Intervista a Paola Palmisano, psicoterapeuta

10 febbraio 2016

In campo psicologico (inteso in senso ampio) esistono diverse figure professionali. Per citarne qualcuna: psicologo, psicoterapeuta, arteterapeuta, danzaterapeuta, musicoterapista, drammaterapeuta, councellor mindfulness, conduttore di bioenergetica, operatore di biodanza. Ritieni che questa ramificazione sia utile e poggi sempre su basi intellettualmente solide e accreditate oppure rischi di disorientare coloro che intendono prendersi cura del proprio benessere psichico?

Innanzitutto credo che sia importante precisare che non tutte le discipline che ostentano di avere come obiettivo il benessere psichico possono rientrare all’interno di quello che si può identificare come “campo psicologico”. Questo non vuol dire che tali discipline non possiedano delle più o meno valide basi teoriche, ma che tali basi non sono le medesime su cui si fonda la psicologia; basi che sono, peraltro solide e riconosciute. Sicuramente la presenza di così tante e diverse discipline può generare confusione e disorientamento e pertanto, prima di avvicinarsi a una qualsiasi di esse con l’intento di prendersi cura del proprio benessere psichico, sarebbe necessario informarsi in modo accurato sulle basi su cui si fondano, sulle competenze delle figure professionali che se ne occupano e su quali siano gli obiettivi che realisticamente si potrebbero raggiungere intraprendendo un percorso piuttosto che un altro, al fine di poter operare una scelta in modo consapevole.

Sono convinta che molte fra le discipline sopra citate possano dare spunti di riflessione a chi le avvicina come utente, ma certo non suppliscano un percorso psicoterapeutico. Che cosa ne pensi?

Sicuramente molte fra le discipline sopra citate possono offrire agli utenti degli spunti di riflessione interessanti, però è importante precisare che il disagio psichico rientra nelle competenze della professione dello psicologo, il quale possiede delle specifiche conoscenze diagnostiche e un altrettanto specifico bagaglio di nozioni che poggiano su basi solide e riconosciute. Per tale motivo sono assolutamente d’accordo riguardo al fatto che avvicinarsi a una disciplina che non sia effettivamente riconosciuta come psicologica non possa in alcun modo supplire un percorso di tipo psicologico o psicoterapeutico.

Ci sono persone che pensano che psicologo e psicoterapeuta siano la stessa figura professionale. Inoltre in psicoterapia esistono diversi orientamenti (psicodinamica, cognitivo-comportamentale, ericksoniana, analisi transazionale…). Ci puoi aiutare a fare chiarezza?

Comincerei subito con il precisare che sia lo psicologo sia lo psicoterapeuta sono figure professionali orientate alla cura del disagio psichico. Le due professioni presentano differenze per quanto riguarda il percorso formativo e la natura della loro attività professionale.

Lo psicologo è laureato in psicologia, ha superato l’esame di stato per l'abilitazione professionale e si è iscritto all’Albo professionale (sezione A) dell’Ordine degli Psicologi.

Il percorso formativo per diventare psicoterapeuta, invece, è più lungo. Occorre essere, innanzitutto psicologo o medico chirurgo, regolarmente iscritto al proprio Albo professionale. In secondo luogo occorre frequentare una scuola di specializzazione in psicoterapia della durata di almeno quattro anni.

Lo psicologo svolge la propria attività professionale in settori molto diversi: ad esempio nel settore clinico, occupandosi di disagio psichico; nel settore scolastico, promuovendo il benessere psicologico all’interno degli istituti scolastici; nel settore organizzativo, operando per migliorare il funzionamento di aziende e industrie; nel settore accademico, svolgendo ricerca e insegnamento.

