L'icona della sera nell'universo sensibile e letterario di Ugo Foscolo.
Analisi del sonetto Alla sera
Alla sera
Forse perché della fatal quïete
tu sei l'immago, a me sì cara
vieni,
o sera! E quando ti corteggian
liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier sull'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le
torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier
ch'entro mi rugge.
Alla comparsa del graduale imbrunire, lo spirito fremente di
Ugo Foscolo si calma di momento in momento e il poeta è indotto ad una
riflessione esistenziale riferita ad immagini naturali (nembi estivi spinti,
già in primavera, dai sereni zefiri, il cielo denso di neve che cade sulla
terra ottenebrata dalle sparse ombre serali) presenti con assillo nel sonetto Alla sera del 1802-1803. L'autore si rivolge alla sera
inesorabile appellandola "cara" poiché nella scrittura egli svolge
una pacata contemplazione estetica del postremo
die, del dì fatale dell'uomo; nella sua poetica
tribolata è proprio la gaiezza della serata triste e cupa a portarlo a dubitare
e a capire le processioni temporali (dal giorno alla notte, dall'autunno
sonnolento alla brezza d'estate) di una inevitabile morte non più estranea. Pertanto in qualunque modo essa discenda sul mondo, dolce
o inquieta, è sempre apportatrice di silenzi tranquilli: secondo il poeta gli
affari della morte placano tutti gli affanni sospirati dallo struggersi.
In Foscolo la sua causa di ateo e di materialista laico lo
porta ad intendere il trapasso come l'annullamento totale di qualunque cosa, di
una sparizione immessa nella riproduzione di un tempo che scorre e si mena reo,
responsabile di possedere un'anima di distruzione materiale, necessaria e non
troppo malvagia.
Nel sonetto l'impianto metrico di quartine e terzine si
struttura sul ridondare di enjambements rispettivamente nel primo, nel terzo, nel
quinto, nel settimo, nel nono, nel decimo, nell'undicesimo e nel tredicesimo
verso, pel fine di risaltare la posizione chiave della terminologia (come nel
caso di: "fatal quïete", "dorme",
"secrete"). Il rimare melodico della ritmicità dei versi (secondo lo
schema ABAB, ABAB, CDC, DCD) ricalca una certa vena
elegiaca di sottofondo: nelle quartine le rime sono alternate, mentre nelle
terzine sono incatenate. Inoltre gli enjambements formano un mutuo rapporto di significati
interconnessi come quello fra le parole di "quïete" del primo verso e
"inquiete" del quinto verso o fra "fugge" del decimo verso
e "rugge" del quattordicesimo. Da
contraddistinguere il differire tra le rime delle due quartine, dove si notano
le ricorrenti vocali aperte "e" ed "i", e quelle delle
terzine con le consonanti aspre e le vocalizzazioni (con la "o" e la
"u"). Quivi lo spirito lirico di Foscolo assimila l'arrivo scrutabile
del chiaroscuro crepuscolare alla descrizione visiva di tutti i sussurri
tumultuosi, frenetici e poi mortiferi che la sera racchiude nel segreto delle
sue cure.
Ravviso, infine, che le cesure sintattiche, gli enjambements,
servono a distinguere, a livello metrico-didascalico,
il significato di una vita da poeta forte e dignitoso che sopporta le ingiurie
delle sventure della pre-morte. Nell'ultima terzina, con dei messaggi insiti in
circonlocuzioni mai melense o circostanziali, il Foscolo avvalora l'idea
preromantica del militante spirito battagliero dell'intellettuale, avvertendo,
alla sera, l'intorpidimento di quel ruggire incorruttibile e feroce del giorno
che per i mortali è solo alternativa all'ansia del vivere col limite mortale al
proprio fianco; dei valori più alti, egli, "al limitar di Dite",
saggiamente non intende più sfidare il controsenso della morte, e con esso il
tempo che fugge come un rapinatore.
Ed è con la neoclassica grazia rasserenatrice di questo mito
della lirica come mezzo espressivo di un sentire antico e compiuto, che Foscolo
tramanda alle generazioni successive del Romanticismo effettivo i più grandi
valori della civiltà perpetua degli uomini immortali nell'animo risorgente.
Una delle caratteristiche contenutistiche che accomuna un
po' tutti i sonetti foscoliani è la rievocazione di
quel qualcosa di caro e di irraggiungibile nel contempo, quel sentimento di
divina infelicità che l'autore presagisce nell'antivedere
la tragicità immane del futuro che annulla ogni scopo spirituale.
Foscolo sublima e riscatta la forma topica del sonetto nel
suo originario genere musicato (quello del primus inventor Jacopo da Lentini),
incastonandolo, senza più derivazioni populistiche, in un preciso paesaggio
misto di retroterra neoclassico e di Romanticismo. Peraltro i suoi sonetti sono
da scoprire attraverso l'innovazione della sua corrente autobiografica poiché
descrivono il tipo di pessimismo sofferto dal suo connaturato dolore poetico.
L'andamento neoclassicheggiante del componimento Alla sera trae sobillazione dalla tematica atemporale della morte
considerata come mera liberazione dalle pene, e, nel contempo, una svelata
ricerca pre-romantica rimesta sentimenti dominanti, disillusioni, un senso di
distacco e di perdita, accresciuti dalla valutazione delle memorie perdute
degli affetti feriti. Copiosa parte di suddette argomentazioni non potrà che
confluire nella storia del suo romanzo epistolare ed autobiografico sulle
avventure patriottico-sentimentali di quel tale
binomio Jacopo Ortis-Ugo Foscolo. Foscolo stesso
affermava che i suoi sonetti non erano nient'altro che un contenuto ideale e
illusorio introflesso nella breve e solida cornice dei quattordici versi
classici. Al terzo e al quarto verso del componimento ("E quando ti corteggian liete / le nubi estive e i zeffiri sereni")
vi sono da considerare le figure retoriche che si trovano anche in tutta la
prima terzina (fino all'undicesimo verso): metonimia e iperbole.
Nell'espressione "dorme / quello spirto guerrier ch'entro mi rugge"
vi è la sinestesia del campo semantico della parola "rugge";
la locuzione "fatal quiete" della prima
riga ha il dovere di far ridestare le analogie similari della morte e del suo
"nulla eterno" (come figura retorica è quindi da notare l'analogia)
arricchendo i vocaboli, sfruttando fino al massimo grado le possibilità di sviluppare
una lingua densa di significativi esempi di rimando. Infine, in "a me sì
cara vieni, / o sera!" è da ravvisare la prolessi e l'anastrofe come
inversione dell'ordine normale delle parole, per mettere in risalto un elemento
subordinato dell'enunciato della frase rispetto alla sua posizione nell'ordine
più logico.
Sarà quindi con Ugo Foscolo che sorgerà l'idea del romanzo
sull'epopea dell'uomo moderno, in quanto egli, con amore nazionale e
patriottico, eromperà con la situazione politica dell'Italia semi-napoleonica
nelle sorti d'Europa. Ed egli, da ateo e da laico, senza mischiarsi
all'espressione collettiva delle adulazioni del potere centrale del governo di
un Napoleone arbitro europeo, non potrà che superare il suo pessimismo politico
con le idee di alcune virtù liberali che egli appella "illusioni".