Forno chiama cuoca

Si era guastato il forno a gas, perciò la vecchia signora Sola era stata costretta a ordinarne uno nel negozio tutto vetrine, cromature e luci avveniristiche che le avevano assicurato essere il migliore della cittadina.

Era stata proprio costretta a sostituire la cucina con annesso forno, sebbene non amasse cucinare né per sé né per gli altri. Che seccatura. Per lei era sempre un semidramma dover sostituire i suoi pochi oggetti semplici e necessari; ma da qualche tempo aveva scoperto con gran disappunto che il mondo era diventato maledettamente assurdo, perciò pensava sempre - più spesso ai "begli anni delle vacche magre". Oddio, non proprio pelle e ossa amava specificare dentro di sé per scaramanzia. Per lo meno la sua famiglia se l'era sempre cavata benino, quindi, per lei, quel gran tanto magre le vacche non erano; ma non certo oscenamente obese come adesso dove il sego dava il voltastomaco ed era così indigesto da provocare veri e propri incubi.

A quei tempi l'uomo non veniva aggredito in cento modi, rincorso, coinvolto, soffocato da mille e mille oggetti stupidi e inutili e così anonimi da farci misurare in modo tanto profondo e immediato la caducità di ogni cosa umana; l'inutilità della vita. A quei tempi, attorno ad ogni oggetto posseduto, si creava da sola una storia, si intesseva spontaneamente perché di ogni cosa si usava a lungo ed ogni cosa, da chi l'avesse voluto, si capisce, si lasciava investire dal ruolo di creatura viva.

Sola aveva sempre voluto il mero necessario intorno a sé proprio per poter avere modo di dare ad ogni oggetto un'anima con la quale comunicare. Quella seggiolina, ad esempio. Oh se ne ricordava proprio bene! C'era persino da ridere. Gliel'aveva costruita suo padre - lei ancora bimba - con piccoli pezzi di gelso - bel colore il legno di gelso: colore dei bastoncini di liquerizia sfilacciati dal lungo succhiare. Il brav'uomo, che s'arrangiava a fare un po' di tutto, messa insieme l'intelaiatura con incastri e chiodi, era andato a farsi un bel fascio di stiance per impagliarne il piccolo sedile. E già che c'era aveva impagliato una mezza dozzina di fiaschi e la grande sedia del nonno. Ne era uscito un lavoretto con quella seggiolina, ma un lavoretto da farselo invidiare da tutti. E lei ne era stata oltremodo felice. Poi erano passati gli anni e la povera piccola sedia aveva dovuto essere rappezzata in mille guise. Lei cresciuta tutti ne avevano usato come poggiapiedi fino a che s'era sfasciata in modo veramente irreparabile. Ma essa aveva raggiunte la veneranda età di ben quarantotto anni. Quarantotto anni spesi un gran bene, commentavano affettuosamente gli utenti rendendo implicitamente omaggio al costruttore oltre che apertamente all'oggetto. E quando venne il momento di dirle addio Sola decise che non l'avrebbe bruciata nella cucina a legna, smaltata di bianco, poco prima che essa stessa avesse dovuto essere messa in pensione. Pensione che non vuoi dire demolizione. Ah no, da lei questo non avrebbero potuto pretenderlo. Così era riuscita a cacciare anch'essa in un angolo della cantina dove sarebbe morta di morte naturale, consunta dalla ruggine come era suo diritto dal momento che era un oggetto con una storia e dal momento che nessuno ne voleva più sapere nemmeno come ferravecchio da riciclare. In questo caso Sola sarebbe passata stoicamente sui suoi sentimenti.

Tanti ci avevano riso. Tienila bene, veh!, dicevano bonariamente a Sola. Tieni tutto bene d'acconto che te lo metteremo nella cassa. Tra costoro appena il cinque o sei per cento apparteneva alla sua generazione.

