pubblicato su Il
Giorno e su Controcampo
Moltissimi scrivono poesie, e c'è chi di ciò si lagna.
Tra costoro Dario Bellezza che, in un'intervista rilasciata anni fa a Il
Giorno, asserisce, nudo e crudo, che ciascuno dovrebbe fare il proprio
mestiere: che la casalinga spignatti, che il medico scriva ricette, che il
calzolaio incolli suola a tomaia…
Ma chiariamo subito, al Poeta romano il fatto che un mucchio
di gente scriva poesie non importa come fatto in sé; si arrabbia in un secondo
tempo, quando cioè, questa fiumana di gente si mette a leggere, gratis, le
proprie opere. Secondo Bellezza tanto meglio sarebbe invece che ai Poeti veri,
ai Poeti consacrati con tutti i crismi dell'ufficialità, fossero concessi dei récital
remunerativi. Può darsi che abbia ragione, non sto a dire, però spero che
mi permetta di opporgli un'argomentazione piccina piccina. Ecco, secondo me
possono essere svariati i motivi che spingono un tizio a far poesia: da un
sincero bisogno di esternare ciò che Amore (in senso assai lato) "ditta
dentro", alla ricerca d'una risposta agli urticanti interrogativi
esistenziali, alla sete di gloria tout court.
Che poi la quasi totalità di questi sedicenti poeti non
conosca i propri limiti e si macchi di millantato credito è un altro paio di
maniche.
Ma proprio a queste… maniche i Poeti con la P maiuscola,
che pubblicano non a loro spese, che interessano i mass-media, che con i loro
versi, forse, potrebbero campare la vita (anche mangiando solo "rape e
fagioli", ma in piena libertà, come augurava a se stesso l'Ariosto),
dovrebbero trarre soddisfazione sufficiente da non sentire il bisogno di
prendersela tanto con la "zavorra". Che male fanno, poveretti,
costoro, se si accontentano di leggere i loro scritti ad una radio privata,
magari alle cinque del mattino, la quale ha ascoltatori per un raggio di
due-trecento metri; oppure si accontentano di scriverli questi loro versi
nell'ultimo angolo dell'ultima pagina del Bollettino parrocchiale?
Questa la mia controprotesta apparsa nella rubrica Lettere al Direttore de Il Giorno.
Ci fu un periodo durante il quale mi avvalsi spesso di
questo mezzo per esprimere con sarcasmo o con infuocati accenti d'indignazione
il mio disapprovare leggi ritenute ingiuste, decisioni a livello comunale
ritenute assurde, comportamento, a dir poco, amorale di personaggi politici e
non, azioni del singolo che possano danneggiare la collettività. In conclusione
lancia in resta e carica a testa bassa in un'accanita lotta senza quartiere, ma
totalmente inutile contro tutto ciò che può essere etichettato sotto il nome di
ingiustizia. La quale, purtroppo, rappresenta il tessuto connettivo della
condizione umana.
E fin qui nulla di più normale che ricevere di tanto in
tanto plauso o disapprovazione da parte di altri lettori, sempre attraverso la
stessa rubrica, essendo, in genere quelli da me trattati, argomenti di
carattere generale, più o meno recepiti da tutti.
Ma quale fu la mia sorpresa, dopo la lettera soprascritta, ricevere addirittura due telefonate. Una da
parte di una signora di Bergamo, dalla voce coltivata, che mi manifestò
addirittura gratitudine per quanto avevo scritto, dandomi l'impressione che,
senza volerlo, le avessi fatto da portavoce.
L'altra telefonata invece mi venne da Lissone (Milano). La
voce di questa signora, al contrario di quella della prima, era rozza ed il suo
linguaggio piuttosto dimesso. Linguaggio che ella inframmezzò con vocaboli del
dialetto brianzolo. Anche questa signora colse il nocciolo della questione e
concluse il suo breve discorso con un indignato: "Ma cosa vuole questo
Bellezza e Bellezza. Non gli basta quello che ha? Che lasci in pace gli altri e
che stia zitto!"
Non aggiungo commenti.