Lo psicologo può fare una diagnosi utilizzando il colloquio e gli strumenti diagnostici, come ad esempio i questionari e i test di personalità; può utilizzare gli strumenti di valutazione, di prevenzione e di intervento sul disagio psichico, può occuparsi di prevenzione e di intervento sul disagio psichico dei propri pazienti promuovendo la consapevolezza dei propri modi di pensare, di sentire e di agire e rinforzando le loro capacità di vivere in autonomia e benessere.

Le differenze nello svolgimento dell’attività professionale dello psicologo e dello psicoterapeuta si basano sul fatto che lo psicoterapeuta è l’unico abilitato a fare psicoterapia, ossia il trattamento finalizzato essenzialmente a ricostituire o rafforzare l'efficienza funzionale della personalità e basato sull’interazione tra lo psicoterapeuta e un paziente, una coppia, una famiglia o un gruppo.

Per fare questo lo psicoterapeuta utilizza specifiche tecniche terapeutiche di intervento.

Vista la grande varietà di scuole di specializzazione, gli psicoterapeuti possono operare con metodologie di lavoro molto diverse tra loro. Per tale motivo sarebbe importante farsi un’idea preventiva di come lo psicoterapeuta lavori, prima di intraprendere un percorso terapeutico, e chiedere senza remore al professionista a cui ci si rivolge quale sia la sua formazione professionale e quali siano i suoi titoli.

Proverò ora a fornire un breve chiarimento riguardo all’esistenza dei diversi orientamenti e alle differenze che li contraddistinguono.

Innanzitutto occorre operare una distinzione tra la modalità di psicoterapia, che riguarda le persone a cui la terapia è rivolta e il tipo di psicoterapia, che riguarda l’approccio teorico e le tecniche pratiche della terapia.

Si distinguono, quindi, diverse modalità di psicoterapia in base alle persone che sono coinvolte nel percorso psicoterapeutico. Alcuni esempi di modalità di psicoterapia possono essere la psicoterapia individuale, quella di coppia, quella familiare, quella di gruppo, quella di comunità.

Il tipo di psicoterapia si differenzia, invece, in base alla teoria e alla pratica che lo psicoterapeuta utilizza nel suo lavoro. Nel corso di questo e dello scorso secolo si sono sviluppati moltissimi approcci teorici e pratici diversi, moltissimi punti di vista sull’uomo e sulla sua salute psicologica e quindi i tipi di psicoterapia sono oggi tantissimi (anche se non tutti sono riconosciuti parimenti dalla comunità scientifica).

I vari tipi di psicoterapia agiscono su aspetti diversi dell’essere umano, ma tutti hanno come obiettivo quello di migliorare lo stato di benessere e di aiutare le persone a realizzare il proprio potenziale. Ciascuno lo fa, però, da un punto di vista diverso.

L’esperienza umana è composta da una serie di elementi che provengono da dimensioni differenti tra cui la dimensione fisica (che riguarda la fisiologia del corpo umano, le sensazioni e le percezioni provate), quella emotiva (che riguarda le emozioni, i sentimenti, l’umore), quella cognitiva (che riguarda i pensieri, le immagini e le convinzioni), quella comportamentale (che riguarda le azioni), quella interpersonale (che riguarda le relazioni con gli altri) e quella spirituale (che riguarda il rapporto con Dio e con le questioni esistenziali della vita).

I diversi approcci teorici e quindi i differenti tipi di psicoterapia si focalizzano maggiormente su una o più delle dimensioni dell’esperienza umana.

Tutti i tipi di psicoterapia mirano, comunque, a stimolare dei cambiamenti negli individui affinché raggiungano o amplifichino il proprio benessere pur partendo da punti di vista diversi.

Poiché ritengo che sia molto importante che le persone debbano potersi informare, poter pensare e poter scegliere in modo consapevole, consiglio a tutti coloro che intendono intraprendere una psicoterapia di chiedere direttamente al professionista quali metodologie utilizza nella propria pratica clinica e di riflettere se tali metodologie siano congeniali alle loro esigenze e al loro modo di essere.

