Lilli Monfregola: quando da una litote nascono gioielli. Intervista

8 ottobre 2014

Cittadina del mondo, ha vissuto per anni fra libri rari, curiosità letterarie e la scrittura di saggi e di romanzi. Poi una virata: la realizzazione di gioielli con il "dadalito", un materiale di sua creazione, che rappresenta la felice contraddizione di una materia orgogliosa di sembrare ciò che non è. Non per ingannare, ma per stupire.

Nelle sue affascinanti opere, Lilli Monfregola coniuga la libertà creativa dei dadaisti e la filosofia di una figura retorica, la litote, che per affermare nega. Del resto, lei rifugge il banale.

 

I tuoi inizi sono stati nel campo dei libri: ti sei fatta promotrice della pubblicazione o ripubblicazione in Italia di testi particolari. Quali? Com'è nata questa attività?

Collana "Nausica". Peso g 110, lunghezza cm 23; colori: oro antico, rame anticato, riflessi verde-conchiglia.

Autore del gioiello e della fotografia: © Lilli Monfregola.

Tutto è nato per caso, come sempre mi capita, ed è cominciato nel 2004, quando in un mercatino delle pulci notai su una bancarella di libri molto vecchi un testo di Jack London - il mio primo amore letterario - che non conoscevo. Il titolo era La Crociera del Saetta. Avevo letto La Crociera dello Snark, che era una sorta di diario di bordo delle sue avventure sui mari sullo yacht che si costruì lui stesso, e la cosa m’incuriosì. Così lo acquistai senza nemmeno sfogliarlo, perché colleziono i suoi testi. Tornata a casa notai subito che non si trattava del testo che avevo letto e facendo delle prime sommarie ricerche scoprii con meraviglia non c’era traccia de La Crociera del Saetta. Capii solo dopo che era un titolo scomparso dalle bibliografie ufficiali, che era stato pubblicato solo due o tre volte dalla sua prima uscita avvenuta nel 1902. Pur essendo un testo minore, quasi autobiografico, e di valore letterario mediocre rispetto ai capolavori da lui scritti, quel pezzo mancante, quel tassello insignificante, mi ampliò e rafforzò l’immagine di un uomo dalla personalità complessa e affascinante. Siamo abituati solo per errore a considerarlo uno scrittore appartenente alla letteratura per ragazzi invece fu uno scrittore estremamente prolifico, assolutamente geniale che ha anticipato la fantascienza (Il Dio Rosso), il saggio sociologico (Il Popolo degli Abissi), la fantapolitica (Il Tallone di ferro), il racconto psicologico e surreale (L’eternità delle forme), e la libertà dagli schemi tipici della Beat Generation (La Strada).

Orecchini "Flame". Peso: un grammo.

Autore del gioiello e della fotografia: © Lilli Monfregola.

Dopo London ho cominciato a provare il sottile piacere della scoperta nell’avventurarmi nel mondo dei testi perduti, attraverso un metodo basato sulla casualità, già sperimentato da Horace Walpole, e che ha un nome e delle regole ben precisi: la Serendipità. Era come trovarmi su una gigantesca scacchiera e ogni casella era un link da cui si dipanavano altre strade sconosciute da percorrere. Lungo questa giungla mi sono imbattuta, di volta in volta, in altri testi poco conosciuti sia di London sia di altri grandi autori.

Fu la pubblicazione della Crociera del Saetta (Robin editore) a scatenare un rinnovato interesse per London, e anche grazie a questo proposi alla stessa casa editrice di ripubblicare altri due tesi minori: La figlia delle Nevi, dove ci si trova di fronte a un London piacevolmente femminista e Un figlio del Sole, una raccolta di avventure che solo apparentemente sembrano destinate a un pubblico d’adolescenti.

Orecchini "Modigliani" (peso: 20 grammi con tutto il pack) e "Pompei" (inferiore a un grammo).

Autore dei gioielli e della fotografia: © Lilli Monfregola.

