Gilda Gelati, prima ballerina scaligera, si racconta
18 settembre 2004
Gilda Gelati.
© Foto Graziella Vigo ‑ Teatro alla Scala
|
Gilda Gelati, prima ballerina del Corpo di ballo del
Teatro alla Scala, mi accoglie nella sua casa milanese per concedermi
un'intervista.
L'amabilità di quest'artista, la sua profonda modestia,
la sua indiscutibile capacità di comunicare senza diaframmi coniugata ad una
altrettanto indiscutibile capacità di ascolto, stemperano ben presto
l'intervista in una lunga chiacchierata, durante la quale tocchiamo svariati
temi e parliamo di gran parte dei professionisti della danza. Qui di seguito
viene presentata una sintesi.
Sento doveroso ringraziare Gilda Gelati per il tempo che
ha voluto dedicarmi, avendo sottratto a se stessa una parte del suo
"riposo".
Comincio con il chiederti di raccontarci la tua formazione. A
quanti anni hai iniziato a danzare?
Ho iniziato seriamente a dedicarmi alla danza a undici anni
presso la Scuola di ballo della Scala. A sei anni, però, mi ero iscritta ad una
scuola privata, frequentandola per un quinquiennio. Contemporaneamente alla
Scuola della Scala, ho frequentato il liceo (ed è stata dura fare entrambe le
cose!). Mi sono diplomata come ballerina a 18 anni e ho ottenuto un contratto
per un anno. Per ottenere quel tipo di contratto occorreva un diploma superiore
ad un certo punteggio. Successivamente ho fatto il concorso e sono entrata nel
corpo di ballo della Scala.
Come ballerina di fila?
Il concorso è unico e si diventa ballerina stabile. Mentre
all’Opéra di Parigi si avanza per concorsi, alla Scala si comincia come
ballerine di fila, poi si fa carriera fino a diventare prima ballerina. La
promozione avviene per meriti e se si affrontano ruoli di categoria superiore.
Il direttore della compagnia e i vari coreografi che portano i loro balletti
alla Scala decidono quali ruoli affidare ai diversi ballerini, quindi occorre
una certa dose di fortuna, dato che è fondamentale ottenere un ruolo attraverso
il quale emergere. Naturalmente la fortuna non basta, cioè non sostituisce la
mancanza di bravura, ed emergono sicuramente coloro che hanno talento. Questo
percorso si compie dai 20 ai 47 anni e poi si va in pensione.
A proposito di ruoli, quali sono quelli che prediligi?
Adoro i ruoli drammatici: personaggi con una storia in cui
calarti. Proprio oggi ho avuto la notizia che farò Tatiana nell’Onegin
di John Cranko. È forse il balletto che amo di più. I ruoli che amo meno sono
quelli virtuosistici: li reputo più superficiali.
Definisci John Cranko attraverso una sua qualità.
Una sua qualità? Ti fa sentire a tuo agio. Io ho ballato il
suo Romeo e Giulietta nel 1992 con Marco Pierin. Cranko è uno scultore
che plasma i tuoi movimenti sulle tue esigenze interiori. Tieni infatti conto
che cambiare coreografo vuol dire imparare movimenti che non sono quelli a cui
sei abituata.
Tornando alla tua formazione, c'è stata una situazione in cui
hai avvertito chiaramente l'esigenza di danzare?
Mi sono sempre sentita una ballerina. A sei anni sapevo
quello che volevo fare. Mia madre mi ha iscritto ad una scuola privata, come ti
ho detto, a San Donato, dove abitavamo.
All’inizio si è trattato di un percorso naturale, ma in
seguito è stata dura. Mio padre, infatti, non vedeva di buon occhio la danza,
nel senso che la riteneva una scelta radicale che avrebbe comportato molti
sacrifici: era come entrare in convento a undici anni. Inoltre i miei erano
legati ad un ideale di studio: mio padre, per darti un’idea, insegna geologia all’università.
Pensavano perciò che, facendo la ballerina, avrei avuto un futuro nebuloso;
anche dal punto di vista lavorativo giudicavano che non avrei avuto sbocchi.
Però io ho tenuto duro in quella che era ormai la mia scelta. Mi sono anche
impegnata a fare il liceo e questo lo hanno apprezzato.
