Europa

6 marzo 2005

La Stravaganza. 1

Polyphonia. 2

Contropotere. 2

Europa: il trittico d'eccezione con cui si è misurata la Compagnia di Ballo della Scala. Una ghiottoneria che dobbiamo all'intelligenza artistica di un direttore quale Frédéric Olivieri che, come ebbi modo di esprimergli durante un'intervista che mi rilasciò pochi giorni prima dello spettacolo, ritengo personalità illuminata nel dare il giusto rilievo alla danza contemporanea nella programmazione della stagione scaligera.

 

Dal 6 al 17 marzo è rappresentato al Teatro degli Arcimboldi Europa, un trittico che consiste in due prime nazionali, La Stravaganza di Angelin Preljocaj e Polyphonia di Christopher Wheeldon, e una prima assoluta, Contropotere, creata appositamente da Jacopo Godani per la Compagnia della Scala.

Ecco gli interpreti della prima.

In La Stravaganza, le tre coppie Vivaldi sono state rappresentate da Serena Colombi, Chiara Fiandra, Lara Montanaro, Massimo Dalla Mora, Daniele Lucchetti, Antonino Sutera; le tre coppie Vermeer, invece, da Antonella Albano, Luana Saullo, Monica Vaglietti, Eris Nezha, Francesco Ventriglia, Andrea Volpintesta.

In Polyphonia abbiamo trovato un étoile, Roberto Bolle, cinque primi ballerini, Marta Romagna, Sabrina Brazzo, Gilda Gelati, Mick Zeni e Alessandro Grillo, e due solisti, Emanuela Montanari e Antonino Sutera.

In Contropotere il protagonista è stato il Corpo di ballo nelle persone di Antonella Albano, Stefania Ballone, Raffaella Benaglia, Chiara Borgia, Isabelle Brusson, Simona Chiesa, Azzurra Esposito, Alessia Passaro, Francesca Podini, Serena Sarnataro, Caroline Westcombe, Andrea Boi, Giuseppe Conte, Thomas Gallus, Marco Messina, Salvatore Perdichizzi, Andrea Pujatti, Fabio Saglibene, Gianluca Schiavoni Francesco Ventriglia e Massimiliano Volpini.

La Stravaganza

La Stravaganza di Angelin Preljocaj

La Stravaganza fu creata nel 1997 per il New York City Ballet ed in Italia viene proposta per la prima volta dai ballerini scaligeri, che hanno dato ottima prova delle loro capacità.

Il sipario si alza su un quadro onirico che mostra le tre coppie dell'epoca contemporanea muoversi con discrezione, avvolte dal canto degli uccelli. Sarà sullo stesso quadro che, alla fine del balletto, si chiuderà il sipario.

Un dialogo sommesso di sei personaggi del nostro tempo, questo quadro? Un auscultarsi, forti delle loro certezze esistenziali? Un porsi senza sussulti? L'inizio del balletto infonde indubbiamente calma nello spettatore, il quale - però - si rende conto che qualche sconvolgimento avverrà, quando sulla scena fanno la propria comparsa le tre coppie dell'epoca barocca cosicché l'interazione tra i sei più sei personaggi risulta inevitabile. Interazione che comincia in sordina, attraverso una naturale curiosità dei "moderni" verso gli "antichi". Curiosità stupita e fare guardingo che - quasi al termine del balletto - lasciano spazio ad un armonioso dialogo (simboleggiato da un incrociarsi delle braccia) tra una donna contemporanea e un uomo barocco. Le due epoche si sono studiate, parlate, confessate.

Il concetto su cui si fonda il balletto è quello del rapporto epocale prima ed interpersonale poi. Sono due epoche geografico-temporali che si incontrano e si parlano perché La Stravaganza è un lavoro sull'immigrazione. La vecchia Europa (rappresentata dalle musiche di Evelyn Ficarra, Robert Normandeau, Serge Morand, Åke Parmerud) si confronta con la nuova America (rappresentata dalla musica di Vivaldi): l'emigrante europeo, cioè, arriva nel nuovo mondo con il suo bagaglio di cultura, intesa in senso lato.

Nell'incontro con due dei coreografi protagonisti di Europa, avvenuto alla Scala, nel Ridotto dei palchi "Arturo Toscanini", il mercoledì antecedente la prima, ad Angelin Preljocaj è stato chiesto di spiegare perché è la musica moderna, e non quella di Vivaldi, a rappresentare la vecchia Europa. La risposta è stata che la musica vivaldiana, così come il linguaggio coreografico creato per il gruppo Vivaldi (dal forte sapore balanchiniano), presentano elementi di modernità che permettono a Preljocaj di ben rappresentare l'America tecnologica. Per contro il coreografo franco-albanese ha scelto musiche "telluriche" sulle quali far ballare il gruppo Vermeer, cioè il gruppo della vecchia Europa. Questo tipo di musiche, devo dire, hanno espresso molto bene i frazionamenti spirituali, le autopsie, le (an)atomizzazioni cui la nostra contemporaneità ci sottopone. La vecchia Europa, nei suoi costumi barocchi, ci si presenta insomma con già in sé i germi della contemporaneità.