Veramente lei sarebbe stata felice di poter usare sempre la sua vecchia cucina a legna, perché essa ancora funzionava facendo inoltre da stufa di riscaldamento; ma nei due locali più servizi che il Comune le aveva assegnato non era previsto in alcun modo l'uso del fuoco di legna. Così aveva dovuto ripiegare sulla cucina a gas, molto piccola, con relativo forno, ed un aggeggio a kerosene per il riscaldamento. C'era il vantaggio della praticità, della pulizia, diciamolo pure; ma il fatto di avere lì cose che non avrebbero saputo o potuto crearsi intorno una storia la disturbava da matti. E poi, sempre per amor del vero, bisognava ammettere che aveva preso subito dimestichezza con la semplice manualità del loro funzionamento. Per lei che rifiutava caparbiamente in blocco ogni innovazione, questo era un gran cedere e concedere.

Qualcuno l'aveva presa in giro: "Mi raccomando, stacci attenta: la fiamma dei bruciatori non si spegne con un soffio come quella delle candele che hai usato fino a ieri."

Fin qui, dunque, tutto sommato, era riuscita a convivere neanche male con la modernità; ma il mondo, quasi all'improvviso, aveva preso la rincorsa e s'era messo a rotolare pazzamente da quella sfera che è senza incontrare attriti sul suo cammino. Queste riflessioni avevano avuto il potere di chiarirle un fatto meraviglioso e triste al tempo stesso: anche intorno alla piccola cucina a gas s'era intessuta una storia di cui lei non aveva mai avuto sentore.

Sola accarezzò il mobile quasi furtivamente incontrando, con i polpastrelli, piccole tacche di sverniciatura e grumoletti di grasso rappreso che ormai più nessuno avrebbe tolto. Ecco un altro capitolo di storia che però lei, stupidissima Sola, non aveva scoperto a tempo per scriverselo nel cuore. Anche questa cucina, allora, avrebbe potuto essere messa accanto alla seggiolina di legno di gelso, al mastello del bucato, al ramaiolo, allo scaldapolenta, al mestolo per l'acqua potabile… La serie era lunga e tutto era stato stipato in cantina dove lei scendeva, di tanto in tanto, per muoversi amorevolmente tra quei cimeli. Le pareva di trovarsi nel deposito di un teatro dove si recitava sempre un'unica commedia: la sua.

Risvegliandosi Sola si chiese da quanti anni lei e la cucina a gas convivessero. Vediamo un po', disse a mezza voce, il mio povero marito manca già da ventisette anni. Non arrivava ai sessanta, poveretto. Gran carogna, ma bisogna dire che, tutto sommato, ci volevamo bene. Arturo manca da ventisette anni, quindi il forno… Ma no! Stavolta Sola aveva quasi gridato la negazione, un poco ridendo e un poco stizzita, battendo anche il tacco in terra. Non ne verrò a capo mai, così. Che c'entra mio marito? Acquistai il forno appena venuta ad abitare qui e sono diciotto anni a metà del luglio prossimo. Perciò il forno ha quell'età.

Sola stette un poco pensosa alla fine ammise che era un'età sufficiente per crearsi una storia. Anche quella cucina a gas, dunque, aveva la sua brava storia, intessuta giorno per giorno insieme con la vita di lei mentre la sporcava cucinando, anche se poco, e mentre poi la ripuliva. Ed ecco che purtroppo doveva essere sostituita da un freddo mostro.

Ancora Sola sorrise pensando alla buffa ragione per la quale s'era decisa a tirarsi in casa un mostro senz'anima. Un motivo veramente singolare. Ma di gran peso se si pensa che Sola, per sé - vuoi a causa dei molti disturbi che le proibivano un gran numero di cibi, vuoi per un'antipatia innata consolidatasi con il passare degli anni, verso l'arte culinaria - cucinava assai di rado, se si eccettua il caffè d'orzo e il latte scaldato; e per gli altri, be', di altri a mangiare in casa sua non le capitava di averne, se non in casi eccezionalissimi. Per tutto questo un fornellino a due becchi sarebbe stato più che sufficiente eppure sentiva la necessità di un forno in piena regola. Per via della torta sbriciolona.