In quale misura e in quali circostanze la psicoterapia è utile a promuovere un cambiamento nel paziente?

L’incontro terapeuta/paziente rappresenta già di per sé un “cambiamento”. La psicoterapia funge, quindi, da elemento catalizzatore di un processo spontaneo.

Il terapeuta deve interagire con il paziente con la finalità di favorire il cambiamento, senza essere né colui che lo dirige né colui che lo comanda.

Occorre partire dal presupposto che l’essere umano è libero, responsabile e capace di costruire il proprio benessere, e che, a qualsiasi età, si protegge nel modo migliore possibile secondo le risorse a sua disposizione e secondo i contesti in cui si trova. La psicoterapia può aiutare a prendere coscienza di tali ricchezze per trovare nuove opzioni, darsi nuovi permessi e nuove possibilità. Il cambiamento personale non si esaurisce con il raggiungimento della consapevolezza, ma tale comprensione viene utilizzata per prendere la decisione di agire diversamente e per procedere a farlo.

Ciascuno di noi, durante l’infanzia, impara comportamenti specifici e prende decisioni su di sé, sugli altri e sul mondo. Nel corso della sua crescita può darsi la possibilità di imparare strategie nuove e più funzionali che favoriscano il suo benessere.

Il processo di cambiamento ha inizio nel momento in cui la persona decide di prendersi cura di alcuni aspetti di sé e chiede aiuto. Prosegue nel momento in cui la persona è disposta ad individuare il proprio modo di stare al mondo e si rende consapevole delle strategie che ha sempre adottato, ma che ora non risultano più efficaci per relazionarsi con gli altri e risolvere i problemi.

A partire dal disagio e dalla richiesta del cliente, il terapeuta costruisce insieme a lui un progetto di cambiamento proponendo degli obiettivi che siano realistici e realizzabili.

Il cambiamento può considerarsi raggiunto quando il paziente consegue l’obiettivo che si è dato ed è capace di soddisfare i propri bisogni e realizzare i propri desideri in un modo funzionale e congruente. Si concede, quindi, l’opportunità di liberarsi dalle tensioni, non si sente più costretto da automatismi e modi di vivere rigidi e prestabiliti, incomincia ad interpretare le proprie esperienze secondo una visione flessibile di sé, degli altri e della vita. Sperimenta il contatto con le proprie emozioni, che possono emergere, essere elaborate e diventano quindi utili informazioni su di sé e una guida per nuove e più adattive modalità di contatto.

Il lavoro terapeutico è, quindi, una sorta di addestramento verso una nuova consapevolezza di sé.

Non dobbiamo dimenticare che il rapporto fra psicoterapeuta e paziente è una relazione fra persone e quindi non tutte le coppie terapeuta-paziente funzionano. Quali sono i criteri di scelta del terapeuta e come fa il paziente a capire che il professionista che ha scelto è adatto a sé?

Trovarsi bene con il proprio psicoterapeuta è sicuramente importante, ma fidarsi di lui lo è ancora di più. Trattandosi di una relazione tra due persone, naturalmente, non è detto che ci si debba trovare bene al primo colpo. La cosa importante è non perdere subito la fiducia nella psicoterapia in sé, in caso di esperienze poco edificanti e continuare a cercare il terapeuta che risulti più adatto. È importante avere la consapevolezza che potrebbe essere necessario doverne contattare e incontrare anche più di uno prima di trovare quello adeguato.

Vediamo ora quali possono essere i criteri per scegliere il proprio terapeuta.

Innanzitutto occorre decidere se si preferisce lavorare con un terapeuta uomo o una terapeuta donna. Questo tipo di scelta ha a che fare con la propria storia infantile, specie con i propri genitori. È una scelta importante che merita del tempo per rifletterci su.

