Mi sovviene di Cosima

In questi giorni mi è venuta alla mente Il segreto di Cosima, una favola scritta da mia madre, Celeste Chiappani Loda, tratta dalla sua opera Dall'altra parte (favole e fiabe forse solo per adulti) (Torino, 2003). Questa favola è incentrata sulla danza e mi è molto cara per tre ragioni.

La prima ragione è il fatto che la favola in questione è nata ‑ assieme a tutti gli scritti contenuti nel volume citato ‑ dalla collaborazione di mia madre e di mio marito, Alexandre Rodichevski. Quest'ultimo ha fornito gli spunti, cioè, come viene spiegato nell'introduzione del volume, "idee-lampo, scaturite dalla fantasia in modo estemporaneo e rappresentanti [il] nucleo", mentre mia madre ha elaborato tale nucleo attraverso un "lavoro che indulge al dettaglio e che si avvale di una fantasia adeguata, la quale non prevarica mai un'attenzione scrupolosa alla realtà."

La seconda ragione è l'argomento: la danza accademica.

La terza ragione è costituita dei ricordi legati all'educazione culturale ricevuta dai miei genitori. Mia madre si occupò soprattutto della parte artistica e umanistica, mentre mio padre di quella scientifica. Quindi era principalmente mia madre a portarmi a mostre, spettacoli, conferenze ad argomento artistico, letterario, musicale, tersicoreo, mentre con mio padre privilegiavamo viaggi naturalistici ed incontri ad argomento scientifico.

In particolare Il segreto di Cosima ha mosso in me il ricordo di quando – bambina – i miei genitori mi portavano al Teatro alla Scala per farmi seguire alcuni tra gli spettacoli in cartellone.

Amavo il Teatro alla Scala, per me tempio insostituibile. Ogni volta che vi andavamo, non potevo evitare una visita al suo museo. Per me, inoltre, rappresentava un rito, durante l’intervallo, lasciare la platea dove eravamo seduti, salire le scale che mi conducevano alle gallerie e aspettare che qualche porta si aprisse, lasciandomi intravedere da un’altra prospettiva l’interno di quei palchi che avevo osservato dalla platea. Tra i miei ricordi ci sono i velluti rossi e le maschere all'entrata, i profumi, il cicaleccio del pubblico prima che cominciasse lo spettacolo. Soprattutto c’è il momento in cui l’orchestra accordava gli strumenti. Allora non sapevo che l’accordatura seguiva regole precise: pensavo che gli orchestrali provassero coscienziosamente un’ultima volta i pezzi più difficili, prima che il direttore d’orchestra salisse sul podio. Rappresentava uno stordimento benefico, per me, il momento dell’accordatura: ultima piccola follia del coacervo di suoni che precede lo spettacolo. L’acme del prespettacolo. Poi silenzio e immobilità. Il direttore d’orchestra che entra nel golfo mistico, si accomoda sul podio e comprende in uno sguardo circolare i professori. La musica che comincia. Il sipario che si apre.

Questi ricordi affiorano vividamente ogni volta che rileggo Il segreto di Cosima. Ho invidiato – figurando me stessa ancora bambina – Cosima, per la possibilità che aveva di conoscere ogni angolo del teatro di cui suo padre era custode. Ho vissuto con lei l’emozione fortissima che la prendeva nell’entrare, non vista, nell’ufficio del direttore per venerare, una volta ancora, il primo tutù e le prime scarpette dell'étoile Irella Dian. E ho pensato a quale volto dare alla Dian: quale, cioè, tra i volti delle più grandi ballerine realmente vissute. Ma non ho portato avanti il gioco, sapendo che mia madre non si è riferita a nessuna étoile in particolare.

Non voglio addentrarmi a raccontare le mie reazioni nei confronti di quanto accade a Cosima, perché seguirei la trama della favola, svelando al lettore tutto quanto, sino alla parola fine inclusa. La tentazione, certo, è grande, ma mi ritiro in buon ordine e cedo il passo all'opera.