sempre calata in un contesto sociale e i valori che l'uomo ha dentro, li porta con sé in qualsiasi ambito si trovi ad operare.

In Argentina tu fai la scultrice e insegni alla Facultad de Artes dell’Universidad Nacional de Tucumán. Qual è la cosa più importante che cerchi di trasmettere ai tuoi allievi?

Innanzitutto il senso dell’arte e poi il valore di tutto ciò che circonda l’essere umano.

Quindi un essere - mi vien da dire - che trova la sua identità se non si discosta dall'orientamento valoriale costituito nei propri anni formativi, come tu stessa ricordavi sopra. A proposito di identità ti chiedo: quanto quest'ultima e l'appartenenza hanno a che spartire con la nostalgia?

Non parlerei di nostalgia perché, come ho detto, io mi sento cittadina del mondo: mi arricchisco sempre e ovunque mi trovi. Mi sento legata alla città nella quale sono nata, Barlassina, questo sì, non posso negarlo. Ma tale legame non si trasforma in nostalgia.

Devo dire che la tua arte non comunica a chi ne è fruitore un senso d'inquietudine profonda e senza meta, nonostante alcuni titoli: "L'uomo isolato", "L'uomo scomparso", "L'uomo invaso", "L'uomo corrotto", "Lettera aperta al predatore", "Zona di emergenza". Tutto pare infatti filtrato dalla certezza che l'essere umano, malgrado i molti errori commessi lungo il proprio cammino, sia portatore di valori non negativi. Inquadrerei dunque in questa tua Weltanschauung la mancanza di nostalgia come atteggiamento che rischia di perdere chi se ne lascia fiaccare. Ma torniamo alla tua attività accademica. So che attualmente ti stai dedicando ad un lavoro di grande impegno.

Sì, come direttrice dell'Istituto dell'Arte Americana e Regionale dell'Università di Tucumán mi dedico alla ricerca indirizzata alla conservazione e al restauro del patrimonio culturale ed artistico argentino. E quando dico conservazione e restauro, intendo scientifici. È infatti la prima volta che in Argentina si opera in modo scientifico grazie ad analisi, strumenti, test, campioni. Lavoriamo in collegamento con docenti dell'Istituto centrale del restauro di Roma, il quale fa capo alla Sovrintendenza dei Beni culturali. A giorni, infatti, mi recherò nella capitale.

Del restauro di quali opere ti occupi, in particolare?

Soprattutto di sculture in marmo e policrome. Voglio qui ricordare le sculture in marmo di Lola Mora, tra le quali il monumento a Juan Bautista Alberdi, e un Cristo policromo della Scuola di Potosí, in Bolivia.