Un simbolico Requiem per la cultura al Teatro Massimo
Vincenzo La Scola assieme al Coro e al Corpo di Ballo del
Teatro Massimo durante il concerto di protesta del 25 novembre 2005 per i
tagli del Fus al settore spettacolo.
Foto Studio Camera Palermo
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Un simbolico Requiem per la cultura al Teatro Massimo: quello del 25 novembre 2005. E una
battaglia da vincere con l’appoggio di tutti.
"... venga riattribuito alla
Cultura l’insostituibile ruolo dell'identità storica, artistica e
sociale di una Nazione, elemento primario e insostituibile di progresso,
naturale misuratore del grado di civiltà di un popolo, alla quale tutti i
cittadini debbono per diritto naturale accedere." Queste parole del nostro Presidente Carlo Azeglio Ciampi sono il
simbolo del vessillo che tutti i teatri italiani hanno innalzato il 25 novembre
2005 per denunciare in modo forte l’intenzione dell'attuale Governo di
smantellare il settore dello spettacolo attraverso il drastico ridimensionamento
del FUS previsto dalla legge finanziaria 2006-2008.
Già la situazione dei nostri teatri era giunta al limite del
collasso ed, anzi, era auspicabile una maggiore considerazione da parte dello
Stato in questo settore strategicamente importante e fondamentale per la
crescita culturale del Paese, sicché appare addirittura paradossale che con un
provvedimento, che avrà come logica conseguenza l’affondamento della cultura,
si possa pensare a risollevare la finanza pubblica in quanto le risorse a favore
dello spettacolo, tra l’altro essenziali per la sopravvivenza del settore,
rappresentano solo una percentuale minima nel bilancio dello Stato italiano.
Nonostante ciò, qualche tempo fa, è stato riportato da tutta
la stampa nazionale che il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha avuto
pubblicamente da ridire, parlando del Teatro alla Scala, sui suoi troppi
dipendenti e sulle loro paghe da artisti. Un modo per cercare di convincere
l’opinione pubblica della giustezza dei provvedimenti facendo evincere che i
già ridicoli fondi assegnati a questo settore non sono altro che sprechi da
evitare. Ne è seguito un dibattito animato nel quale si è distinto in
particolare Roberto Bolle in quanto la categoria dei ballerini è stata, sempre
in quell’occasione, particolarmente colpita dagli strali del Presidente del
Consiglio che ha parlato, oltre che di troppo personale, anche di ballerini che
finiscono di lavorare a 40 anni e continuano a ricevere lo stipendio sino ai 65
anni. Il nostro fuoriclasse della danza, che tutto il mondo ci invidia, ha
risposto a rima ribattendo riguardo al troppo personale che “nel suo settore
gli addetti e il corpo di ballo sono il minimo indispensabile per fare una
programmazione con titoli da grande repertorio: Il lago dei cigni o La
bella addormentata. Siamo un centinaio, all´Opéra di Parigi sono 160”,
aggiungendo che: “Lavorando qui non ho
mai notato che ci sia gente che non fa nulla, anzi. Io questi esuberi proprio
non li vedo”. Mentre per quanto riguarda l’età pensionabile dei ballerini
ha contestato l’informazione falsa che ne è venuta fuori dicendo: “Purtroppo no, non è vero, magari fosse così.
La carriera di un ballerino è limitata, il fisico viene messo a dura prova per
raggiungere certi livelli. È il lavoro di un atleta. Il corpo di ballo deve
essere fatto da giovani. All´Opéra i ballerini vanno in pensione a 42 anni. In
Italia le donne vanno in pensione a 47 anni, gli uomini a 52. Molto, troppo
avanti. Bisognerebbe rivedere l´età della pensione, ma al ribasso.” (La
Repubblica, 19 ottobre 2005).
Marilena Montuoro, Vincenzo La Scola e Simone Alaimo durante il
concerto di protesta del 25 novembre 2005 per i tagli del Fus al settore
spettacolo.
