La figlia del naturalista
A Valerio, mio padre, quando cercavamo insieme minerali
Divertivamo gli aquiloni
e aprivamo la roccia
partendo dalle fenditure.
Avremmo trovato, dicevi, con pazienza agate e corniole,
avremmo aperto i geodi:
praterie di quarzo, alberi che ricoprono i monti
come pecore abbarbicate
a brucare saldamente le certezze alle pendici.
Mi raccontavi gli aquiloni
con le labbra allungate di sorriso.
Levigavamo le ossidiane
con voli d'Icaro in spazi non domati.
Tratto da Gloria Chiappani Rodichevski, Volto dietro la foschia, Torino,
2003
Geode e turritelle della collezione di Valerio Chiappani
Le chiose di Anna Bazzo Moretti
L’aria che ci avvolge è trasparente. Sembra non esista. Ma
appena gli occhi si volgono in alto diventa la volta celeste dove volano gli
aquiloni, il delicato filo che lega la figlia al padre naturalista,
entrambi chini e inginocchiati sulle rocce della volta più ruvida e densa che
attira a sé quella più leggera. All’interno delle due grandi semisfere,
qualcosa di ineffabile: non esistono che loro; e gli aquiloni, le agate e le
corniole, le lucide ossidiane e i geoidi – quest’ultimi un mondo in miniatura e
il baricentro di tutta la poesia. Con grande maestria poetica Gloria segue le
mani del padre ed apre lo scrigno forzando la possibile fenditura attraverso la
quale arriva alla visione e alla conoscenza. Le metafore luccicano come
gioielli di un tesoro appena dissepolto fra le terre del Selvino,
del Buco del Piombo, di Alassio; persino della Provenza. Se mai ci fosse
accaduto d’entrare nelle stanze di un geode, poesia e realtà mineralogica si
fanno eco l’una con l’altra. Il quarzo nei suoi cristalli minuscoli diventa una
distesa d’erba, in quelli più turriti invece una foresta d’alberi montani
simili a un gregge che – immobile nel tempo – si nutre delle certezze della
terra, la cui prima legge è che la materia continuamente si trasforma e mai si
distrugge.
In questo bellissimo testo lo sguardo del padre, prima che
sui minerali, è sulla figlia; i suoi gesti pazienti guidano le giovani mani
nella ricerca. E a noi pare di udire lo stesso dialogo che avvenne tra Dedalo e
Icaro in quel potente desiderio di levigare le ossidiane portanti delle
fatidiche ali, per poi riuscire a innalzarsi negli indomiti spazi dove solo gli
aquiloni possono librarsi.
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