La faccenda era iniziata quando Sola, che leggeva in modo scandalosamente disordinata di tutto, aveva inciampato in Proust, nel punto in cui parla del dolce intinto nel decotto di tiglio o nel tè, offertogli da zia Leonie. Ah, quelle "petites madeleines", che fascino! e che pozzo di risorse. Soffermando il pensiero sulla naturale dinamica di cibo messo in bocca, di dolce fradicia premuto tra lingua e palato si poteva rivivere sensazioni del tutto dimenticate. Oddio, ammetteva Sola, la faccenda magari non era così semplice. Questi letterati dicono A, ma sotto sotto si deve intendere B se ci si riesce. E per poterlo fare sarebbe occorsa una cultura più vasta, più organica, più profonda della sua. Tuttavia nessuna importanza, per i suoi scopi, tale limite. Ognuno vive come può ed ha il diritto di cercarsi i mezzi di sopravvivenza dove e come crede.

Dunque, quando aveva letto del dolce della zia francese immediatamente, al concetto di quella specie di barchette, con la prepotente sicurezza di chi sa di averne ogni diritto, s'era sovrapposta l'immagine della torta secca, alias torta sbriciolona, che lei amava tanto e che innumerevoli volte aveva mangiato nei suoi anni lontani.

Una scoperta sensazionale: mangiare la torta e…

Ma per mangiarla doveva confezionarla. Magari il sapore non sarebbe più stato quello di un tempo: ingredienti tutt'altro che genuini, papille gustative logorate dall'età. Tuttavia avrebbe fatto di tutto per non accorgersene, con provocazione. Avrebbe pure creato le condizioni ambientali e psichiche idonee, almeno a suo avviso: mangiare la sbriciolona al buio, in solitudine, ad occhi chiusi ed il grande schermo tridimensionale si sarebbe acceso.

Ma il miracolo non sta solo in questo, sta anche nel fatto che tutto è al presente e si ripropone senza la maledizione dei rimpianti, dello struggimento che di solito accompagnano i ricordi sconvolgendo e stravolgendo l'anima.

Tutto per merito della Torta Rievocativa. Nonostante la vecchia Sola si faccia e si sia sempre fatta un punto d'onore di non badare alle apparenze andando dritto alla sostanza, stavolta trova che il nome è importante. D'ora in poi niente più sbriciolona o secca, ma soltanto Torta Rievocativa. Questo aggettivo è proprio quanto occorre: il solo fatto di pronunciarlo già è un buon avvio alla creazione dell'atmosfera adatta.

 

Sola ha una decina d'anni. Vive in campagna e non ha ancora desideri o sogni speciali. Le basta la vita che conduce in quella casa umile ma spaziosa sita in mezzo al poderetto di proprietà del nonno paterno, con il quale convive assieme alla sua famiglia. Una famiglia numerosa la sua: nonno-padrone, padre, madre, due sorelle maggiori di lei, di cui una impiegata come operaia nella filanda del paese vicino e l'altra impiegata all'Ufficio Postale, due fratellini più piccoli ed infine la zia Scapola. La chiamano tutti così perché è nubile e non si sa bene se lei tollera perché non gliene importa o, con sforzo, per amor di pace. A Scapola-Leonie è demandato il compito di confezionare la torta sbriciolona per tutta la famiglia. È una vera esperta. Tutti concordano su questo.

Il tempo libero dalla scuola Sola lo passa con i fratellini, più o meno allegramente. Meno quando la investono, senza scappatoie, del ruolo di sorella maggiore quindi responsabile; più quando tutti e tre, in una spensieratezza totale, giocano ad ogni gioco insieme con gli animali domestici che sembrano apprezzare e gradire questo riconoscimento di parità.

Lo schermo tridimensionale è di una chiarezza incredibile. È sabato pomeriggio, l'ora della merenda. E la merenda del sabato consiste proprio in una porzione di Torta Rievocativa. Scapola-Leonie la prepara già il venerdì notte. È una sua mania che tutti rispettano: le piace avere la cucina tutta per sé.

