Intervista al musicista Claudio Milano

11 febbraio 2014

Qual è la sua formazione artistica in generale e musicale in particolare?

"Il CD NichelOdeon - Bath Salts"

Ho frequentato l'Accademia di Belle Arti come scenografo, iniziando a prender parte ad alcune collettive di pittura molto giovane, poi sulla base dell'esperienza maturata con Davide Boriani mi sono appassionato all'illustrazione che è l'unico ambito delle discipline visive che pratico ancora. A Brera ho capito quanto importante fosse per me il teatro, nel quale ho lavorato come autore ed esecutore di colonne sonore a fianco di gente come Marc Vincent Kalinka, Riccardo Grassi, Manuela Tadini, Tommaso Urselli, Laetitia Favart, Anna Traini. Più saltuariamente ho agito come scenografo, bozzettista, lettore. Ho seguito anche una formazione in "contact improvisation", una disciplina artistica rivolta tanto a disabili che a normo abili, una bella esperienza. Musicalmente ho iniziato a cantare già a tre anni da autodidatta e con il supporto di mia madre, soprano naturale, della famiglia dei Caniglia. A tredici anni ho iniziato studi pianistici classici per avere un supporto alla scrittura già avviata di mie canzoni, lavorando al tempo stesso con alcune cover band di standard art rock. A sedici anni ho avviato gli studi di canto lirico nel Liceo Pareggiato Paisiello di Taranto. Una volta a Milano ho conosciuto il M° Nino Tagliareni che mi ha aperto un mondo, aiutandomi prima in studi di lettura teatrale, poi di "recitarcantando" e canto barocco da sopranista. Poi l'incontro con Tran Quang Hai e Albert Hera all'Omaggio a Demetrio Stratos (dove ho conosciuto un divertentissimo e ancora sconosciuto ai più, Boris Savoldelli), con i loro seminari sul canto armonico e le "circlesong", gli studi di fisiologia cordale con la dott.ssa Cristiana Assi. Assai importante l'incontro con Mariolina Zitta, negli anni di insegnamento presso le scuole medie. Mariolina, straordinaria musicista studiosa delle pietre sonore, mi ha parlato del Metodo Funzionale che ho seguito con grande dedizione negli anni di studio con Carola Caruso, associato ad un iter di improvvisazione jazzistica free e sui generis. In contemporanea, gli studi di Bevoice con Anna Garaffa che mi hanno permesso di sviluppare in maniera esponenziale l'indagine sui canali di risonanza e il pre-vocale, il Voicecraft e le posture facciali. Poi con Michele Budai allievo storico della scuola di Roberto Laneri, ho indagato il rapporto tra corporeità ed emissione sonora, ho approfondito ricerche in merito ad armonici e subarmonici. Ora da autodidatta sto studiando diverse tipologie di emissione dei "suoni di flauto" e "screaming", in modulazione. Lavorando adesso io stesso da didatta, sono in rapporto diretto con il mio strumento, in maniera, anche estranea ad un fare performativo. Tutte queste esperienze mi hanno portato a credere che non c'è un'unica legge o modalità di canto che valga per ogni apparato fonatorio e per ogni cantante. Ogni disciplina ha tanto pregi quanto limiti ed è il percorso individuale di ognuno (dove comunque l'importanza del rapporto maestro-discepolo rimane essenziale) ad indagare cosa ritorna utile alla propria poetica. Ogni voce è importante quando raggiunge un livello di consapevole rapporto col sé, quando smette di essere rigidamente performativa e raggiunge un adeguato rapporto tra emissione, timbro e necessità di comunicazione.

È noto che, per essere musicoterapisti, non è sufficiente essere musicisti. La sua opinione al riguardo?

