Un tram meneghino ha raccolto attorno a sé 12 racconti e 12 canzoni. Intervista
a Martina Fragale
6 novembre 2017
Un 2x12. Ecco il titolo del
percorso narrativo-musicale a doppia firma: Martina Fragale alla parola e Giordano Dall'Armellina
alla musica.
Edito da La Vita Felice, il volume con CD
racconta le problematiche di sempre e quelle, del tutto nuove, generate da una società
che cambia. Una teoria di personaggi, con fragilità, aspirazioni,
determinazione, incertezze, curiosità, scoramenti, che cammina nella vita. E
prende il tram numero 2: quello che taglia Milano da sud a nord e che Fragale definisce "una carovana di storie".
Qual è la percentuale di verità (o d'invenzione, se
preferisci) nelle storie che hai raccontato?
La
copertina di Un 2x12.
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Diciamo che più che su verità o finzione, la mia scrittura
scorre sul filo della verosimiglianza. Mi spiego. Le mie due principali fonti
di ispirazione sono i caffè - in cui vado a scrivere - e la strada. In questi
due ambiti, a volte saccheggio storie più o meno compiute ma nella maggior
parte dei casi capto spunti... che poi elaboro e trasformo in trame. A volte
capita che un gesto si trasformi in personaggio (come nel caso di Elvira),
altre volte lo spunto viene da una conversazione sentita per caso, e poi
sviluppata in una trama. Quindi, per risponderti: nessuna delle storie è vera
ma in tutte c'è un'alta percentuale di verosimiglianza.
Tu, che sei avida di storie, se non avessi caffè e strada, ma
fossi costretta a scrivere racconti, dove troveresti l'ispirazione?
Buona domanda. Credo che opterei per uno dei cosiddetti
"non luoghi": amo moltissimo le stazioni, gli autogrill e gli
aeroporti... sono uno straordinario collettore di storie, tanto più spontanee
perché la gente - quando è di passaggio - è molto più "vera", meno
filtrata (io in primis). Mi è capitato di fare chiacchierate bellissime sui treni o
nelle notti passate in aeroporto. Ho incontrato sconosciuti con cui ho parlato
dei massimi sistemi per ore. È anche vero, però, che stazioni, autogrill e
aeroporti non sono altro che un prolungamento della strada e dei caffè... ma
che ti devo dire? Per me la scrittura nasce sempre e comunque dall'incontro con
il mondo esterno. E questo sia per quanto riguarda il giornalismo, sia per
quanto riguarda la narrativa.
A Milano ci vivi. Oltre a questa conoscenza diretta, a cui
attingi a piene mani, come ci hai detto, a quali altre fonti ti sei rifatta?
Penso all'episodio della Giusi, ad esempio.
Martina Fragale e Giordano Dall'Armellina.
© Martina Fragale.
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L'episodio della Giusi mi è stato suggerito da Giordano
Dall'Armellina ed è tratto da Un amore partigiano di Mirella Serri. Idem per il Capolinea: anche
in questo caso è stato Giordano a raccontarmi la storia di quello che è stato
un vero e proprio tempio del jazz. Per quanto riguarda gli altri spunti storici
- l'Acquario, il torrione fascista di piazzale delle Milizie - mi sono rifatta
alla conoscenza del territorio che ho maturato negli ultimi anni grazie a due
esperienze. Nel 2014 sono stata coautrice di una guida psicogeografica
alla Milano underground, edita da Agenzia X. L'esperienza è stata bellissima e
mi ha aperto un mondo. Fare psicogeografia, significa
rileggere il territorio percorrendolo a piedi. In pratica mi sono fatta chiometri su chilometri nei luoghi più impensabili
riscoprendoli da capo. La seconda esperienza è work in progress ed è anche in
questo senso di tipo psicogeografico. Da due anni
collaboro con Gianni Biondillo al progetto "Sentieri_Metropolitani". Il che significa che voltiamo
le spalle al Duomo e ci incamminiamo verso le periferie, riscoprendo le storie
di una Milano poco conosciuta e raccontandole poi a chi ci segue. Il profilo di
Milano che emerge è qualcosa di sorprendentemente diverso da ciò a cui siamo
abituati. Tanto che spesso, la gente che ci segue se ne esce con una frase del
tipo "Non sembra neanche di essere a Milano!"
Quanto c'è di autobiografico nei tuoi racconti?
In molti dei personaggi che ho descritto, c'è una scheggia
di me ma nessuno mi corrisponde del tutto. In questo senso, rispetto al mio
romanzo - Chez Alì - c'è stato un decisivo cambio di
passo. Mi sono messa in sordina. O forse, semplicemente sono cambiata. Se è
vero, infatti, che nessun personaggio mi corrisponde in toto, è vero però che sento molto mio il filo conduttore che li
lega: il loro essere "liquidi", costituzionalmente fragili. Nessuno
di loro è tagliato col coltello, nessuno ha delle certezze. E in questo mi
riconosco molto. Almeno come esemplare di quella che Zygmunt
Baumann chiamava "la società liquida" (con
la differenza che io non intendo questa liquidità
come un elemento peggiorativo, ma come un puro e semplice dato di fatto).
Certa filosofia dei tuoi personaggi da chi l'hai mutuata?
Dalle persone che hai realmente incontrato o è la tua? Un esempio fra i tanti:
"I tram mi piacciono, mi sono sempre piaciuti. Quel loro scorrere sui
binari è un po’ come viaggiare senza rinunciare alle radici."