La torta, anche nelle mani di un'esperta come la zia difficilmente rimane compatta, proprio per sua natura. È friabilissima - il suo nome deriva proprio da qui. Quindi Sola e i suoi due fratellini, che non amano starsene fermi, la mangiano tenendo accuratamente la mano sinistra a coppa sotto il mento per recuperare tutte le briciole; oppure munita di una foglia di fico, platano, vite ampia abbastanza per fare da piatto. Piatti veri non più: ne hanno rotti troppi. Ognuno dei tre fratelli cerca di divorare il più in fretta possibile la propria razione per poi pietirne qualche briciola presso gli altri più pigri; ma nessuno cede mai. Eppure il gioco si ripete ogni volta.

È sabato abbiamo detto; ed è estate. Quell'estate snervante, sonnolenta ma piena di linfa, o icore d'un dio pagano appena intuibile. Estate (o dio) che rimescola pensieri e sangue, dandoci l'illusione che scopriremo tra un minuto i segreti, lo scopo dell'esistenza. Ma è solo un miraggio, una bolla di sapone che ci scoppia in mano senza lasciare nemmeno una lievissima traccia del suo velo iridato.

Tuttavia le mene di questo estate-dio non riguardano né Sola né i fratellini, tutti e tre a piedi nudi sul cemento dell'aia perché il sole ci ha picchiato sopra pazzamente dalle prime ore del mattino fino al tardo pomeriggio. Tutti e tre hanno già attaccato la loro porzione di torta quando d'improvviso si intrufola in mezzo alla specie di cerchio che hanno formato, l'ultimo redo che traballa tutto sulle tozze zampe. Perciò è sbalorditiva la velocità con cui ruba il dolce dalle mani di tutti e tre, uno dopo l'altro, che rimangono immobilizzati per lo stupore, divorandolo in un batter d'occhio e attaccando poi le foglie che però risputa schifato, sporgendo buffamente le tenere labbra spesse e umide.

Quando i tre orbati corrono in casa a protestare nella speranza di ottenere il bis, i presenti ridono di gran cuore. Scapola rincara: - Bene, date pure le mie perle ai vitelli, voi! meritereste che non perdessi più tanto tempo per simili ingrati. -

 

Lo schermo oggi proietta una giornata fredda. C'è aria di neve. Il nonno si lamenta per rincruditi dolori reumatici; mentre la mamma e il babbo assicurano che nevicherà stanotte; una perché ha le gambe gelate fino alle ginocchia; l'altro perché il suo callo, che non sbaglia mai, gli fa un male, ma un male.

Sola e suoi fratelli se ne infischiano di queste lagne di vecchi: stanno facendo una corte spietata alla zia perché si spicci a sfornare la torta.

Eccola in tavola, finalmente.

- Zia, sbrigati a fare le parti perché abbiamo fame! - lo gridano all'unisono o in canone.

Alla fine eccole pronte le fette; almeno le prime tre. Le afferrano anche se, secondo loro calcoli, son convinti di venire defraudati delle briciole che rimangono sul piatto tondo, di spessa terraglia fiorata, sempre quello a loro memoria. Ma per una volta che tentarono di protestare la passarono piuttosto brutta, per cui hanno deciso di fingere come nulla fosse. Appena tra le mani il dolce fuggono come razzi dalla cucina. Ma fa freddo, s'è visto, nemmen pensarci di stare sull'aia.

- Andiamo nella stalla a giocare sul fieno che è appena stato buttato giù dalla botola del fienile, - propone uno. Gli altri due ne sono entusiasti. Prima di entrare nella stalla finiscono in fretta la torta: si ricordano bene di quella volta del vitellino. Quello oramai è stato venduto, ma c'è un altro lattonzolo vicino alla madre.

Ecco fatto: una sfregata delle mani sugli abiti, rimaste appena appena unte, e via sul fieno a far capriole (quanto è croccante, quanto è Profumato!); ma con le orecchie attente: nonno e padre non permettono questi giochi perché, dicono, il fieno va in fiorume quindi se ne perde molto. Tuttavia, ben presto, quella morbidezza unita al tepore della stalla, li invita a dormire.

