La signora Elvira e Fido

Un nome semplice, banale, eppure così appropriato per un cane.

Si chiama Fido ed è un bel bastardo dalla taglia grande, dal pelo corto e nero e dalla testa forse un po' grossa, ma ben fatta.

– Fido, – chiama la padrona mentre lo accarezza teneramente.

Il cane alza il suo sguardo celeste, vacuo, ma non vede nulla perché non potrà mai più vedere nulla.

Intanto la signora mi racconta una storia fortunatamente a lieto fine. Glielo portò tre anni fa uno studente in agraria che lo aveva trovato ferito, guaiolante, lattonzolo, giù dalla scarpata, lungo una strada di campagna.

La signora conosceva lo studente da tempo perché veniva regolarmente da lei per acquistare uova fresche dato che la donna allevava galline a questo scopo. Abitando egli in un condominio non gli era possibile tenersi il cane, così la pregò “quasi con le lacrime agli occhi” di tenerlo presso di sé; spazio ce n’era e lui avrebbe contribuito alle spese che la famiglia avesse dovuto sostenere.

Così avvenne.

– Non si potè fare a meno di amare subito questa povera bestia, – continua la signora Elvira con voce un po’ rotta. Chissà quanto male aveva alla testa. A toccarlo qui, sulla fronte, si sentiva che dentro scricchiolava tutto; e gli occhi… avrebbe dovuto vedere gli occhi: gonfi, chiusi, pieni di pus. –

Poi passa a spiegare che la sua figliola, ogni mattina, spalmava sulla testa del cane una pomata che aveva procurato lo studente, quindi provvedeva a pulire gli occhi con medicamenti adatti. E la bestia guaiva, si lamentava per il male, ma rimaneva immobile.

– Sono sicura, – conclude la signora Elvira, – che capiva come tutto questo fosse per il suo bene. Alla fine la ragazza annunciava: Ecco, Fido, ho finito. Ed esso le leccava le mani pieno di gratitudine. –

Finalmente guarì, ma rimase cieco in modo irrimediabile. Di ciò venne edotto lo studente che, lì per lì, non volle arrendersi.

– È sicura, signora, che Fido sia veramente cieco? –

– Sicurissima. Del resto può accertarsene con facilità. –

Il ragazzo se ne accertò e a malincuore dovette arrendersi all’evidenza.

– Be', allora pagherò il veterinario perché lo venga a sopprimere, – mormorò a stento.

Era una saggia decisione; e all’apparenza la famiglia continuò la sua vita in modo normale, ma nascostamente l’uno dall’altro, ciascuno in cima ai suoi pensieri, aveva Fido.

Questo lo si capì quando, di lì a un paio di pomeriggi, dalla finestra videro uno sconosciuto svoltare nel viottolo fino a giungere in cortile.

– Dev’essere il veterinario, – mormorò qualcuno.

A questo punto la signora, che sta sempre raccontando, sorride:

– Pensi che razza di uomini coraggiosi ho io. Come furono certi che si trattava del dottore tutti e tre corsero a rifugiarsi dietro la casa; perciò rimasi io soltanto, poiché anche mia figlia, dopo qualche secondo di esitazione, li raggiunse. Il medico intanto controllò la bestia chiedendomi se ero proprio decisa a sopprimerla. Io sentivo che il coraggio mi stava abbandonando e per colmare la misura Fido aveva incominciato a guaire. “Vede?, disse il veterinario, questo cane ha già capito.” Nel frattempo lo andava tastando da tutte le parti, forse ansioso di trovare qualche imperfezione, e mugugnava tra sé scuotendo la testa: “Ha poco più di un anno di vita ed è sanissimo. Purtroppo è cieco completamente; ma questo non credo che conti, dopotutto.” –

Qui la signora non potendone più aveva tagliato corto annunciando che avrebbe raggiunto marito e figli; ma che per carità, facesse alla svelta, non prima però di averle dato la sua parola d’onore che Fido non si sarebbe nemmeno accorto di morire. Ma l’altro la bloccò con fermezza:

– Senta, facciamo così: se la bestia si ammalerà in futuro io tornerò per sopprimerla, ma ora come ora è un vero peccato ucciderla. Per lo meno io non me la sento. –

– E Fido è qui ancora con noi. Da allora son passati cinque anni. –