Quella che lei mi riporta. Bisogna avere degli studi e una formazione specifici in campo psico-terapeutico. La musicoterapia è una disciplina paramedica serissima, non una forma d'intrattenimento. Interventi poco accurati in materia possono creare reazioni assolutamente non produttive e dannose. Il suono permea, attraversa, con una rapidità superiore a quella di qualsiasi farmaco. Asciuga il dolore, rimargina ferite, può intervenire nello scioglimento progressivo di blocchi emotivi e come tale può essere anche un'improvvisa lente di ingrandimento su baratri che non devono per nessuna ragione essere messi in luce se non conducendo alla progressiva consapevolezza del sé emotivo, laddove possibile e auspicabile. Trasformare progressivamente in bonifica più che condurre alla manifestazione esplosiva del disagio è quello che fa la musicoterapia. Per l'altro campo, quello che induce alla manifestazione violenta, l'invito è di rivolgersi a Jodorowsky (assumendosi le responsabilità di chi, come essere consenziente e senziente, non portatore dunque di disagio psichico, è disposto a credere a qualcuno che prescrive atti "psicomagici" via posta elettronica su riviste rock). Chiunque invece volesse informazioni in merito alla musicoterapia e al suono che cura, anche per venire a conoscenza di un percorso formativo da seguire, può contattare la Federazione Italiana Musicoterapeuti: http://www.musicoterapia.it e/o L'Atelier di Movimento Tomatis di Milano: http://www.atelierdimovimento.it. Guai, ma davvero guai, a condurre persone con disagi importanti ad improvvisati curatori con campane di cristallo. Già pronunciare "bagno nel suono", mi terrorizza. Il pensiero che possa esserci qualche matto che possa applicare una tale proposta ad un portatore di disagio psichico, è sintomo che c'è gente convinta che tutte le frequenze somministrate assieme possano "guarire" o "anestetizzare". È come dare ad un portatore di ulcera assieme ad un gastro-protettore dieci scatole di FANS diverse e cinque di cortisonici. Le campane di cristallo producono suoni fantastici, ma la quantità di armonici emessa è intollerabile da chi è portatore di handicap. Certo, piacevolissimo per chi è sano, ma da qui a parlare di "riarmonizzatori cellulari", dovrebbero passare un bel po' di studi e test graduali e mirati. Idem dicasi per omeopati (non parlo di naturopatia, che comunque è da considerare un mezzo di affiancamento), seguaci di discipline legate allo studio della trama alchemica, assolutamente funzionale in caso di disagio psicologico, ma difficile da valutare positivamente in presenza di disagio psichico. La musicoterapia insegna a comprendere il valore di un millesimo di risposta ad uno stimolo trasmesso e a valorizzarlo agli occhi e allo spirito di chi è fruitore per quello che è, qualcosa di importante e meraviglioso e affianca sempre e comunque alla figura del terapista o terapeuta, la presenza di figure mediche, non para-mediche o mistico-religiose. L'indottrinamento, di qualsiasi tipo, religioso, politico, sportivo, etico, trasmesso a un disabile può essere assai pericoloso e può portare a forme di autentico delirio e relativo sfruttamento da parte di gente con ben pochi scrupoli. Mi è successo di avere a che fare con disabili usati come "arieti" da alcuni ultras durante le loro cariche, ad altri oggetto di matrimoni combinati con donne dell'est a caccia di permesso di soggiorno, per quanto omosessuali. Penso che cose di questo tipo non possano che commentarsi da sole.

Lei vive tra musica, canto, teatro e terapia che poggia sulle arti. Qual è il legame fra questi campi?

Il CD "InSonar. L’Enfant et le Ménure"

La necessità di essere vivi e presenti in ogni momento della propria manifestazione come essere umano/creativo/terapista, come se quel momento fosse il più importante per se stessi e per chi si ha come referente nella comunicazione.

Contaminazione: un termine a volte scomodato inutilmente, un traguardo o un punto di partenza?

È un traguardo quando è un punto di partenza, ovvero, quando ha in sé tanti sviluppi possibili. Più che di contaminazione mi piace parlare di integrazione, nell'ottica di Romitelli, o di "evocazione". Mi piace vedere nella mia musica i semi del teatro e della visione, il segno, il gesto, il colore, in qualche caso anche la materia, senza che nessuno di questi elementi sia sottolineato come in molte produzioni multimediali. Più che di contaminazione parlerei di quiescenza del seme, di incapsulamento del virus e saltuarie esplosioni/germinazioni improvvise. Qualcosa di manifesto, quanto di nascosto, sfuggente e tanto più passa il tempo tanto più questa cosa diviene evidente al punto tale che nei miei spettacoli sono costretto ad aggiungere qualche "sottotitolo" per far sì di avere la possibilità di esibirmi. Non mi dispiace, meglio questo che certi ambienti intellettuali alto-borghesi, dove l'unica costante è l'onanismo. Tutto ormai è ampiamente codificato dalle avanguardie, ai generi con pretese minori. La cultura mitteleuropea di ricerca a cui faccio riferimento è morta (se non in pochi luoghi) dal momento in cui ha perso il contatto con la gente, quello che io cerco andando a fare l'artista da strada. È un paradosso dal momento in cui abbiamo a disposizione con internet ogni genere di risorsa culturale, ma l'azzeramento di scale di valori che il fraintendimento dell'opera warholiana ha generato nella cultura di massa, ha creato solo la legittimazione della volgarità, intesa in ogni sua forma, anche come violenza, noia, oligarchia, ritorno di razzismo, proliferare delle destre intese come difesa del proprio spazio e di dogmatismi legati alla morale comune, confusione sociale. Il vuoto. Mi chiedo davvero se oggi abbia senso fare musica manifestando un'identità. Mi chiedo quanto abbia importanza dare senso al senso se nessuno è disposto a percepire. Finché avrò mezzo spettatore realmente entusiasta continuerò almeno ad esibirmi, ma è il settore dell'educazione alla materia musica che mi interessa oggi. I bambini accolgono qualsiasi cosa senza alcun preconcetto, sono gli adulti che hanno perso ogni tipo di memoria storica e che sono incapaci di raccontare passato e presente, incapaci di visualizzare il futuro.