Foto Studio Camera Palermo
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È anche intervenuto pubblicamente il Sovrintendente del
Teatro alla Scala, Stephan Lissner, che ha presentato dati numerici per fare
chiarezza dichiarando che dal 1999 al 2005 il contributo pubblico è diminuito
dal 53 al 41% e che nel 2004 la Scala ha ricevuto contributi pubblici per 44,3
milioni di euro (di cui 32 di FUS) mentre l’Opéra di Parigi ne riceve 94,4;
Monaco 48,5; Vienna 51,5; unica eccezione il Covent Garden (34,1) ma a Londra i
contributi dei privati sono defiscalizzati, aggiungendo che i dipendenti fissi
del teatro milanese sono 745 e 168 a termine mentre a Parigi sono 1584, a
Monaco 862, a Vienna 915, a Londra 866 (Sole 24 ore, 12 novembre 2005).
A margine di questo acceso scambio di vedute, ci si chiede
che speranze ha la danza, che si dibatte in una crisi senza soluzioni, di
essere tenuta in considerazione, di poter crescere, di potere riemergere quando
la vita stessa dei teatri è messa in discussione e quando il lavoro dei
ballerini viene addirittura messo in cattiva luce a mezzo di disinformati
messaggi e ingiuste accuse.
Mentre nessuno si indigna per i contratti stratosferici dei
vari conduttori televisivi o delle star del calcio, è sconcertante che si
continui invece ad attaccare anziché difendere e sostenere la cultura, della
quale i teatri fanno giustamente parte, ed il suo ruolo fondamentale per la
crescita civile della nazione. Non è accusando di abusi e sprechi un settore
che ha certamente innumerevoli problemi da risolvere, oltre quello fondamentale
della propria sopravvivenza, che si può curare il malato. Occorre invece che
venga fatta una reale disamina dei problemi e che vengano finalmente tracciate
le linea guida per una seria riforma del settore aprendo un ampio confronto
sulle politiche culturali del Paese e, nello stesso tempo, ci si impegni,
intanto, a favore dell'indispensabile recupero integrale di un fondo in ogni
caso già largamente insufficiente.
Il Corpo di ballo del
Teatro Massimo protesta per i tagli del Fus al settore spettacolo durante il
concerto del 25 novembre 2005.
Foto Studio Camera
Palermo
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La Finanziaria 2006 prevede un taglio del 40% di tutte le
risorse pubbliche per lo spettacolo, fra decurtazione del Fondo unico,
eliminazione delle quote lotto destinate al settore e minori trasferimenti agli
Enti Locali. Quest'operazione, in un momento già di estrema precarietà,
accentuata anche dal disinteresse, dalla disinformazione e dalle politiche fin
qui fin qui adottate, metterà a rischio migliaia di posti di lavoro,
l'impoverimento dell'attività artistica e la diminuzione dell'offerta al
pubblico in special modo per la lirica e per la danza. Il continuo andamento al
ribasso negli ultimi anni del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo che finanzia
tutte le attività del settore nel quale sono compresi cinema, musica, teatro,
danza, circhi e spettacolo viaggiante) sta diventando allarmante in quanto a
breve metterà in ginocchio tutto il settore. Il FUS per il 2006 era stato
infatti previsto per 464 milioni di euro. In prima istanza, la Finanziaria lo
aveva diminuito per oltre il 35% portandolo a 300 milioni di euro: un disastro
per tutti, scongiurato con il reintegro in parte della somma, pur sempre
insufficiente rispetto alle necessità del settore, riportata a 385 milioni di
euro (ben 79 milioni in meno rispetto al fondo precedente) dopo le vibranti
proteste di tutto il mondo dello spettacolo. Ma le proteste non hanno salvato
il fondo per il 2007 e per il 2008, quando lo stesso scenderà gradualmente ad
appena 300 milioni di euro: assolutamente insufficienti per far sopravvivere il
settore. E non dobbiamo dimenticare che in tempi non lontani, esattamente nella
precedente legislatura, cioè prima di quest'ultimo governo, il FUS raggiungeva
la cifra di 520 milioni di euro e che se il finanziamento fosse stato adeguato
in coerenza con la legge che lo istituì nel 1985 oggi, dopo un ventennio,
sarebbe dovuto essere di 800 milioni di euro mentre rispetto a quell'anno è
sceso addirittura del 38%.