Seguirono, Lui e Lei di George Sand, Jacobelli editore e la riscoperta e ripubblicazione del primo romanzo, nella sua traduzione italiana, di Zola, La Confessione di Claude, Robin editore, che secondo Riccardo Reim, nel suo saggio La Parigi di Zola, Editori Riuniti, era andato perduto ma che ritrovai in così pessime condizioni da non poterlo nemmeno toccare. Fui costretta a fotofilmarlo pagina per pagina. Poi proposi Doppie identità di Bram Stoker, (l’autore di Dracula), Robin editore, un saggio gustosissimo, mai pubblicato in Italia, che ebbe una vasta eco mediatica nazionale. Qui si avanza l’ipotesi molto ardita - suffragata da prove credibili ma non decisive - che, tra le tante dubbie personalità storiche d’impostori descritte da Stoker, la regina Elisabetta I possa essere stata un uomo. Il quotidiano la Repubblica mi dedicò un bel paginone centrale nazionale e m’intervistarono anche a Radio 2. Seguì un testo attribuibile a Oscar Wilde, sempre con la stessa casa editrice, che scovai per caso in una piccolissima libreria napoletana in dismissione (purtroppo) dal titolo, Divagazioni sulla felicità, firmato Oscar Fingal (Fingal era il suo secondo nome, il nome per esteso è Oscar Fingal O'Flahertie Wills Wilde). Non posso dire con certezza se sia stato scritto da Wilde oppure da qualcuno che si spacciava vagamente per lui, e nel saggio iniziale ne spiego tutti pro e i contro, però il dubbio che possa essere stato scritto da Wilde per me è forte e difatti anche Giuseppe Montesano, che ha dedicato al libro e alle mie ricerche un lungo articolo su la Repubblica sul paginone domenicale nazionale (sì, un altro, ne ho avuti tre nell’arco di un paio d’anni), rimane in sospeso. Altre pubblicazioni di testi perduti, inediti e rari le ho fatte curando una serie di antologie, sempre edite dalla Robin, che mi ha divertito molto fare: una tra tutte, c’è il talento, inedito per l’Italia, di Elsa Triolet, moglie d’Aragon, ex compagna di Majakovskij, amata da Max Jacob e sorella di Lili Brik, traducendo per la prima volta in Italia La Baronessa Melanie che è una sorta di Benjamin Button al femminile, il racconto di Fitzgerald da cui è stato tratto il film con Brad Pitt, e in cui mette alla berlina il filosofo Camus. Nelle antologie a tema vi erano testi inediti e rari di Thackeray, Melville, Berenson, Lazzaro Papi, Cesare Giardini, e tantissimi altri.

Ho tradotto per la prima volta in Italia, sulla rivista Il Falcone Maltese, due novelle inedite di R. L. Stevenson scoperte nel 2005 in un biblioteca universitaria londinese, Esperimento 701 e La teoria della stanza. In una piccola libreria nel Sussex scoprii uno spartito musicale sempre di Stevenson che riproduceva il verso dell’usignolo che tutte le mattine lo svegliava quando viveva ai tropici. Lo spartito è stato pubblicato qualche anno fa sul primo numero di Satisfiction. Ho scritto un lungo saggio sulla letteratura femminile come introduzione alla raccolta di racconti sulle donne che è stato un testo consigliato a un corso della Sapienza indetto dall’UNICEF, dal titolo Casa di Bambole. In verità ho scritto anche cinque romanzi: Dodici stelle sull’oceano e La meravigliosa teoria di John Barleycorn, due romanzi di narrativa e tre polizieschi sotto pseudonimo.

Sono autrice di un manuale d’italiano per stranieri per le scuole medie e un manuale didattico per stranieri di tutte le età, ma non sono mai usciti perché la casa editrice pare sia fallita; e in ultimo creato un format che ho depositato alla SIAE, un Corso sull’editoria che ho tenuto per due edizioni e ha avuto successo nelle scuole superiori, legato alla I Fiera della piccola e media editoria da me ideata e organizzata per conto dell’Assessorato alle Pari Opportunità. E dimentico qualcos’altro...

