Onegin

9 novembre 2004

Gilda Gelati.

© Foto Graziella Vigo ‑ Teatro alla Scala

Onegin di Čajkovskij-Stolze-Cranko è di nuovo alla Scala dopo circa sette anni di assenza dal repertorio. Questa sera vi hanno debuttato Gilda Gelati (Tatiana) insieme con Mick Zeni (Onegin) e Antonella Albano (Olga) insieme con Massimo Garon (Lenskij). Il ruolo del principe Gremin è stato affidato a Matteo Buongiorno, mentre quelli della vedova Larin e della nutrice rispettivamente a Simona Chiesa e a Roberta Nebulone. L'Orchestra del Teatro alla Scala è stata diretta dal M° David Coleman.

Dal romanzo in versi di Puškin, Evgenij Onegin, Čajkovskij compose l'opera omonima, data in prima rappresentazione a Mosca nel 1879. A distanza di oltre settant'anni, nel suo periodo londinese, il coreografo sudafricano John Cranko venne incaricato di coreografare le diverse danze contenute nell'opera čajkovskiana. Fu dall'incontro sia con il lavoro di Puškin sia con l'opera di Čajkovskij che in Cranko si accese l'interesse per la creazione di un balletto; creazione che egli realizzò a Stoccarda nel 1965. Nella partitura del balletto non venne mutuata una sola nota dall'Evgenij Onegin čajkovskiano: i responsabili del Teatro di Stoccarda optarono per un adattamento di altre pagine del compositore russo e affidarono l'incarico a Kurt-Heinz Stolze.

Ho seguito con particolare interesse il debutto di stasera. Mi trovavo infatti a casa di Gilda Gelati due mesi fa, quando ella mi disse che aveva saputo proprio la mattina che avrebbe ballato nel ruolo di Tatiana. Ne era molto soddisfatta perché è forse questo il balletto che ama maggiormente, prediligendo lei i ruoli drammatici. Devo ammettere che la Gelati non ha certo risparmiato la sua forza drammatica nell'ultimo atto, dopo avercene dato tuttavia un assaggio alla fine del secondo atto, quando le due sorelle tentano di dissuadere Lenskij dal battersi in duello, senza riuscirvi, dovendo così assistere impotenti alla tragedia.

Il valore interpretativo di Gilda Gelati sta nella sua forza drammatica e nel suo lirismo, che ella indirizza a seconda dello stato d'animo che vuole evidenziare. Durante lo svolgersi dei tre atti del dramma di Cranko, la prima ballerina scaligera sembra diventare adulta proprio come Tatiana.

Quando si apre il sipario sul primo atto, la Gelati ci appare infatti la pensierosa fanciulla vestita di rosa ("Ritrosa, taciturna, mesta"[1], descrive Puškin la propria eroina) che, in disparte, legge i romanzi di Samuel Richardson; e che, ove le compagne vogliano coinvolgerla nei loro giochi, rifiuta con un garbato sorriso, annoiandola "quel cicalìo da spensierate".

Gilda Gelati e Mick Zeni in Onegin.

© Foto Teatro alla Scala

Ritroviamo poi Gilda-Tatiana, nella seconda scena del primo atto, travolta da un amore romantico, che la bilica tra l'ammettere e il non ammettere ("[…] volevo tacervi, / E non l'avreste mai saputa, / La mia vergogna […]."). Questo dovrebbe essere il momento che segna il passaggio tra il mondo ovattato, protetto di Tatiana e il mondo "adulto" dell'amore, con tutte le sue complicazioni. Scrivo dovrebbe, poiché ella ancora non ha conosciuto lo sprezzante rifiuto di Onegin, e quindi ce la troviamo di fronte intatta nella sua grazia infantile con la quale affronta i primi tremori e le prime speranze. Di questa seconda scena ho colto un particolare che mi sembra sottolinei molto bene lo stato d'animo della protagonista: la penna d'oca che ella intinge nell'inchiostro, quasi con devozione, per farla poi scorrere sul foglio con quell'ansia e con quella frenesia d'adolescente innamorata, mentre appoggia il gomito sinistro sul tavolo. Gilda Gelati ha posto molta cura anche nel "danzare" questi dettagli. Lei stessa, del resto, mi confermò, quando chiacchieravamo nel suo camerino, dopo lo spettacolo, che, avendo letto l'Onegin puškiniano, ha cercato di rendere veritiero il personaggio che stava interpretando, proprio evitando di trascurare particolari che a tutta prima paiono insignificanti. "Puškin, - mi spiegava la ballerina, - lo dice chiaramente che Tatiana si appoggia, mentre scrive la lettera, con Eugenio sempre in mente."

Gilda Gelati e Mick Zeni in Onegin.

