Intervista a Lorena Coppola, presidente della Fondazione "Léonide Massine"

30 luglio 2005

Lorena, da sempre ti muovi tra teatro e danza. Com'è nato questo tuo interesse?

Posso dire che questo interesse è nato con me. Da bambina sognavo di fare l’acrobata ed ho sviluppato forti inclinazioni artistiche sin dalla tenerissima età. Ricordo che da piccola adoravo ascoltare musica classica e trascorrevo interi pomeriggi ad allenarmi, sognando di poter provare un giorno l’ebbrezza di salire su un trapezio, oppure inventavo prove teatrali dai temi più svariati, ispirandomi idealmente a spettacoli che poi avrei rappresentato nella mia fantasia. I salti e le pirouettes erano il mio passatempo prediletto, che preferivo alle bambole o ad altri giochi che potevano attrarre le bambine della mia età. È qualcosa di innato e di assolutamente inspiegabile, la cui potenza mi ha spinto poi ad intraprendere la strada dell’arte, superando anche gli ostacoli più duri.

Parliamo di teatro. Tu hai conseguito la laurea in lingue con una tesi sperimentale sull'affascinante e ricchissimo teatro elisabettiano. Puoi sintetizzare la tua tesi?

Il titolo della mia tesi di Laurea è “Identità letteraria e simbolica di Elisabetta I nelle rappresentazioni del suo tempo”. Per gli elisabettiani il mondo era un grande teatro, dove l’uomo, protagonista della scena sociale, recitava ogni giorno il dramma della gerarchia dell’essere e del contrasto fra apparenza e realtà. In un’epoca di grandi cambiamenti, in cui la mobilità sociale era fortissima, i sovrani erano pienamente consapevoli delle potenzialità comunicative del teatro e se ne servivano come strumento di manipolazione dell’opinione pubblica atto a visualizzare sfere gerarchiche secondo precise strategie di potere. I momenti più significativi della loro esistenza erano celebrati con cerimonie spettacolari, il cui scopo era rappresentare la regalità ai sudditi. La messinscena dei rapporti gerarchici era fondamentale come rappresentazione interpretativa e mimetica della dinamica sociale, quindi lo spettacolo racchiudeva in sé le problematiche connesse alla realtà con la quale si attuava l’interscambio; tali problematiche erano spesso affrontate in chiave simbolica, caratteristica che, nel periodo Tudor, ed in particolare durante il regno di Elisabetta I, assunse una peculiare pregnanza significativa. Elisabetta I era nata dalla discussa unione fra Enrico VIII ed Anna Bolena, che era costata al Re la scomunica papale ed aveva segnato l’inizio del Protestantesimo in Inghilterra. Durante tutto il suo regno Elisabetta dovette combattere contro l’accusa di illegittimità e le rivendicazioni al trono da parte degli Stuart; per questo motivo, tutte le rappresentazioni date in suo onore furono caratterizzate da connotazioni simboliche orientate, incentrate essenzialmente sui temi della stabilità e della continuità. Fu necessario allestire un potente apparato simbolico in grado di far accettare l’idea di una sovranità interamente femminile e tale aspetto allegorico fu sviluppato attraverso gli entertainments del suo tempo, che costituiscono uno degli esempi più interessanti di rappresentazione teatrale: da fenomeno puramente spettacolare ad essenziale veicolo di idee.

C'è una delle attività da te svolte che mi incuriosisce: quella di sottotitolatrice nel settore cinematografico. Me ne puoi parlare?

L’attività di sottotitolatrice è iniziata un po’ per caso e mi ha portata a contatto con un mondo estremamente affascinante. Creando sottotitoli ci si ritrova in un certo senso all’interno di un film, e viverlo dal di dentro dà la sensazione di contribuire in parte alla sua stessa creazione.

Il sottotitolaggio è una forma di traduzione molto complessa, in quanto comporta il trasferimento dalla lingua orale alla lingua scritta, che, in certi casi, richiede anche una forma di traduzione intersemiotica. Si tratta di un lavoro estremamente delicato, in quanto si hanno a disposizione pochissime battute per esprimere il significato di frasi molto più lunghe. Il rapido passaggio da una scena all’altra e l’attenzione ai vari cambi di immagine impone la necessità di rendere il massimo significato in pochissimo spazio. Compito difficilissimo del traduttore, per rispettare il contenuto originale del film, è dunque sforzarsi, traducendo con limiti spazio-temporali molti rigidi, di conservare le caratteristiche culturali e linguistiche del prototesto.

Quali sono i tuoi rapporti con il cinema? Tu preferisci il cinema o il teatro?