Sempre nell'universo libri sei stata editor, ghost-writer e consulente letteraria per conto di case editrici e agenzie letterarie. Ci vuoi raccontare questo mondo?

Il mercato dell’editoria italiana è un mondo molto particolare, dopo più di dieci anni di frequentazione, più o meno continuativa, posso dire che è un mondo grazie al quale ho conosciuto il mare misterioso della ‘letteratura di mezzo’, come mi piace chiamarla, ossia il mondo degli aspetti più inusitati e impensati della narrativa e dei suoi autori. Posto a metà tra la letteratura alta e quella bassa. A esempio, ho scoperto che il serissimo Papini si inventò di sana pianta un autore nigeriano, spacciandolo per una sua scoperta. Era inserito in un testo che avevo trovato su una bancarella: Scrittori Stranieri. Papini lo aveva messo insieme ad altri del tutto veri e reali, tra i quali c’era anche Tristan Corbière che fece davvero conoscere per la prima volta in Italia. Il poeta misterioso si chiama Danko, del quale, diceva, conosceva solo qualche verso. Ebbene, dopo anni di ricerche andate a vuoto sulle tracce di Danko, ho avuto le prove che era solo una sua invenzione.

Sapere che in letteratura anche gli autori studiati a scuola, i cosiddetti mostri sacri, perfetti nel loro biblico splendore, hanno certe manie, me li rende più digeribili, umani e imperfetti.

Gli autori esordienti, poi, vanno trattati con le molle. L’esperienza da ghost-writer mi ha riservato parecchie sorprese: un autore mi aveva proposto un accordo tra le parti in cui vi erano clausole capestro: se non avessi rispettato i patti di segretezza e i tempi di consegna gli avrei dovuto versare ben centomila euro;  e un altro esordiente quando m’incontrò per caso e mi riconobbe mi apostrofò in malo modo solo perché non avevo parlato benissimo di lui e osannato i suoi scritti. Insomma, ho capito che mi piace frequentare quel mondo da outsider, dall’esterno. Mi diverto mille volte di più e posso mantenere la mia autonomia. Faccio ricerche e propongo i testi rari e inediti, intanto preparo saggi ma con più calma di prima.

Poi è cominciata la tua ricerca nel campo della manualità d'autore, che ti ha portato a creare il "dadalito". Di che cosa si tratta e come t'è venuta questa idea?

Il cambio di guardia è avvenuto un anno fa. Raccolsi da terra dei bellissimi componenti tubolari variopinti smarriti da chissà chi e ne feci una collana che aveva una caratteristica irripetibile: era, appunto, irripetibile. Inoltre, per rifarne un’altra avrei dovuto cercare e acquistare il materiale ma il semplice assemblaggio mi pareva un’azione troppo banale e poco gratificante. Così mi dedicai alla ricerca dei materiali con cui creare dal nulla dei monili, e con i quali ricreare l’atto irripetibile della scoperta. Sul mercato c’è la pasta polimerica ma ha i suoi limiti: la dovevo acquistare e poi la usavano tutti. Io ero alla ricerca dell’originalità, dell’autonomia creativa, volevo stupire per prima me stessa. L’unico modo possibile era quello di creare da me la sostanza che avrei dovuto manipolare.

Il DADALITO è nato dalla ricerca su certi materiali e necessita di una specifica lavorazione: lo trasformo in modo da renderlo simile ai metalli preziosi anche se è estremamente leggero ed è questa, credo, la sua originalità maggiore. La parola viene da DADA, il movimento dei DADAISTI, artisti che creavano in piena libertà e da LITOTE, una figura retorica che per affermare nega, infatti DADALITO non è né cartone né plastica né vetro né metallo né stoffa né legno né pasta polimerica né ceramica... è... DADALITO.

E a proposito di "dadalito", so che ti sei fatta una teoria: la "Teoria di LiliRose". Vale a dire?

L’imperfezione è un punto di forza.