Polyphonia

Alessandro Grillo e Gilda Gelati: prove di Polyphonia

Polyphonia fu creata nel 2001 per il New York City Ballet, presso la quale compagnia Christopher Wheeldon (formatosi al Royal Ballet) ottenne lo status di coreografo residente. Fino ad ora nessuna compagnia aveva presentato in Italia i lavori di Wheeldon e il Balletto della Scala ci ha regalato una Polyphonia per confezionare la quale sono state impiegate le migliori ricorse: un étoile del calibro di Roberto Bolle, cinque primi ballerini, tra cui una splendida Marta Romagna nel ruolo principale, e due solisti.

Il lavoro coreografico dell'ex danzatore del Royal Ballet è un gioiello dell'astrattismo. Gli intenti di Wheeldon sono quelli di "scomporre" l'estetica balanchiniana nelle sue componenti, per comprenderne il meccanismo e di fare in certo qual modo il punto della situazione sul balletto contemporaneo. In un'intervista rilasciata un anno fa, infatti, egli spiegò che avvertiva nella danza contemporanea una sorta di freddezza: come se il culto eccessivo della fisicità avesse tolto l'afflato artistico e poetico alla danza. Proprio per questo in Polyphonia l'idea di pura fisicità viene "corretta" da quel quid di tenerezza e di poesia che coinvolgono gli spettatori.

Ho notato sovente, devo dire, spettatori troppo spesso frenati dalle raggelate atmosfere che certa danza contemporanea propone loro, attenta ad allevare una generazione di ballerini visti come meccanismi danzanti più che come artisti a tutto tondo.

Nella stessa intervista Wheeldon sottolineò la volontà di usare per Polyphonia dieci brani pianistici di György Ligeti perché proprio il carattere grottesco ed atonale dei brani ligetiani gli facevano avvertire di trovarsi immerso in qualcosa di commovente e di bellissimo.

Che cosa dire di questo lavoro ("un balletto difficile" l'hanno definito Gilda Gelati e Sabrina Brazzo, incontrate subito dopo lo spettacolo) se non che i danzatori scaligeri hanno offerto al pubblico milanese una vera chicca interpretativa? In particolare la sinuosa figura di Marta Romagna ha saputo magistralmente incarnare la discreta poesia con la quale Wheeldon si è espresso, senza scomodare inutili reboanze, sull'humana condicio.

Contropotere

Jacopo Godani in prova per la creazione con il Balletto della Scala.

Foto Enea Pieraccini

La prima assoluta del lavoro di Jacopo Godani ha visto impegnati i più giovani componenti della compagnia scaligera: il Corpo di Ballo che si è espresso in tutta la sua energia fino all'assolo conclusivo, danzato con bravura da Fabio Saglibene.

Un interessante balletto di protesta, lo potremmo definire, che rappresenta un gruppo di compagni d'avventura i quali hanno intenzione di esprimere, senza intermediazione alcuna, perplessità, desideri, insofferenze loro propri. È un frenetico parlare a gran voce e Godani traduce questa metafora in una sorta di ridda di esseri che si muovono quasi senza soluzione di continuità. È il turbinio delle passioni umane che la società - tentando di incanalarle per evitare, in nome del perbenismo, pericolose esplosioni - non fa che soffocare senza dare una convincente contropartita.

Il simbolismo è chiarissimo: scarpe nere e body neri (ma giocati - questi ultimi - anche sulle trasparenze) ad indicare l'oppressione del potere oligarchico che, nella Weltanschauung di Godani, ha un contraltare: il contropotere delle masse (che sono qui in un'attesa forse inconsapevole della "scarica" canettiana); masse che questo contropotere vivono come un fine più che un mezzo. A completare il gioco dei simboli è la nudità del palcoscenico rotta solo da lisce strutture chiare e squadrate: anonimi condomini senza né porte né finestre. Queste ultime significano apertura che permette di entrare, di uscire così come di far entrare e di far uscire. Non solo: per appoggiarmi nuovamente all'analisi canettiana dirò che porte e finestre sono i punti deboli della casa che permettono al nemico di penetrare e di violare la sicurezza. Nell'ambientazione voluta da Jacopo Godani l'assenza di aperture implica un'attenzione focalizzata sulla vita che si svolge, con le sue complessità, non tra le pareti domestiche, ma per le strade, dove la massa è visibile e può quindi fare proseliti. La vita è per le strade, sotto gli occhi di tutti; i singoli che compongono la massa si sono scelti, nei giochi di potere, un posto super partes per tentare di ricostruire un'esistenza dove si possa ancora parlare senza timori. Ma fino ad allora (fino alla "scarica") la massa è come imprigionata en plein air, tenuta sotto osservazione da chi i giochi di potere li costruisce per avvalersene.

Nella coreografia di Godani c'è un'interessantissima corrispondenza movimento-musica. Il coreografo ligure ha voluto usare Les noces di Stravinskij non certo per riproporre narrativamente, pur magari reinterpretandoli, i quattro quadretti di vita russa (la benedizione della sposa, la benedizione dello sposo, le nozze, la partenza). Si è avvalso di questa splendida musica per la sua suggestività. Come egli ha spiegato durante il citato incontro presso il Ridotto dei palchi "Arturo Toscanini", Les noces è cantato in russo, una lingua per lui incomprensibile ma che trasporta in un mondo fantastico. Il pezzo stravinskiano è dunque "una colonna sonora perfetta per un balletto che ha tanta voglia di gridare, di sbattere la testa contro il muro". Il rapporto che hanno avuto i ballerini con la musica, continua il coreografo, è stato fresco perché essi - lui stesso in testa - non hanno intellettualizzato la musica: l'hanno vissuta, ballando di conseguenza.