Insomma, hanno capitolato per stanchezza.
Hanno proprio capitolato per stanchezza! E in seguito a
questa capitolazione mi hanno aiutata tantissimo.
C'è stato un momento in cui hai avuto chiara la percezione che
saresti diventata qualcuno?
No, poiché la danza era per me un’esigenza e non un mezzo
per diventare qualcuno. A tutt’oggi, se interpreto un ruolo, lo faccio per me
stessa e non per essere una prima ballerina che fa qualcosa d’importante.
Quali sono i must (per usare un termine che va di moda)
di una ballerina, cioè quei grandi balletti narrativi che ella non può esimersi
dall'interpretare?
Dipende dall’indole della persona. I ruoli a cui tutte
aspirano sono quelli nei grandi balletti interpretativi (Romeo e Giulietta,
ad esempio), sono le grandi donne, i grandi personaggi.
Fino a quanti anni, secondo te, si può danzare Romeo e
Giulietta mantenendo intatta la freschezza della gioventù? Oppure si può
continuare a ballarlo perché lo si investe della propria crescita sentimentale?
Dipende dalle qualità fisiche: occorrono elasticità e
giovanilità. Dal punto di vista fisico si è in grado di interpretare Giulietta
fino a 45 anni, non oltre. Non è vero che Giulietta è giusto ballarla
solo a vent’anni...
... anche perché il personaggio di Giulietta lo si comprende
maggiormente man mano che si vive, che si raggiungono, cioè, diversi livelli di
maturazione.
Sì, dici bene: è un personaggio completo.
Quando parlo di giovanilità intendo dire che occorre essere
credibili. Se ad esempio una ballerina ha un viso scavato, non risulta
credibile. Alessandra Ferri può interpretare Giulietta finché vuole perché ci
crede e ti fa credere di essere Giulietta.
Alessandra Ferri è anche convinta che Giulietta sia un ruolo
che va fatto crescere nel senso che, man mano che lei diventava donna e
comprendeva più profondamente Giulietta, ballando quel ruolo lo riempiva di
significati nuovi (non più la Giulietta contemplativa ma la Giulietta che ama
il contatto fisico con Romeo).
Siamo di fronte ad un ruolo cui tutte le ballerine aspirano
perché esso presenta una gamma completa di stati d’animo. Il pericolo è credere
che si tratti di un ruolo facile e quindi cadere nella meccanicità del gesto,
nel gesto finto, artefatto, costruito; nel mestiere, insomma.
Tra i grandi balletti narrativi ve ne sono alcuni, il cui
contenuto emotivo è tale da permettere al balletto di evolversi, dal punto di
vista coreografico, lungo i decenni (abbiamo citato Romeo e Giulietta).
Ma è sempre assolutamente lecito ritoccare del continuo un balletto?
Spesso mi domando che diritto ha, un balletto che vive di
vita propria, di snaturare la coreografia originaria. Io sono legata al Romeo
e Giulietta di Cranko e a quello di McMillan. Non posseggo doti
coreografiche, ma credo che non bisognerebbe ritoccare troppo una coreografia,
tornarci troppo su. È come pasticciarla. Piuttosto si dovrebbe fare qualcosa di
radicalmente diverso.
Come ha fatto Mats Ek con Giselle o Rudolf Nureyev con Cenerentola.
Esatto. Secondo me ritoccare una coreografia solo per
sostituire una punta di Giulietta con una mezza punta oppure prevedere sei
amiche di Giulietta anziché tre oppure far indossare la giacca a Romeo, non ha
senso!
Danza accademica e danza moderna: può esistere un fecondo
contraddittorio tra le due parti o ritieni che si tratti di due atteggiamenti
tersicorei che non possono comunicare tra loro?