Il DADALITO mi consente di ricreare l’essenza stessa dell’Imperfezione. La sua composizione è naturalmente grumosa, mentre penso a tutte le tecniche in pittura per rendere artificialmente la superficie di una tela ruvida e materica con l’aggiunta di primer in pasta, in modo da ottenere effetti tridimensionali.

Il DADALITO poi in fase di lavorazione e manipolazione anche se potrebbe avere una resa più precisa nelle forme non soddisferebbe l’idea che ho dell’essenza di gioiello artistico legata all’esaltazione dei difetti. Non è che non curo i dettagli ma lascio che sia il caso a decidere la forma, mi fermo sempre un passo indietro, non lascio traboccare l’acqua dalla ciotola, tanto per rifarmi a una metafora orientale e devo dire che il prototipo è sempre il migliore e ogni tentativo di rifacimento rinnova l’imperfezione e il non riuscire a copiarlo esattamente è la prova che la perfezione non esiste.

Sinonimi di "imperfetto" sono: difettoso, malfatto, rotto, danneggiato ma hanno tutti una connotazione negativa, eppure in Giappone c’è una bellissima teoria, quella del Kintsugi per la quale ogni oggetto rotto, se riparato con dell’oro o dell’argento, diventa un pezzo unico e quelle venature dorate o argentate che tengono insieme i cocci rappresentano l’arte del riparare, del riunire con amore. L’arte dell’imperfezione ha origini remote, nel tempo e nello spazio, e io questo non lo sapevo. Ho scoperto solo da poco che esisteva questa tecnica meravigliosa che è addirittura una vera e propria Arte. Non riunisco cocci, naturalmente, ma mi piace il paragone e soprattutto la rivalutazione dei difetti. Non c’è nulla di più vero e bello di un oggetto che non è perfettamente tondo. Solo quando passeggio lungo una spiaggia e scopro un sassolino bello sferico tra i tanti diseguali mi stupisco di nuovo. Quella è un’altra imperfezione, a rigore. Nel nostro mondo imperfetto che però vuole a tutti costi credersi perfetto un richiamo alla realtà non guasta.

Poi, anche nella fase di colorazione cerco di invecchiare le mie creazioni. Da piccola mi piaceva strappare le pagine nuove dei quaderni, appallottolarle e poi riaprirle tutte sgualcite. La tendenza al "vissuto" anche per me ha origini lontane e genetiche.

Ci puoi descrivere delle tue creazioni?

Anzitutto, adoro presentarle. Associo una creazione a una citazione letteraria e a un’immagine di un pittore in una commistione tra aforismi, immagini e materia. E mi piace molto l’idea di creare qualcosa che sia come una specie di ponte tra l’ispirazione artistica e l’effimero ornamentale della moda femminile, che per sua stessa natura è simile all’effimero dell’Arte o alla fugacità della vita. I miei gioielli non sono oro e non sono nemmeno bijouteria vera e propria, forse anche loro si collocano nel mezzo. Sono i primi e assoluti "gioielli di mezzo".

Il DADALITO all’apparenza pare simile all’oro antico, al rame, alla ceramica raku, alla terracotta, al ferro, all’argento invece è estremamente leggero e resistente, in modo da procedere senza problemi nell’accumulazione degli elementi e consentirmi esperimenti estetici che con i metalli veri mi sarebbero preclusi.

La sorpresa è questa: quando lo vedi ti sembra d’oro o di rame o di bronzo quando poi lo prendi tra le mani sembra galleggiare tra le dita.

Ti definisci "artigiana-artista". Quando l'artigianato sfocia nell'arte? Quali emozioni hai provato quando questo è accaduto nella tua ricerca?

