Le suggestioni delle sculture della maturità di Fausto Melotti

Museo Fondazione Luciana Matalon, Milano - 2 marzo 2005

Fausto Melotti, Sit-in (collezione privata)

Una quarantina di sculture e di incisioni di Fausto Melotti: in questo consiste la mostra inaugurata alle 18.30 del 2 marzo 2005 presso lo spazio espositivo del Museo Fondazione Luciana Matalon, al 67 di Foro Bonaparte a Milano.

Condotta in una visita guidata da Pier Luigi Senna, uno dei curatori della mostra, cammino come trasognata tra le sculture della maturità melottiana (anni Sessanta e Settanta), che rappresentano per me una foresta rada, parca, essenziale. E mi piace fare un gioco cui mai rinuncio, ogni volta che mi accosto all'arte: tengo in allerta il mio senso critico, non permettendo tuttavia allo spirito, in tale stato d'allerta, di tacitarsi. Mi abbandono, cioè, a cogliere le non rare suggestioni che mi derivano dalle sculture. Dalle sculture più che dalle incisioni, devo dire; incisioni le quali - mi spiega via via la mia affabile guida - sono state scelte per affiancare le sculture nelle quali si ritrovano gli stessi elementi: l'acquaforte Fuochi d'artificio presenta le piccole sfere che Melotti usa in alcune sue sculture come Gli sposi, I triangoli o Universo II.

Le incisioni - mi continua a spiegare Senna - hanno molti legami con le sculture. Certo - mi e gli dico - perché sono la creazione degli anni della maturità dell'artista che sta percorrendo altre strade per esprimere i propri credo, le proprie intimità, le proprie favole. Così, in una sorta di connivenza, Pier Luigi Senna e io cerchiamo i significati più o meno nascosti, le suggestioni, i rimandi. Il mio interlocutore mi mostra, della scultura Sit in, le tre figure umane: linee d'ottone sapientemente piegate che danno chiara l'idea della persona seduta. Mentre osservo, il mio sguardo si lascia alla destra le tre figure perché il mio spirito vuole la sua parte di dono: è la metà sinistra che gli evoca suggestioni. Si tratta di lampioni che spandono una luce rarefatta al cospetto della quale le tre figure sedute si danno a intime meditazioni? O si tratta, piuttosto, di figure che stilizzano un mito, quello dei titani pronti ad assaltare l'Olimpo senza avere pietre da gettare, corazzati soltanto dell'inerme nudità dell'Uomo del ventesimo secolo?

Il mio gioco continua con Pioggia d'estate, una sorta di grezza quanto affascinante arpa eolia (Melotti, del resto, fu più che interessato alla musica, avendo studiato pianoforte e organo, tenuto nel 1923 un concerto con il futuro architetto razionalista Gino Polloni, affrontato con perizia gli studi teorici di Schönberg, stilato riflessioni su contrappunto ed armonia). E con Festa alla torre di Babele, dove si scorge, appena allusa, secondo la ricerca del Melotti maturo (scolpire togliendo la materia), la confusione linguistica su cui due proiettori spenti sembrano essersi rassegnati a non puntare. E con La Maddalena, figura di commovente pianto, di commovente scarmigliata solidarietà.

 

Pier Luigi Senna mi conduce anche in visita alla parte museale. Ho poco tempo a mia disposizione perché tra breve devo partecipare all'incontro, che si tiene al Teatro alla Scala, con Angelin Preljocaj e con Jacopo Godani, coreografi di Europa che debutterà fra qualche giorno al Teatro degli Arcimboldi. Ho poco tempo e me ne rammarico, pur rendendomi conto di averlo capitalizzato benissimo, essendo riuscita a godermi la mostra ed apprestandomi ora a trarre suggestioni dalle opere di Luciana Matalon, esposte al Museo.

La Matalon, scultrice, pittrice e designer di gioielli, ha concepito uno spazio, quello della Fondazione, come "un ampliamento di orizzonti" e "una struttura ricettiva attenta soprattutto ai giovani artisti" e l'ha aperto al pubblico nel novembre 2000.

L'intenzione dello staff che si occupa delle scelte espositive, mi rende noto Pier Luigi Senna, è quella di dar corso ad almeno un paio di mostre all'anno, di grosso peso e richiamo, affiancandole da rassegne e/o personali "minori". Non essendo, mi spiega sempre il mio interlocutore, lo spazio espositivo etichettato "di tendenza" ‑ non intendendolo cioè legato ad un particolare genere o movimento ‑, si preferisce dare spazio ad artisti che presentino qualche affinità o contiguità con l'opera di Luciana Matalon, anche se in modo non tassativo.

Il pavimento del Museo Fondazione Luciana Matalon

Ma veniamo allo spazio fisico del museo.

Esso comprende settecento metri quadrati che si estendono su due piani. Centotrenta metri quadrati di pavimento del Museo, sono stati "inventati" dalla stessa Matalon, che ha usato speciali resine epossidiche, autolivellanti, trasparenti e riflettenti per creare un universo che abbiamo quasi timore di profanare camminandovi sopra. Un tema ricorrente, quello cosmico, come ricorrente è il richiamo alla memoria e alla mente: Dagli scavi della memoria, Nelle paludi della memoria, Negli anfratti della memoria, Negli anfratti della mente, Paesaggio mentale, Nell'abside della mente cerco cieli solitari.

Attorno ad altri temi-simboli si snodano le sculture e i quadri della fondatrice del Museo che da lei prende il nome: il tema dell'isola, quello dell'axis mundi, quello della piramide, quello della scala intesa come cammino spesso verso l'irraggiungibile. Il simbolo della scala (che è protagonista della scultura Nell'abside della mente cerco cieli solitari) è divenuto il logo del Museo. E che cosa meglio di una scala - mezzo per salire, per raggiungere ciò che la nostra finitezza d'uomini non ci permette - poteva essere scelto come logo per uno spazio museale ed espositivo che Luciana Matalon ha creato quale luogo dove l'orizzonte si amplia promettendo ricche visioni?