La cultura deve essere considerata il primario fattore di
sviluppo e di crescita civile e sociale del nostro Paese e rappresenta un bene
e un diritto per tutti. La cultura è un investimento per la crescita civile
delle future generazioni, è movimento economico ed occupazionale, è fonte di
straordinaria creatività, di talenti da valorizzare, di aggregazione sociale.
L’Italia, per storia e tradizione, ha nel teatro e nella musica le sue
espressioni culturali più alte: è stata la culla del melodramma, è stata la
patria di grandi compositori e di grandi artisti. Disperdere questo grande e
storico patrimonio culturale, artistico e civile del nostro Paese, significa
negare i cittadini di un proprio diritto. Non può essere dimenticato che il
sostegno pubblico è essenziale per l’occupazione di circa duecentomila addetti
del settore dello spettacolo e che quest’ultimo restituisce allo Stato, ogni
anno, molto di quanto riceve, in imposte, tasse e contributi. Proprio in un
momento di serie difficoltà economiche del Paese, è doveroso investire in quelle
risorse che possono produrre reddito e occupazione altamente specialistica e lo
spettacolo è certamente tra queste, con il suo valore aggiunto di crescita
culturale e qualitativa della vita.
Il Corpo di ballo del Teatro Massimo protesta per i tagli del Fus al
settore spettacolo durante il concerto del 25 novembre 2005.
Foto Studio Camera Palermo
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Per tutti questi motivi, il 25 novembre 2005, nelle
principali città italiane dove hanno sede le Fondazioni liriche, è stata
eseguita contemporaneamente la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi in un
concerto simbolico straordinario promosso da tutti i lavoratori dei teatri e da
tutte le Confederazioni sindacali come forma di protesta contro i tagli del FUS
e di sensibilizzazione di cittadinanza ed istituzioni sulla morte annunciata di
tutte le attività dello spettacolo.
Alle ore 19 di venerdì 25 novembre, sul palcoscenico del
Teatro Massimo di Palermo il tenore Vincenzo La Scola ha spiegato al foltissimo
pubblico presente i motivi della protesta, mentre alle sue spalle era schierato
il Coro ed ai due lati il Corpo di Ballo che sosteneva cartelli con su scritto
"L’arte non si spegne"; "Requiem della danza"; "La
danza immobile". L’Orchestra in buca ha poi iniziato a suonare sotto la
direzione del direttore stabile maestro Jan Latham Koenig il Dies Irae della
Messa da Requiem di Giuseppe Verdi. Sul palco hanno cantato con grande
partecipazione il mezzosoprano Marilena Montuoro, Vincenzo La Scola e il basso Simone
Alaimo. Il concerto è proseguito con crescente entusiasmo del pubblico con un
secondo tempo dedicato all’esecuzione di arie e sinfonie verdiane (Trovatore,
Macbeth, Forza del destino, Attila, Don Carlos) e si è
concluso col Va pensiero dal Nabucco che è stato anche bissato.
Momenti di grande commozione e di intensa partecipazione che si sono conclusi
con applausi scroscianti ed entusiastici che ci hanno fatto capire quanto la
gente ami il teatro ed è stato veramente bello vedere che il pubblico era composto
da tantissimi giovani che hanno assistito con attenzione, competenza e
commozione alla toccante manifestazione.
Con la speranza che tutto ciò possa servire ad illuminare
chi decide in questo momento sul destino dei nostri teatri e della cultura, mi
piace concludere con questa bella frase di Roberto Benigni: “La cultura pesa di
più ma fa muovere il mondo. La cultura dà i sogni e i sogni non si toccano.”