Per me l’arte è artigianato puro, a patto che artigianato sia sinonimo di ricerca e originalità. Walter Benjamin nel suo saggio ha descritto bene i rapporti tra industrializzazione e Arte. La riproducibilità tecnica della produzione industriale che influenza anche l’Arte porta all’assuefazione, è il cancro delle idee, alla noia, alla depressione psicotica. Preferisco l’aspetto da bottega, sperimentatore e autonomo. L’Arte deve meravigliare ma quella meraviglia dovrebbe scaturire da un’emozione vera e originaria e l’Artigianato deve tendere alla qualità e all’unicità. Qualità e Unicità sono sinonimi di Perfezione e la Perfezione oltre che creare meraviglia può anche essere fredda, distaccata. Si è sempre attratti dalla Bellezza, ma la Bellezza ha anche un aspetto canonico, ripetitivo, e la perfezione rimanda a un mondo lontano, alla fin fine sono respingenti, almeno per me. Invece a me piace la Bellezza decantata da Baudelaire, lo Spleen che riesce a trasmettere; preferisco esaltare l’aspetto imperfetto della meraviglia, che potrei definire come quella "sospensione", quello "scarto", quell’effetto sorpresa che si prova quando credi che le mie creazioni siano di metallo e invece non lo sono. Per questo la parola DADALITO è azzeccata. "Questa non è una pipa", diceva Magritte come epitaffio al Surrealismo, e mentre svuoto di significato le parole, accumulo elementi leggeri da assemblare nelle collane.

Quindi è l’Arte che si può "contaminare" e diventare professionalità ripetitiva, mentre l’Artigianato resta e resterà un universo miracolosamente sempre in ebollizione, unico e originale, per sua stessa definizione (mi auguro).

Il futuro dell’Italia potrebbe essere legato alla riscoperta delle sue vecchie tradizioni artigianali di qualità e alla valorizzazione del suo immenso patrimonio artistico ed è un vero peccato che questo non avvenga. La manualità ha poi in sé una specie di cura per lo spirito. Cucire, cesellare, fondere, cuocere, incollare, tagliare, dipingere, plasmare è rilassante.

Alla luce di quanto hai dichiarato, ti chiedo: quando e quanto è importante che un artista sia anche artigiano?

Si capisce subito quando un artista non è un artigiano: copia. Io non demonizzo l’atto del copiare (chi lo demonizza, in genere, è il primo a farlo) perché se si analizza senza pregiudizi il fenomeno, in fondo, tutti veniamo sedotti da un’idea primigenia, tutti abbiamo bisogno dell’ispirazione, solo che poi bisogna sapere e dovere distaccarsene. È anche una questione d’orgoglio, una sfida a se stessi. Per esempio, lo stile di Hemingway nasce dalla sua lettura di Huckleberry Finn di Mark Twain e a sua volta lo stile ruvido di Hemingway aprì la strada al minimalismo di Raymond Carver.

Per tornare alla creazione manuale, non mi piace la copia pedissequa e la riproducibilità meccanica a livello industriale e non perché non si possano creare oggetti artisticamente belli - la Bellezza non è prerogativa dell’artigianalità in senso stretto, vi sono degli oggetti di designer o tecnologici di grande diffusione molto belli - ma perché maggiore è la loro quantità tanto più generano assuefazione, consolazione e uniformità del gusto. C’è a chi piace e a chi no. Io sono tra quest’ultimi. Però non giudico nemmeno chi sente la voglia di uniformarsi. È una scelta. D’altronde, tutto questo ha pure un suo senso: servire a colui che voglia distinguersene, come avrebbe detto Wilde.

Certo mantenere sempre l’unicità non è nemmeno facile, per cui riprodurre, sì, ma sempre limitatamente e distribuendo oculatamente la produzione sul territorio. Inoltre è la manualità stessa che rende ogni creazione differente l’una dall’altra.

Come coniughi il pensare intellettuale e il fare artistico?

Senza intelletto e istinto la manualità, il fare dell’Arte, sarebbe solo un gesto incomposto. Quando insieme si uniscono, l'abbraccio tra passione e ingegno, diventa una sorta di delicata preghiera e di folle speranza che l'artista rivolge verso se stesso o verso chissà quale entità.