Avendo una formazione classica, faccio fatica a penetrare la
scelta di coloro che abbracciano altri stili. Da ballerina classica ti dico che
il linguaggio della danza moderna è interessante ed è un percorso che
desidererei fare, ma sono legata alla programmazione della Scala, quindi se le
coreografie che amerei affrontare non sono inserite nel cartellone, rinuncio
alla mia sete di balletto moderno. Ad esempio farò Sinfonia di salmi di
Kylian, perché è in programma: coreografie di questo tipo o la Giselle di
Ek o i lavori di Neumeier sono momenti artisticamente importanti per una
ballerina. Comunque affrontare la danza moderna significa accostarsi ad un
altro linguaggio che io trovo difficile da comprendere, anche fisicamente. Mi
attrae e vorrei affrontarlo in modo approfondito, ma se devo compiere un
percorso faticoso e quasi snaturante, mi chiedo se ne valga la pena.
Insomma, ritieni giusto dedicarti a cose che siano altro da
te, evitando però che queste sfide rappresentino la via del non ritorno; non
ritorno, intendo, del tempo investito nell’apprendere un linguaggio con cui hai
dovuto socializzare.
Ottima sintesi. Ad esempio ho ballato In the middle
di William Forsythe, ma non è un balletto che ho amato.
Neanch’io vado pazza per Forsythe. Trovo la freddezza del
costruttivismo nei suoi lavori.
Be', personalmente, se un coreografo è esasperato da se
stesso, dal proprio movimento, lo rifiuto.
Quali sono le tue esperienze legate alla danza moderna?
Durante i primi anni della mia carriera ho fatto molte cose.
La danza moderna richiede corpi giovani perché i movimenti sono più violenti. Ho ballato Alvin Ailey, Paul Taylor, William Forsythe, John
Neumeier, Glen Tetley. Di quest’ultimo ho danzato, da Ricercare,
un pas de deux. È una delle cose che più ho amato fare nella mia
carriera. In Ricercare c’erano Massimo Murru e Alessandro Grillo. Ho
anche danzato lo splendido Cage di Jerome Robbins! Ecco, questi sono i
balletti moderni che mi vengono in mente per ora.
Un tuo giudizio su Carolyn Carlson.
La trovo interessante, ma l'ho vista troppi anni fa (forse
dieci) e in quel periodo non pensavo che avrebbe potuto essere motivante
affrontare la sua produzione. Dovrei rivederla. Sono opere e stili che
normalmente non affronti, quindi ci devi arrivare per gradi, cioè attraverso i
diversi stadi di maturazione. Dovrei riavvicinarmici.
Giselle di Mats Ek: sconvolgente? realistica? apoetica?
Sconvolgente. Ek è una persona di grande valore e assai
gradevole.
La scena di nudo della Giselle che ho appena citato:
quale ne è la ratio? Allargo inoltre la domanda: tu sei favorevole a che
nella danza entri il nudo?
In Giselle di Ek il nudo è necessario e non è
volgare. Per rispondere alla seconda parte della domanda, ti dirò che io non
sono per il nudo nella danza e, come ballerina, non potrei fare un passo nuda.
Inoltre il coreografo che usa il nudo nei suoi balletti rischia di attrarre
spettatori non per il contenuto del suo lavoro, ma per le scene audaci.
Forse lo scopo è attrarre tout court (leggi: vendere).
Quello del danzare nudi o quasi nudi, rappresenta un
equilibrio precario tra l’arte e l’ostentazione. Ad esempio a me non
infastidisce la scena di Giselle di cui parlavamo prima, mentre
infastidisce il ballerino con il sospensorio che semplicemente cammina sulla
scena. Altro caso: in Bolero la protagonista indossa un body
nero: non è nuda ma il corpo si vede e va bene, è bello.
Bolero
è un inno alla sensualità, ma un inno di grande raffinatezza. Confesso di amare
la sensualità nella danza (se non diventa volgare, naturalmente: partiamo
sempre dallo stesso presupposto) perché funziona benissimo. Penso a Suzanne
Farrell nel balletto sulle Carceri d’invenzione di Piranesi: nella scena
di seduzione del secondino la Farrell si produceva nella giusta sensualità.
Così come forte ma equilibrata e funzionale sensualità è quella di Zizi
Jeanmaire nella scena della camera da letto in Carmen.
Senti, delle nudità in Pina Bausch che cosa mi dici?
Pina Bausch non esibisce il corpo: si tratta di seni nudi
che servono e basta.
Anche perché la Bausch è espressionista e l’espressionismo è
esasperazione e deformazione e non esibizione.