Poi occorre decidere quale possa essere l’approccio teorico che si preferisce e visto che la maggior parte delle persone che ricercano un terapeuta possono avere poche conoscenze riguardo alle differenze tra i diversi approcci di psicoterapia, è necessario informarsi preventivamente oppure si può parlare di questo direttamente e senza remore con lo psicoterapeuta che è stato contattato e vedere se il suo approccio possa essere o meno congeniale alle esigenze di ciascuno.

È, inoltre, importante prendere in considerazione anche il fattore “costo”, in quanto intraprendere un percorso psicoterapeutico implica anche dover affrontare una spesa e quindi la componente economica è sicuramente un elemento di cui tener conto nella scelta del terapeuta.

Affrontiamo, ora, l’aspetto inerente l’ubicazione dello studio del terapeuta. Tale fattore è importante, ma occorre non privilegiare la vicinanza rispetto ad altri fattori, quali la competenza del terapeuta, l’approccio che segue e la relazione di fiducia che si può instaurare. Può essere preferibile percorrere un tragitto più lungo per raggiungere il terapeuta giusto per sé, che accontentarsi di un terapeuta meno adatto, il cui studio è ubicato a una distanza minore. Il tempo trascorso in autobus o in auto per raggiungere e lasciare lo studio del terapeuta possono, inoltre, rappresentare dei preziosi momenti di riflessione per prepararsi alla seduta e per assimilare gli apprendimenti maturati durante la seduta.

A questo punto occorre individuare i nominativi dei terapeuti o del terapeuta da contattare e ciò può avvenire nelle modalità più disparate ossia cercando sulle pagine gialle, su internet, chiedendo consiglio al proprio medico di base o basandosi sul passa parola. Tutti i canali sono buoni purché vi sia la consapevolezza che sia necessario valutare in prima persona se il professionista indicato sia adatto alle esigenze di colui che lo contatta.

A livello informativo è importante sapere che sui siti web degli Ordini regionali degli Psicologi sono visionabili le banche dati contenenti i nominativi di tutti gli psicologi iscritti all’Albo di una data regione e pertanto è possibile utilizzare tali banche dati per orientarsi nella scelta del terapeuta da contattare.

Quando sono stati selezionati i nominativi o il nominativo del terapeuta occorre effettuare una telefonata per fissare il primo appuntamento. La prima telefonata non è l’occasione per raccogliere molte informazioni. Di solito è un contatto breve che rimanda la conoscenza vera e propria al momento dell’incontro dal vivo. È, comunque, possibile porre alcune domande fondamentali per poter comprendere che tipo di professionista sia, (ossia se, ad esempio, è uno psicologo, uno psichiatra, uno psicoterapeuta) e quali siano i costi delle sedute. Visto che è normale essere piuttosto agitati durante questa prima telefonata, sarebbe auspicabile tenere solo in parziale considerazione le sensazioni che ne derivano e rimandare la valutazione al primo appuntamento. Proprio durante il primo incontro, infatti, si ricevono moltissime informazioni sia di tipo verbale sia di tipo non verbale e occorre essere molto attenti a tutti questi aspetti e chiedersi come ci si sente durante l’incontro e subito dopo. In tale occasione si possono rivolgere al professionista le domande che si ritengono necessarie per poter effettuare una scelta consapevole. È, quindi, possibile affrontare, ad esempio, gli argomenti relativi all’orientamento teorico del terapeuta, alla sua specializzazione, all’impostazione del percorso terapeutico, al costo, alla durata della seduta e di tutto il percorso terapeutico, a come ci si deve regolare in caso di assenza da una seduta o di disdetta eccetera. Dopo il primo incontro è auspicabile riflettere con attenzione su alcuni aspetti. Ci si potrebbe, ad esempio, chiedere se ci si sente abbastanza a proprio agio con questa persona; quanto il terapeuta si sia dimostrato in grado di ascoltare, valutando il tempo durante il quale ha parlato lui e quello in cui ha permesso al cliente di potersi esprimere. Specie durante le prime sedute il terapeuta dovrebbe porre molte domande per comprendere la natura del problema della persona che ha di fronte a sé. Altri aspetti su cui riflettere possono riguardare la qualifica, l’orientamento, l’esperienza del terapeuta incontrato e l’interesse che egli ha dimostrato nei confronti degli obiettivi che il cliente vorrebbe raggiungere con la terapia. Talvolta può capitare che durante il primo incontro o subito dopo si abbia la certezza di aver incontrato il terapeuta giusto oppure si comprenda chiaramente di non aver trovato il professionista adatto. Altre volte, invece, la scelta non è così facile. Potrebbero volerci alcune sedute prima di riuscire a prendere una decisione. Non bisogna aver fretta di abbandonare un percorso psicoterapeutico con un terapeuta poiché, a volte, il desiderio di non tornare più potrebbe, ad esempio, celare la paura di affrontare la psicoterapia e l’impegno emotivo, economico e di tempo che comporta. È, quindi, consigliabile effettuare un’attenta riflessione e discuterne anche con il terapeuta.