- Dormiamo, ragazzi? - chiede Sola sicura di essere ascoltata nella sua proposta. È così infatti. Subito eccoli in gara per coprirsi il più possibile, ben stretti l'uno all'altro, Sola in mezzo. - Appena il naso teniamo fuori, per respirare - dice. E già dormono.

Dopo forse tre ore si svegliano. Ed è buio. Si stirano, si alzano, si tolgono festuche dagli abiti e dai capelli e, ridendo felici della loro trovata, escono dalla stalla per entrare in cucina.

Qui vedono il nonno camminare su e giù, su e giù, con le mani intrecciate dietro la schiena, leggermente claudicante per il tempo che cambierà. È Sola che ricorda le lamentele.

L'uomo si gira avendo udito la porta aprirsi. Strano, ha gli occhi lucidi e muove le labbra come a pregare o a imprecare; tanto, quando si tratta del nonno, non è che sia molto netta la distinzione tra queste due attività. Ma non hanno molto tempo per riflettere e pensare: il nonno gli è sopra come un falco. Li abbranca frenetico e poi appioppa a ciascuno due manrovesci da far traballare il cervello nella scatola cranica.

- Dove siete stati, mangiapane a tradimento? - tuona dal suo metro e ottanta.

Allora Sola crede di capire: li hanno chiamati e cercati dappertutto disperatamente, ecco perché in cucina non c'è nessun altro. Il nonno riprende a tuonare, ma la sua voce sembra meno arrabbiata:

- Disgraziati, se fossi in voi andrei immediatamente a letto senza aspettare la cena. Se lo fate vi prometto che calmerò gli altri che sono di un nero che nemmeno immaginate. - Sorride cercando di nasconderlo.

Sola pensa che tutto si sia risolto nel migliore dei modi ormai; ma deve ricredersi fin troppo presto: da fuori entra un brusìo di voci. Immediatamente il nonno li spinge in malo modo su per la scala di legno che sta in un angolo della cucina e porta alle camere.

 

Hanno faticato un poco a portarglielo su per le scale non molto larghe. Per fortuna sono appena due rampe: abita al primo piano; ed ora faticano ad incastrarlo nello spazio previsto per una banale cucina a gas. Se non fosse perché li vede lavorare con sicurezza intorno alla canna di raccordo per l'erogazione del metano, Sola penserebbe che c'è un equivoco. Lei, per fortuna, non ha bisogno di medici e non ne ha chiamati; ma quei due traggono in inganno come niente. Con il loro camice bianco immacolato, azzimati come damerini, impeccabili nella cravatta e nella riga dei pantaloni, classici contro ogni aspettativa, non sembra né i facchini né i commessi che s'era aspettata di vedere. Senza, per questo, che i facchini ed i commessi non incontrino il suo assoluto rispetto e la sua stima, sino a che i fatti, magari, non vengano a provarle che non ne sono degni. Un criterio, questo, che vale per ogni essere umano nell'etica di Sola.

I due intanto hanno incominciato a parlare. La donna, nonostante si senta tremendamente disorientata, ha ancora abbastanza lucidità per accorgersi che usano un linguaggio completamente standardizzato espresso in maniera meccanica. "Nuovo mondo meraviglioso"? L'ha finito giusto ieri di leggere. Ma no - si corregge Sola - non è possibile. Una rivoluzione di tal fatta avrebbe tanta eco da giungere fino al suo volontario isolamento.