La manualità ha la stessa dignità del pensiero intellettuale e senza l’azione, che mi tiene salda in terra, sarei solo un pallone gonfiato. La cultura, il pensiero, sono necessari ma vanno contestualizzati e interpretati. Per me la cultura e il pensiero intellettuale sui cui si fonda - come l’arte e la vita - sono dei meccanismi in continua evoluzione. Sono un processo formativo composto da più fasi, l’una necessaria all’altra. La cultura, come la vita, dovrebbe insegnare, sì, a essere consapevoli di noi stessi, degli altri e del nostro essere nel mondo, ma dovrebbe ancor più insegnare a come ritornare verso l’innocenza perduta, attraverso la  consapevolezza dell’inconsapevolezza.

Baudelaire, il primo artista cosciente dell’alienazione della riproducibilità tecnica, già aveva capito che la coscienza dell’artista moderno, arrivata al massimo della sua maturazione storica, si poteva salvare solo tendendo al primitivismo, alla tabula rasa, tornando all’origine. Riscoprire, dopo il processo formativo della conoscenza e della consapevolezza di sé, il mondo con gli occhi di un bambino inconsapevole, sempre stupefatto, dovrebbe essere insegnato a scuola a tutti poco prima dell’esame di maturità: "Ecco, adesso sapete tutto, ragazzi. Adesso, dimenticatelo. Apprezzate di nuovo l’imperfezione, l’effimero, lo stupore dell’infanzia e della grazia, cogliete l’attimo e cercate di vivere il meno dolorosamente possibile".

D’altronde, è il percorso di Rimbaud, dei fauves. La complessità spesso viene solo usata come un ornamento, sottovalutando il potere e il valore della semplicità. In ogni scuola di scrittura creativa si insegna che la semplicità d’espressione è uno stile a cui tendere e che non è affatto facile raggiungere. Invece ci meravigliamo ai piedi di una Icona complicata, linda e perfetta che è annichilente, una creatura ormai vecchia mantenuta giovane dai continui interventi di chirurgia plastica. Non dico di esaltare il Brutto. Dico che l’imperfezione, la caducità, ci sono più vicine di quanto possa piacere e che per illuderci non ci serve la perfezione, una favoletta bella e buona, ma, come ha detto Elsa Triolet, esiste l’Oblio. E tra una cocente disillusione e un sano Oblio, preferisco la seconda ipotesi.

Per me la cultura non è mai stata (e non dovrebbe essere) un’azione legata alla sedentarietà o al collezionismo di onorificenze, ma sempre "muscolare", attiva mai passiva. I libri non ci devono complicare la vita appesantendola. Io mi reputo una "bibliofilifuga".

"La cultura è Nomade", è una condizione dello spirito, è una perenne migrazione. Noi per primi siamo i nostri stessi migranti. Ecco un’altra teoria di "LiliRose". Anche la cultura, il pensiero intellettuale, così come il fare Arte, vorrei che distribuisse nel mondo valori positivi, attivi. Sono abbastanza stufa della mitologia del dolore in letteratura e dell’esaltazione del borderline triste e complicato. L’outsider non è sempre sinonimo di marginalità negativa. E poi chi lo ha detto che la tristezza è più nobile della felicità? Possibile che il comico sia considerato un aspetto poco nobile della narrativa? Perché? Eppure il saggio dice: una risata ci seppellirà. Qui rido io, c’è scritto come epitaffio sui muri della villa di Scarpetta. La Triolet insegna che l’oblio a un certo punto ci salverà dall’Abisso di Camus e dal mito di Sisifo. Tanti luoghi comuni si trasmettono con la cultura dominante tralasciando altri tipi di domande interessanti e forse più salvifiche. Sempre a patto si voglia essere salvati...

Ogni mia creazione contiene in sé il mio essere e il mio fare, il pensiero e l’azione susseguente, il viaggio e il rifugio, l’azione e la reazione, l’analisi e la sintesi.

Sapresti definire Lilli Monfregola in pochi aggettivi o te ne servono di più?

Non me ne viene nemmeno uno, invece. Forse, curiosa.

Progetti per il futuro?

Che possa sempre affascinarmi, altrimenti morirei.