Ci sono patologie gravi, come ad esempio l'Alzheimer, che hanno un forte impatto anche su coloro che vivono con i pazienti. Quanto è importante aiutare i caregiver e in quale misura è possibile farlo?

I familiari o coloro che si prendono quotidianamente cura dei pazienti con patologie come l’Alzheimer o affetti da altre patologie di degenerazione cerebrale, ossia i caregiver, si trovano a dover affrontare delle problematiche di tipo concreto che riguardano ad esempio l'assistenza e l'aiuto di cui necessita il malato nel portare a termine le attività strumentali più complesse, ma anche le attività quotidiane più semplici che prima dell'esordio della malattia era in grado di svolgere in completa autonomia e purtroppo tali problematiche aumentano di pari passo con l'aggravarsi della malattia del paziente. Il familiare deve, inoltre, fare i conti con il suo vissuto soggettivo in termini di ansia, di tristezza, di sentimenti di inadeguatezza, di sensazioni di fatica e di difficoltà connesse sia alle incombenze della cura sia alle conseguenze emotive personali determinate dalla sofferenza per sé e per l’altro in conseguenza della malattia di una persona con la quale vi sono vincoli affettivi. Per i familiari l’esordio della malattia e la sua progressione sono fonte di sofferenza per le conseguenze sulla persona malata e per la perdita che essi vivono in quanto la malattia ha come conseguenza una perdita dell’altro in termini di disponibilità e di relazione. La malattia determina, in effetti, la progressiva “assenza” di una persona con la quale condividere storie, momenti e attività, e ciò assume particolare rilevanza nel caso di una coppia oppure nel caso dei figli che assistono uno dei genitori malato. In questo caso specifico avviene una progressiva inversione dei ruoli che genera un vissuto emotivo che ha bisogno di tempo per essere elaborato e accettato.

Nelle famiglie delle persone con demenza si assiste ad un processo complesso di adattamento determinato dal significativo cambiamento nella struttura e nelle relazioni interne ed esterne poiché la malattia sottrae progressivamente un membro alle sue funzioni e al suo ruolo e richiede la disponibilità di un altro membro a fornire delle cure. Il processo di cambiamento, spesso, può determinare una crisi intesa come una necessità di riorganizzare la vita per affrontare il nuovo compito. L'esito della crisi connessa con l'evento malattia dipenderà quindi delle misure che vengono rese disponibili e utilizzate da parte della famiglia. Per tale motivo è molto importante che i caregiver vengano aiutati sia dal punto di vista concreto, sia per quanto riguarda gli aspetti emotivi affinché possano essere protetti dal logoramento psico-fisico che una situazione di questo tipo produce inevitabilmente.