Trovo il cinema estremamente interessante, ma preferisco di gran lunga il teatro, dove l’emozione è sempre forte e spontanea ed ogni istante è irripetibile.

Veniamo ora alla danza. Léonide Massine: il coreografo di cui ti sei innamorata al punto da sentirti spinta ad istituire, nel 1995, una fondazione a suo nome. Perché proprio Massine?

È una storia un po’ magica. Molti anni fa conobbi uno dei figli di Massine, in modo del tutto casuale. In seguito a questo incontro fortuito scoprii la straordinaria opera di suo padre, che accese in me la scintilla del fuoco sacro dell’arte. Istintivamente mi misi alla ricerca della sua autobiografia, ormai fuori edizione, che ritrovai solo dopo lunghe ricerche a Londra. Decisi subito di tradurla in italiano e ne fui talmente affascinata da essere spinta a voler realizzare il suo sogno incompiuto di creare una Fondazione artistica che potesse rappresentare un punto d’incontro per danzatori, coreografi, musicisti, pittori, scrittori ed artisti di ogni disciplina, per collaborare alla creazione di nuove opere, secondo un principio di interazione tra tutte le arti.

Léonide Massine è una delle figure più grandi della storia della danza: uomo ed artista completo, dalla straordinaria sensibilità, imbevuto della cultura europea, è stato protagonista delle principali correnti evolutive nella storia del balletto e, in senso più ampio, dell’arte del suo tempo.

A distanza di dieci anni, qual è il bilancio che ti senti di stilare sulle attività della Fondazione?

In tutti questi anni ho dovuto combattere molto per portare avanti con le mie sole forze una Fondazione artistica nella situazione ormai difficilissima in cui versa la danza, ma sono soddisfatta dei risultati raggiunti sinora, che, proprio perché ottenuti con molti sforzi, hanno un valore maggiore. Quando si persegue un obiettivo con tenacia e dedizione ed i risultati alla fine arrivano, sia pure fra mille difficoltà, il bilancio è sempre positivo.

Puoi parlarmi di qualche ballerino, tra quelli di fama mondiale con i quali hai avuto a che fare per il tramite della Fondazione?

Molti. Ad iniziare dal grande Vladimir Vassiljev, una persona straordinaria. E poi ancora Carla Fracci, Lindsay Kemp, Vladimir Malakhov, Raffaele Paganini, Antonio Marquez, Luciana Savignano, per citarne solo alcuni, ma ce ne sarebbero tanti altri. Ammiro molto chi sa unire alla grandezza artistica l’aspetto umano e non perde mai di vista la sensibilità che sola consente di fruire delle grandi emozioni che la danza può trasmettere.

Sappiamo che in Italia la danza non versa in condizioni ottimali. Tu che cosa hai da dire al riguardo?

Dico che ci vuole più gente con competenze prettamente artistiche nei “posti di comando” in cui si decide circa la fattibilità o meno delle produzioni, e che ci vuole molta più apertura mentale anche da parte degli stessi artisti, molti dei quali purtroppo, fa male dirlo, spesso si lasciano sovrastare da sterili gelosie e rivalità a vari livelli. Tutto ciò è estremamente improduttivo e dannoso per la danza. Sostengo che, in generale, ci vuole molta più sensibilità verso la danza e all’interno della stessa danza, in direzione di spinte costruttive, volte all’unico obiettivo comune di far rinascere quest’arte così sublime. Solo così le cose potranno davvero cambiare.

Qual è la situazione del Teatro San Carlo di Napoli, con il quale collabori a vario titolo?

Il Teatro San Carlo di Napoli è un grande teatro, dalla tradizione antichissima e ricchissima, ma che purtroppo risente della crisi generale che attualmente colpisce tutta la danza in Italia, per cui vi sono sempre meno produzioni, nonostante il potenziale artistico dei ballerini davvero dotati di cui dispone. In più, il San Carlo vanta una delle migliori scuole di danza, che produce ogni anno molti talenti. È un vero peccato che lo sviluppo di un teatro così importante sia purtroppo, allo stato attuale, frenato da un rallentamento produttivo. Si spera in un futuro migliore.

Qual è l'importanza del "Premio Positano Léonide Massine per l'Arte della Danza", la cui XXXIV edizione avrà luogo il prossimo 3 settembre nello scenario naturale della Spiaggia Grande di Positano, sotto la direzione artistica di Alberto Testa?