A proposito di esibizione, nel Pomeriggio di un fauno
di Nijinski ho visto ballerini che ostentavano davvero se stessi. In un
orecchio ti dirò a chi, in particolare, mi riferisco.
Il Pomeriggio di un Fauno è proprio uno di quei
balletti nei quali l’equilibrio di cui parlavi prima è assai precario e dove il
rischio di danzare in modo esasperato la propria sessualità (più ancora che
sensualità) c’è tutto.
Esatto.
Ed ora veniamo al lavoro con il coreografo: quali ne sono le
problematiche?
La problematica principale è legata al fatto che ti trovi a
dover imparare un altro linguaggio. (Naturalmente molto dipende dall'indole dei
danzatori, non in quanto danzatori ma in quanto persone.) Un'altra cosa ‑
per vero strettamente legata alla prima ‑ da tener presente è che i
coreografi sono abituati a lavorare con la propria compagnia: quando si trovano
di fronte ballerini con cui non lavorano normalmente, devono ricominciare da
zero. Sta nella bravura degli assistenti "plasmare" i ballerini non
avvezzi al nuovo stile. L'impegno maggiore è proprio quello degli assistenti: insegnano
la coreografia, lo stile, la parte del corpo di ballo, le parti dei solisti…
tutto, insomma. E quando il coreografo arriva, gli assistenti sono i più
agitati! Capita che egli non sia soddisfatto del lavoro compiuto dal ballerino
magari da un mese a questa parte, così manda in scena un altro.
Tra gli assistenti esistono grandi nomi?
Pompea Santoro, ad esempio, la quale è stata la ballerina di
Ek per anni. In genere sono ex ballerini della compagnia a fare il lavoro di
assistenti.
Come avviene la scelta dei solisti chiamati a danzare una
nuova opera?
Il coreografo e gli assistenti guardano la compagnia e ne
valutano l'organico. Il direttore del Corpo di ballo dà indicazioni. Poi
avviene la scelta. Al termine del lavoro può succedere che non venga raggiunto
il risultato atteso.
Roland Petit è uno dei più "pericolosi" sotto il
profilo dell'insoddisfazione. È capacissimo di dirti, il giorno prima di andare
in scena, che non vai bene e in scena manda un altro cast.
Succede
insomma un po' come nell'opera lirica. In un'intervista condotta da Paolo
Patrizi e da Ennio Speranza a quella che essi definiscono la "coppia
d'assi" Freni-Ghiaurov, gli intervistatori lamentano il (o, per usare le
loro parole, sono colpiti dal) fatto che "un grandissimo direttore come
Muti è cosa degli ultimi anni tratta i cantanti come i calciatori: c'è una
'panchina' e lui decide con minimo anticipo chi canterà alla prima. Non si sa
fino all'ultimo chi scenderà in campo." Patrizi e Speranza sostengono
infatti che "il pubblico abbia diritto a pagare il biglietto sapendo prima
anche chi canta, non solo chi dirige."
Ma torniamo alla danza. Gli assistenti, quindi, fanno lavoro
plurimo, dovendo preparare vari cast.
Sì, fanno il lavoro doppio o triplo. Del resto occorre
sempre poter disporre di due o tre cast, per avere la possibilità di operare
sostituzioni dovute non necessariamente al capriccio del coreografo, ma ad
esempio anche a malattia.
Che cosa hai danzato di Petit?
Il suo Pipistrello e mi sono divertita tantissimo, ma
ero terrorizzata perché non avevo mai affrontato suoi balletti. È andato tutto
molto bene, devo dire. Sai, quando c'è Petit in sala è come quando c'era
Nureyev: non vola una mosca!
Zizi Jeanmaire: hai lavorato con lei?
No.
Ho profondamente apprezzato la sua Carmen perché lei non
impersona, ma è Carmen. Ritengo comunque che ella abbia avuto la grossa fortuna
di incontrare Petit che l'ha fatta sbocciare.
Roland Petit e Zizi Jeanmaire si sono, a mio avviso,
"costruiti a vicenda".
Veniamo alla problematica delle scarpette da danza che
rappresentano le dolenti note di una ballerina. Quanto ci si impiega a
prepararle e perché le si fa durare spesso non più a lungo di uno spettacolo o
addirittura di un atto?