Il primo strumento utile per far fronte a questa situazione è quello di ricevere informazioni adeguate e di avere la possibilità di confronto e di fare domande in merito alla malattia. La conoscenza è utile in quanto facilita la comprensione del problema, aiuta quindi l'elaborazione e la messa in atto di comportamenti e di azioni utili ad affrontare in maniera adeguata la situazione. Talvolta tutto questo non basta e si avverte, quindi, la necessità di interventi di sostegno e supporto psicologico, come ad esempio delle sedute di sostegno psicologico individuale e/o la partecipazione a gruppi di sostegno per i caregiver, per poter affrontare questo periodo particolarmente difficile e delicato.

È, quindi, auspicabile che i caregiver condividano il disagio e la sofferenza generati dal doversi prendere cura di una persona affetta da demenza poiché questo genera un grande beneficio per se stessi, ma anche per il familiare malato. Il confronto e la condivisione attivano aree di relazione positiva con le altre persone e aiutano a recuperare spazi di vitalità per sé.

Quali sono le cure possibili per i pazienti affetti da Alzheimer?

I pazienti affetti da patologie come l’Alzheimer o affetti da altre patologie di degenerazione cerebrale, oltre a poter eventualmente assumere delle terapie di tipo farmacologico a seconda di quanto prescritto dai medici specialisti da cui sono seguiti, possono essere sottoposti a sedute di riabilitazione neurocognitiva. Lo scopo principale di tale riabilitazione consiste nel rallentare l’evoluzione del deficit delle funzioni cognitive danneggiate da un processo morboso, nel recuperare le funzioni deficitarie e nell’acquisire strategie di compensazione, al fine di minimizzare la disabilità (ossia lo svantaggio sociale) conseguente alla menomazione subita. In base ad alcuni fattori tra cui il maggiore o minore grado di compromissione cognitiva, il livello di consapevolezza conservato, l’età, la presenza o l’assenza di concomitanti disturbi comportamentali, è possibile scegliere la tipologia di riabilitazione a cui sottoporre i pazienti, decidere la cadenza delle sedute e ipotizzare gli obiettivi da raggiungere. Alla luce del profilo cognitivo di ciascun paziente, che si può desumere da una valutazione neuropsicologica, viene creato un programma riabilitativo specifico volto a rafforzare le aree risultate deficitarie e a ottimizzare il potenziale residuo. Le sedute di riabilitazione possono essere di tipo individuale o di gruppo. Nel corso delle sedute ai pazienti possono essere proposti esercizi (sia carta-matita sia computerizzati) con graduali livelli di difficoltà e può essere dato loro del lavoro da svolgere a casa. Possono essere, inoltre, fornite, a ciascun partecipante, istruzioni specifiche per la generalizzazione, nelle situazioni di vita reale, delle strategie di compensazione apprese in seduta.

Il training cognitivo è volto a stimolare diverse componenti tra cui l’orientamento personale, spaziale e temporale, le funzioni mnesiche (memoria a breve e lungo termine per materiale verbale e visuo-spaziale e memoria di lavoro), il linguaggio (capacità di produzione, di accesso al lessico e di comprensione verbale), le funzioni esecutive (risorse attentive, abilità logiche e di astrazione) e le abilità visuo-spaziali.

Occorre, inoltre, porre particolare attenzione al mantenimento della memoria procedurale (funzione a lento decadimento) al fine di fornire ai soggetti trattati degli ancoraggi in grado di rallentare il loro declino cognitivo e motorio e di consentirgli un mantenimento in famiglia riducendo, pertanto, i costi sanitari.

La riabilitazione neurocognitiva può condurre non solo a una stabilizzazione del profilo cognitivo, ma anche a un recupero delle principali funzioni cognitive riabilitate con effetti duraturi di tali benefici sia in ambito domestico che lavorativo. Essa può, inoltre, avere delle ricadute positive anche sul tono dell'umore e sul livello di autostima e di consapevolezza dei soggetti trattati con effetti positivi anche sui loro caregiver.