Il Premio Positano Léonide Massine per l’Arte della Danza è un prestigiosissimo evento internazionale dedicato interamente alla Danza, considerato uno dei massimi riconoscimenti per il mondo del balletto. I più grandi artisti di tutto il mondo ne sono stati insigniti, e, nel corso della sua storia, la manifestazione, inoltre, non ha mai perso di vista i giovani talenti emergenti, segnalandoli all’attenzione del pubblico e della critica più qualificata. Si è venuta a creare, in tal modo, una classificazione di Premi al Merito (ai giovani artisti), al Valore (agli artisti affermati e alle celebrità), i Premi di Riconoscimento (ai giovanissimi) e le Targhe Speciali. È ormai un appuntamento annuale attesissimo in tutto il mondo.

Tu stessa ti occupi attivamente di danza, in particolare come danzatrice di flamenco. Com'è nato l'interesse per questo genere di danza?

Un mio amico mi aveva fatto ascoltare della musica flamenca, che mi aveva rapita dal primo istante, poi ho visto dei gitani ballare e sono stata letteralmente travolta dalla potenza espressiva di questa danza, che mi ha catturata per non lasciarmi mai più…

Un tema che trovo di grande fascino: quello del rapporto che esiste tra danza e musica nel flamenco.

Nel flamenco i canoni musicali sono del tutto atipici. Ciò che caratterizza questo genere di danza è il compás, ossia la struttura di accenti, il cui disegno ritmico varia secondo i diversi stili della musica flamenca, e al quale il danzatore deve attenersi strettamente. È un tipo di danza che presuppone generalmente la musica dal vivo e fra il danzatore ed i musicisti è necessaria una grande intesa. È come una fusione armonica, in cui il danzatore, con il ritmo incalzante del suo battito di piedi, diviene egli stesso musica.

L'Andalusia ha una tradizione di danza molto particolare. Me ne puoi parlare?

L’Andalusia è la patria del flamenco. La tradizione di danza andalusa è un argomento vastissimo, che richiederebbe una trattazione a parte. Sintetizzando, mi sento di dire che il flamenco nasce in Andalusia ma poi diviene cultura universale. Il flamenco non è solo arte o tecnica, ma un modo di sentire e di esprimersi. Qualcuno ha scritto che “… essere flamenco è avere un'altra carne, un'altra anima, altre passioni, un'altra pelle, altri istinti, desideri; è avere un'altra visione del mondo, con il senso grande; il destino nella coscienza, la musica nei nervi, fierezza indipendente, allegria con lacrime; è il dolore, la vita e l'amore che incupiscono. Essere flamenchi significa odiare la routine e il metodo che castra; immergersi nel canto, nel vino e nei baci; trasformare la vita in un'arte sottile, capricciosa e libera; senza accettare le catene della mediocrità; giocarsi tutto in una scommessa; assaporarsi, darsi, sentirsi, vivere!”

So che uno dei tuoi attuali interessi è rappresentato dalla possibilità di realizzazione di un ideale: quello di fusione tra diverse espressioni artistiche: danza, musica, pittura e poesia. Personalmente annetto grande importanza alla sinergia tra le arti. Purtroppo, però, spesso una tale operazione viene realizzata da chi ritiene di poter raggiungere l'ideale di cui sopra semplicemente giustapponendo le arti anziché farle dialogare. Che cosa occorre fare, secondo te, affinché tutti possano comprendere a fondo il valore dell'ideale che tu ti stai adoperando per raggiungere?

È stato il più grande insegnamento di Massine. Non considerare nessuna arte come fine a se stessa. Richard Wagner sosteneva che “l’obiettivo di ogni disciplina artistica può essere raggiunto solo con la cooperazione di tutte quelle ad essa correlate e che ciò che non è possibile ottenere lavorando singolarmente in una disciplina lo sarà considerandole tutte insieme.” È tuttavia un compito difficilissimo, che richiede una grande apertura. Senza compenetrazione reale fra le varie forme di espressione artistica tale ideale non è raggiungibile. La mera giustapposizione non rappresenta una vera fusione, la quale può avvenire solo entrando nelle cose e lasciandosi penetrare da esse. Danzando devo divenire musica, e le luci che avvolgono il mio corpo devo viverle come un pittore che accende un’alba coi suoi colori, devo comprendere le prospettive e disegnare col mio corpo gli spazi come un architetto farebbe con la sua matita su un foglio. È necessario aprirsi alla conoscenza, saper uscire da se stessi, evolversi, divenire. Ogni elemento deve permearsi dell’altro, come luce che tracima…

Voltiamo pagina per un'ultima domanda. Tu svolgi anche attività di traduttrice. In quale misura, secondo te, la traduzione di un classico può o deve essere libera?

La traduzione di un classico a mio avviso può essere libera nella misura in cui rispetti le intenzioni e l’ispirazione dell’autore. Conservando questa aderenza, la libertà stilistica può anche apportare arricchimento ad un’opera.