© Foto Teatro alla Scala

Nella seconda scena del secondo atto, Tatiana, dopo aver subito il rifiuto e il disprezzo di Onegin e dopo la sfacciata corte rivolta da quest'ultimo a Olga, tenta di ricondurre al buon senso la propria sorella e il suo fidanzato. In tale frangente, pare quasi di sentirla parlare, Gilda Gelati, tanto è sincero e sentito il suo calarsi nel ruolo che sta interpretando. O, soprattutto, nella seconda scena dell'ultimo atto, quando si sforza di scrollarsi di dosso la tentazione di cedere a colui che ella ha amato, sembra di udire la sua voce supplicare l'uomo di lasciarla. E, ancora, udiamo la Gelati "parlare" a voce altissima nel momento in cui, alla fine, urla ad Onegin (un urlo pieno di sofferta dignità) di andarsene. La tentazione è infatti uno scialle confortevole che avvolge Tatiana: le braccia di Onegin circondano ora con insistenza accorata la donna, proprio come, dieci anni prima, la fanciulla aveva sognato avvenisse; ma la lealtà e il senso di giustizia della protagonista trionfano, ed ecco che lo udiamo, l'urlo. Anzi, lo ascoltiamo, più che udirlo: ne ascoltiamo le ragioni, il dolore. E assistiamo alla lucidità con la quale la moglie del principe Gremin scaccia Onegin. Ella è salda nella sua scelta sofferta, che è un'ultima prova da affrontare per liberarsi dei fantasmi del passato che tornano, non invocati, nella sua vita a reclamare diritti che non hanno. E forse si consola con un gesto che ha il sapore di esasperata vendetta, piccolo premio - che probabilmente ella ritiene dovuto - per la punizione subita ingiustamente allorquando, fanciulla, si ritrovò innamorata di colui che aveva smesso l'amore, come si smette un vestito consunto ("Le belle più non occupavano / Assiduamente il suo pensiero […]."): Tatiana straccia cioè la lettera di Onegin proprio come lui, due lustri prima, aveva stracciato la sua.

Ho trovato la coppia Gelati-Zeni affiatata e davvero convincente.

Mick Zeni ha dato un forte rilievo alla parte da lui interpretata, tanto da trasmetterci la sensazione di trovarci davvero di fronte all'odioso Onegin. Credo che il pubblico (perlomeno quello femminile) non possa che parteggiare per Tatiana e questo anche grazie alla trama del balletto, che presenta parecchie differenze rispetto al romanzo puškiniano. Cranko ha infatti mantenuto, quale trave portante, il carattere di dandy annoiato di Onegin, che - con il suo vissuto - può dire e fare ciò che vuole. Il coreografo ha tuttavia trasformato in crudo disprezzo la schiettezza del rapporto che Onegin intrattiene con la fanciulla che gli dichiara il proprio amore ("Se mi avesse una sorte benigna / Destinato a marito e padre; / […] / Non avrei, tranne voi, / cercata / Nessun'altra fidanzata. / Senza orpelli madrigaleschi / Dirò: avrei il mio antico ideale / Solo in voi voluto cercare, / […] /Ma non per la felicità / Son fatto; […] / Le vostre belle qualità / Non le merito, sono vane."). Zeni impronta ad una particolare efficacia il gesto teatrale che ci racconta la scena dell'umiliazione di Tatiana: la lettera che Onegin straccia per riporne quindi i pezzi, con cura sarcasticamente amorevole, tra le mani della sbalordita fanciulla, subdolamente attento a non essere visto dagli ospiti di casa Larin (prima scena del primo atto).

Buona è stata la performance della coppia Albano-Garon. Antonella Albano ha mostrato brio nella scena in cui Onegin - essendo Olga una pedina del malagire dell'uomo nei confronti di Tatiana - la invita con insistenza a restare al tavolo verde. Lì la Albano ha dato spessore al carattere del personaggio da lei interpretato: una superficialità e una spensieratezza tanto ingenue quanto pericolose, delle quali la fidanzata di Lenskij non si rende conto appieno, ma che contribuiscono a determinare la tragedia.

In Massimo Garon ho visto affiorare una vena lirica quando ha affrontato l'assolo del secondo atto. Sicuramente, data la sua giovanissima età, avrà occasione, nell'arco della sua carriera, di maturare sia questo brano sia l'intero ruolo di Lenskij, essendo egli, per indole, portato alla ricerca di quegli elementi che fanno di un ballerino qualcosa di più di un puro "meccanismo danzante". L'assolo gli ha dato l'opportunità di partecipare a buon diritto all'interessante "dramma in danza" di Cranko. Ho trovato ad esempio assai persuasiva la scena in cui il poeta scaccia senza pentimenti la fidanzata: se infatti una vasta gamma di sentimenti contrastanti ha devastato interiormente il giovane, nel momento in cui Olga gli compare di fronte, il buon senso non riesce a prevalere ma è la rabbia che prende il sopravvento. Dunque Lenskij muore per un ideale d'orgoglio malinteso e, questo, Garon ce lo mostra chiaramente.

Una nota, infine, su Matteo Buongiorno, ballerino solista della Scala. Bene gli si addice il ruolo del principe Gremin, che interpreta con uno stile sicuro e personale, sottolineando, al di là del lignaggio, quella nobiltà d'animo che spinge il personaggio ad adoperarsi nel tentativo di rappacificare Lenskij e Onegin.

Il fascino del lavoro di Cranko, inquadrato nelle scene di Pier Luigi Samaritani, non lascia mai indifferenti. Il pubblico ha mostrato, una volta ancora, di amare le vicende di Tatiana e di Onegin, di Olga e di Lenskij, apprezzando i vari interpreti, che sono stati accolti, in primis Gelati e Zeni, con applausi calorosi.

Uno zoom, prima di lasciare il teatro degli Arcimboldi, su Carla Fracci che era presente allo spettacolo. In un raffinato abito chiaro, sedeva in platea bassa. Durante gli intervalli il pubblico non ha mancato di avvicinarlesi per assistere al suo quieto conversare con Roberto Bolle, mentre ella firmava autografi ai compìti ma golosi astanti. La Fracci, ricordiamolo, è stata una delle Tatiane più acclamate nella storia del balletto.



[1] Questa e le citazioni che seguono, provengono dall'Evgenij Onegin di Aleksandr S. Puskin