Impiego un'ora e mezza a preparare un paio di scarpette che
durano a volte solo una prova. Passo le mie serate a cucire punte mentre guardo
la televisione. Martedì partiamo per una tournée in Brasile con il Sogno
di una notte di mezza estate di Balanchine: metà valigia sarà riempita di
scarpette! Dunque, daremo dieci spettacoli e io danzerò in sette, quindi mi
porterò quindici paia di punte.
Un bel balletto, il Sogno.
Il primo atto ha davvero un'atmosfera da sogno, mentre il
secondo è come il terzo dell'Addormentata: è un divertissement.
Si tratta, insomma, di un balletto classico.
Parlami del tuo rapporto con Balanchine.
Ho avuto la fortuna di ballare molto Balanchine. Ho ballato Agon,
Apollon Musagète, Sérénade, Rubies lo scorso anno, I
quattro temperamenti.
Hai citato alcuni tra i lavori balanchiniani che prediligo. E Violin
concerto l'hai danzato?
Ho danzato un passo a due da quel balletto.
Qual è la conformazione fisica ideale per chi si accosta alla
danza in modo professionale? E le maggiori difficoltà (non solo fisiche ma
anche psicologiche)?
Entra in gioco una serie di elementi. La danza classica ha
canoni molto rigidi e occorre rispettare un insieme di proporzioni. La regola
numero uno è la magrezza, poi vengono la forma del collo del piede, la linea
delle gambe, la lunghezza del collo, il seno che non deve essere grosso per non
comunicare un senso di goffaggine, la necessità di una giusta proporzione tra
busto e gambe, braccia lunghe, testa proporzionata. Quando dai uno sguardo
d'insieme al corpo di ballo, noti subito quello che non va. Inoltre occorrono
sia forza fisica sia elasticità, gusto del movimento (che non deve
assolutamente essere goffo, ma elegante), coordinazione, eleganza ed armonia
nelle posture statiche. Questa è la visione dal versante fisico, mentre da
quello psicologico dico che è necessario saper convivere con il senso del
limite che deriva dal dolore fisico il quale nasce dal fatto che si lavora con
il proprio corpo.
Quanto tempo libero ha una ballerina? Tu che cosa fai nel tuo
tempo libero?
Il tempo libero è poco. Il mio tempo libero lo dedico a
curare il mio corpo: massaggi, agopuntura e tutto quello che serve per
rimettere in sesto la macchina. Lunedì è il mio giorno libero e lo passo in
questo modo. In estate si ha più tempo libero e si riesce a fare più cose.
La maternità è un momento critico per una ballerina. Quanto
tempo prima del parto deve smettere di danzare e quanto tempo dopo può
ricominciare?
Cambia da persona a persona. Io non ho bambini, comunque
vedo che le mie colleghe si fermano quasi subito, anche perché un bambino lo si
fa a ventinove-trent'anni, non a venti, altrimenti ci si rovina la carriera.
Dopo il parto passano quattro-cinque mesi prima di ricominciare non dico a
ballare, ma a fare gli esercizi.
La Makarova
disse che, subito dopo il parto, provò una grande gioia quando ‑ a letto ‑
poté finalmente stendere le gambe in alto.
Cambiamo, ora, argomento. Per un ballerino la scelta della
partner è spesso anche dettata da criteri pratici: di altezza adeguata e non
troppo pesante. Una ballerina, invece, quali criteri segue?
Be', è il direttore che decide. Noi colleghi ci conosciamo
molto bene e andiamo d'accordo: ci siamo Sabrina Brazzo, Marta Romagna e io,
poi Alessandro Grillo, Mick Zeni, alcuni solisti ed infine ‑ con
contratto come ballerini ospiti ‑ Roberto Bolle e Massimo Murru. Tra gli
altri balletti, con Bolle ho danzato Romeo e Giulietta, Tre preludi
di Ben Stevenson, La vedova allegra, mentre con Murru Lo
schiaccianoci e un pax de deux da Ricercare di Glen Tetley.
Due danzatori eccelsi non necessariamente riescono ad
affiatarsi tra loro e a produrre in tal modo spettacoli indimenticabili.