Questa è mia! Anche se in realtà è una frase nata su un
treno. Ho sempre con me un piccolo taccuino in cui prendo appunti su pensieri
miei, frasi captate qua e là, personaggi incontrati strada facendo. I miei
taccuini hanno una doppia funzione: mi fanno da album dei ricordi (causa
disordine cronico, non riesco a collezionare foto) ma anche da "magazzino
letterario". In buona parte la filosofia dei miei personaggi - come la
chiami tu - si riduce semplicemente a frammenti di pensieri, non sempre miei.
Forse le uniche filosofie (volutamente non compiute) che mi riflettono sono le
riflessioni finali di Ettore, in Capolinea
e il discorso di Ida sulla teoria dell'anima gemella, in Via Arena.
Quale ritratto di Milano pensi che il lettore tragga dal tuo
libro?
In realtà, sarei proprio curiosa di saperlo! Mi piace sempre
molto cercare di guardare alla scrittura con gli occhi di un pittore. In questo
senso credo che un lettore vedrebbe la Milano del mio libro come un acquarello.
Una realtà diluita e dominata dalle sfumature, più che da tinte forti. Tanto
per quanto riguarda i personaggi, tanto per ciò che concerne il paesaggio
urbano.
E tu, che ritratto hai voluto darne?
Se ci fai caso, lo scenario esterno - nei miei racconti -
c'è e non c'è. Non è dominante. Questo perché - almeno per me - Milano è una
città fatta di carne, più che di pietra. Parlare di Parigi, significa
raccontare la bellezza dei suoi luoghi e la loro storicità. La cosa più bella e
interessante di Milano - invece - sono i milanesi. E per milanesi intendo (e la
bellezza del paradosso sta tutta qui) tutti i "non milanesi" che ci
vivono. Milano è ibrida, come se fosse un porto... molto più di Genova - per
esempio - che un porto ce l'ha sul serio!
Qual è il tuo rapporto con Milano?
Il mio legame con Milano è nato negli ultimi anni, anche se
a Milano ci sono nata. Sono stata esterofila per molto tempo finché un giorno
mi sono resa conto di non conoscere di fatto il posto in cui vivevo.
Parafrasando Proust, il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi
luoghi ma nel guardare alla realtà con un nuovo sguardo. L'esotismo, a voler
ben vedere, lo abbiamo in casa. Per questo, come ti dicevo, la psicogeografia è stata un passaggio fondamentale perché mi
ha permesso di "riappropriarmi" di una città che non avevo mai
veramente messo a fuoco. E l'ho fatto, casualmente, in concomitanza con un
cambiamento che ha reso Milano molto più bella e più viva rispetto a prima. In
questo credo che Expo 2015 abbia giocato un ruolo determinante, ma la strada
era già stata spianata dai cambiamenti al vertice che ci sono stati, dall'ex
sindaco Giuliano Pisapia in poi.
Che tipo di scrittore onnisciente è Martina Fragale?
Uno scrittore che cerca di essere il meno ingombrante
possibile e che quando fa capolino da dietro le quinte, vorrebbe non essere
intercettato dallo sguardo del pubblico. È strano, ma questo libro - che mi
corrisponde in modo profondo - è anche la cosa meno egocentrica che abbia mai
scritto.
Perché e in che modo sei egocentrica nei tuoi scritti?
Be', in Chez Alì, Magda mi
corrispondeva molto. Era anche l'io narrante, tra l'altro. Qualcosa che ora,
per me, sarebbe impensabile: tanto il fatto di creare un personaggio-specchio,
quanto il fatto di guardare alla storia che creo da un unico punto di vista.
Preferisco lasciare frammenti di me in tanti personaggi diversi. In fondo,
credo che questo dipenda da un profondo cambiamento che ho maturato negli
ultimi anni: un cambiamento che riguarda me stessa e il mio modo di guardare al
mondo. Te lo esemplifico parlando di frutta e verdura, così magari riesco a
spiegarmi meglio. Fino a pochi anni fa pensavo a me stessa come a una pesca: la
polpa fuori (la maschera, i condizionamenti) e il nocciolo dentro, cioè l'identità.
Ecco, ora ho radicalmente cambiato prospettiva. Più che a una pesca, mi sento
simile a una cipolla fatta di più e più strati. Senza un nocciolo. Credo che la
mia scrittura sia diventata meno egocentrica per questo motivo.
Da che cosa è nata l'esigenza di complementare i racconti con
le canzoni (nel libro definite "quadri appesi alle storie")? Ovvero:
perché l'esigenza di dire quello che i racconti tacciono o sfiorano soltanto?
In realtà la domanda andrebbe capovolta. Prima sono nate le
canzoni e poi i racconti. E ancora prima delle canzoni, è nato il progetto: non
di un libro, ma di una forma narrativa basata sulla sinergia di musica e
letteratura. L'idea è nata da Giordano che un bel giorno mi ha lanciato la
sfida: sviluppare i racconti secondo un doppio binario in cui le canzoni
svelassero qualcosa che il racconto aveva lasciato in filigrana. La realtà è
fatta di sfaccettature, non detti, punti di vista: le canzoni cercano di
conferirle la sua giusta dose di tridimensionalità. Globalmente, il progetto
nasce con l'idea che sia possibile "narrare" una storia utilizzando
due linguaggi artistici differenti.
Qual è stata la modalità di lavoro fra te e Giordano Dall'Armellina?
Lavorare con Giordano è stato straordinariamente semplice.
C'è molta sintonia e soprattutto siamo bravi a non pestarci i piedi a vicenda.
Come ti dicevo, il progetto è nato su ispirazione sua... io ci ho messo il tema
del tram inteso come "carovana di storie". Dopodiché, le prime a
nascere sono state le canzoni: ho scritto i testi dopo aver abbozzato molto per
sommi capi trame e personaggi dei racconti. Giordano ha composto la musica
partendo dai miei testi, con qualche adattamento. I racconti, nella loro forma
finale, sono arrivati alla fine.