- … microonde con timer, segnale acustico di richiamo, luce rossa come segno di funzionamento e verde per dirle che tutto è spento, naturalmente. Completamente a comandi digitali; soneria regolabile su un minimo di tre secondi e su un massimo di dodici ore. Come vede un gioiello della tecnica più avanzata. Quattro piastre di cottura a calore differenziato che possono funzionare contemporaneamente; più una griglia di lega speciale per cibi delicatissimi, anch'essa regolabile, sia come assorbimento di calore e radiazione del calore stesso, sia come posizione. Può, cioè, assumere sei posizioni diverse che vanno dal piano orizzontale ad un'inclinazione di quarantacinque gradi. Questo forno è l'ultimo ritrovato della Casa Fire-fire di Tokyo di cui abbiamo l'esclusiva già da quindici anni. Le possiamo assicurare che non abbiamo mai dovuto lamentarcene e nessun cliente si è mai lagnato o pentito di avere acquistato i prodotti di questa Casa. Naturalmente tutto ciò per quanto riguarda il forno. Per il resto, vede bene, funziona come una normale cucina: cinque bruciatori graduati nel senso della potenza calorica con accensione a telecomando e orologio al quarzo, quello proprio delle ore normali, messo bene in evidenza con numeri fosforescenti, nonché lucina blu per le ore notturne, nel caso desiderasse ricevere una sensazione di amicizia. È una miscela speciale di gas creata apposta per dare questa sensazione. Qui subito a lato, come vede, c'è un piccolo schermo dove trasmettono, ventiquattro ore su ventiquattro, le ricette delle specialità gastronomiche di tutto il mondo, in cinque lingue. Qui, invece… -

A Sola gira tanto la testa che è costretta a sedersi. Dopo poco il fastidioso capogiro scompare e lei si accorge che i due se ne sono andati e che tiene in mano un grosso opuscolo, un libro addirittura: sono le istruzioni (la cartolina della garanzia è un cosmo da niente lì in parte) scritte in otto lingue.

Sfogliando soprappensiero il plico dai disegni a colori smaglianti su carta patinata, sente ronzarle nelle orecchie la voce dei biancovestiti. Le sembra che abbiano avuto una voce monotona, sul nasale; ma questo non lo giurerebbe. Quello invece di cui si sente sicura è che i due hanno parlato a turno, una dozzina di parole ciascuno, senza che nessuno si curasse di finire il periodo che aveva avviato, come che fossero regolati da un imparziale ed impersonale meccanismo. E il tutto con quella voce…

A ripensarci le vengono i brividi assieme con un sospetto terribile: vuoi vedere che erano due automi? e che si sono rimpiccioliti entrando in qualche abitacolo del "mostro" come congegni ad esso appartenenti? Sola è presa dal panico, ma è decisa a vincersi reagendo come usa lei: scuotendo il capo energicamente e battendo il piede in terra. Con cautela grande ed altrettanta decisione muove qualche passo verso il "mostro". Cielo, dove potrà mai trovare il coraggio di mettergli le mani addosso? A lui, tutto lucori, tasti, quadratini, rettangoli, losanghe, cerchietti, numeri, lettere greche o giapponesi che per lei fa lo stesso.

All'improvviso ricorda che ha già pronta la Rievocativa nella teglia. L'aveva giusto preparata in previsione di questo arrivo; quindi, volere o volare, dovrà prendere il coraggio di far uso di quel "mostro" maledetto!

Forte di questa necessità si avvicina decisa, allunga una mano e inizia con il premere un tasto. Uno qualsiasi, tanto sa che anche se leggesse le istruzioni non capirebbe dato che l'italiano che hanno usato non sembra nemmeno italiano. Subito tre luci rosse si accendono: un cerchietto e due quadratini. La vecchia Sola stacca il dito velocemente per posarlo su una piastrina nera: ecco immediatamente tre linee d'un verde fosforescente che ammiccano ironiche come l'insegna d'un negozio elegante…

Oddio, che faccio? che faccio?

Un'improvvisa frenesia si impadronisce della vecchia signora. Lei ora è una macchina potente che deve e che può tener testa al "mostro".

Una lotta furiosa si scatena tra i due. Sola smanaccia spasmodica, disordinata come un mulino a vento dalle pale dissociate, mentre il nemico impazza in un'orgia di luci, di fruscii, di ticchettii, di brusii, di sfrigolii, di ronzii…

Ad un tratto ecco una voce da giudizio universale che tutto sovrasta, propagandosi per l'appartamento, forse per l'intero caseggiato: Forno-chiama-cuoca-forno-chiama-cuoca…

Sola in preda al terrore, cade bocconi finendo con la testa nel forno rovente che si spalanca in quel momento.

Tratto da Celeste Chiappani Loda, Nodo scorsoio