Capita spesso. Del resto è il direttore che decide chi balla
e con chi. Se viene deciso che si danza con un ospite, si spera che arrivi con
un congruo anticipo per provare. In genere, nell'attesa dell'arrivo
dell'ospite, si prova con un collega che fa, per così dire, il tappabuchi.
Problemi ce ne possono essere, ovvio, ma io non ritengo corretto impuntarmi
perché non voglio ballare con questo e con quello. Certo, si può aver litigato
con il partner, ma lo si fa presente al direttore e si supera, per il bene
dello spettacolo. Grazie al cielo sono terminati i tempi di Nureyev.
Erano i tempi di assolutismo e di capricci. Hai lavorato con
Nureyev?
Non direttamente. Ero nel corpo di ballo in spettacoli in
cui egli si esibiva. Mi ritengo fortunata ad appartenere ad una generazione che
non deve ballare con lui. So che era una vera opportunità quella di ballare con
Nureyev, ma se devo…
… farmi sbattere per terra, come faceva con alcune sue
partner…
… esatto, farmi sbattere per terra, allora no, grazie,
preferisco non danzare con lui!
Del resto
Nureyev, oltre ad essere un grandissimo, ebbe un'importanza storica per essere
stato il primo ballerino ad aver defezionato (seconda fu la Makarova). A questo
aggiungi che possedeva un ego gigantesco, tanto da potersi permettere di tutto,
compresa la direzione d'orchestra. Tempo fa parlavo con una violoncellista che
fu diretta proprio da lui, la quale mi disse: "Noi orchestrali facevamo il
nostro lavoro, nonostante Nureyev."
Raccontami il tuo ricordo (positivo o negativo) più pregnante.
Romeo e Giulietta di John Cranko, ballato nel 1992,
come ti dicevo, è un ricordo splendido. Infatti prima di quell'anno non avevo
mai interpretato ruoli di vasto respiro, ma grazie ad un maestro fantastico
come Robert Steiner, ho voltato pagina. Ho cioè capito che cos'era la danza e
dove dovevo arrivare: non è importante fare bene l'audizione o la lezione,
perché la danza è un'altra cosa.
Un altro ricordo positivo è stata la tournée a Mosca
di due anni fa con la Giulietta di McMillan: ballarla al Bolshoj è stata
una grossa emozione. Ho avuto modo di apprezzare la grande disciplina dei
ballerini russi e il loro atteggiamento nei confronti della danza.
In Russia c'è una forte tradizione ballettistica e ai
ballerini in pensione viene riservato un palco a teatro per poter assistere a
tutti gli spettacoli. E poi vedessi quale cura tutti, comprese le sarte e
coloro che lavorano in teatro, riservano agli artisti!
Qui da noi vige la mentalità che lo spettacolo più
importante sia la prima. Al Bolshoj, invece, hanno mostrato interesse non solo
per lo spettacolo, ma anche per il lavoro delle ballerine italiane, perciò
hanno voluto vedere tutte e tre noi: Alessandra Ferri, Marta Romagna e me.
Al Bolshoj ho conosciuto la prima Giulietta russa: Raissa
Struchkova, la quale mi ha fatto dono di un libro che testimonia il suo cammino
artistico.
Presso la Scuola del Bolshoj si è formato Vladimir Derevianko,
il quale è poi entrato a far parte della Compagnia del teatro omonimo.
Sì. Derevianko è una persona molto estrosa. È direttore della
Compagnia di Balletto della Sachsische Staatsoper Semperoper di Dresda. Là ho
lavorato con lui per un anno.
Della scuola del Kirov che cosa pensi?
L'Accademia Vaganova del Kirov è una struttura enorme.
Appena entri trovi i busti della Vaganova da una parte e di Petipa dall'altra.
L'Accademia consta di trecento allievi che possono usufruire di ventotto sale.
Anche lì si vede l'amore estremo per la danza.
Ha una grande verve
scenica e uno stile dotato di senso dell'umorismo e dell'autoironia.
Un'ultima domanda: qual è l'arte che ami maggiormente dopo la
danza?
La musica. Entrambi i miei genitori sono appassionati di
lirica e mia madre s'è diplomata in pianoforte a Parma.