Fra i progetti da lei condotti ce ne sono due che si sono concretati in due prodotti: "InSonar - L’Enfant et le Ménure" e "NichelOdeon - Bath Salts". Com'è nata l'idea di questo progetto?

Si tratta di due progetti separati, messi sotto lo stesso tetto per questioni di praticità e stretta assonanza linguistica. "InSonar" è nato dall'incontro tra me e Marco Tuppo (Nema Niko, Raven Sad, Liir Bu Fer). L'amore per il teatro ci ha portato ad una scrittura comune per il primo album dei Liir Bu Fer che si è estesa poi ad un tributo ai "Pierrot Lunaire" di Arturo Stàlteri. Da lì, un lungo momento di fermo del progetto NichelOdeon, esploso in miriadi di formazioni dedite all'improvvisazione radicale e all'idioma jazz (quasi tutte in seno all'etichetta dEN di Stefano Ferrian) e troppe idee a cui dare suono ci hanno portato ad un percorso comune con a tema "il potere dell'immaginazione infantile capace di trasformare l'orrore in meraviglia" per il primo CD, "L'Enfant" e "il viaggio inteso come stupore dei sensi" per il secondo CD, "Ashima". Ci siamo dati anche una linea d'azione comune proponendoci di mettere alla prova, pur con un impianto di facile fruibilità e con l'aiuto di tutti i collaboratori a cui è stata data massima libertà esecutiva, i limiti offerti da voce umana e strumenti provenienti da ogni posto del globo ed epoche differenti. Diverso e ben meno "avventuroso", nel senso più ludico del termine, "Bath Salts" dei NichelOdeon. Questo progetto è stato sempre un cantiere aperto ad ogni tipo di linguaggio creativo e attorno ad esso si son mosse e si muovono tuttora alcune delle energie più vivaci dell'underground e dell' avant rock italico di oggi quanto di ieri. Le line-up, si sono presentate nel tempo nelle modalità più regolari quanto bizzarre in maniera indistinta ma il focus rimane lo stesso: un cantautorato da contemporaneo troviere, in salsa acida, che nasce da mio diario personale (la maggioranza dei testi sono tratti da sedute di ipnosi) per espandersi in un mucchietto di micro-nebulose soniche. Al momento il progetto esiste come "Troubadour" con l'arpa elettrificata di Raoul Moretti e possibili innesti di violino, Erica Scherl e percussioni e come "Mediterranean Quartet" con pianoforte, Cinzia Decataldo, violino e fisarmonica elettrificati, rispettivamente Gianpaolo Saracino e Fabio Zurlo. L'idea del "troviere" nasce da una poesia di Pier Paolo Pasolini "La Recessione" e da un profondo amore per il linguaggio di Bertolt Brecht e Kurt Weill, Artaud, Carmelo Bene, Danio Manfredini, Agota Kristoff, Antonio Moresco, David Lynch, Tim Burton, Beckett, Céline. I racconti sanno essere elegiaci (soprattutto nell'interazione compositiva a quattro mani con Vincenzo Zitello) quanto assai crudi. Gli arrangiamenti, scritti per strumento suonabile a due mani, ma dall'ampio respiro cameristico si prestano ad adattamenti di volta in volta diversi, espansi o ridotti a puro scheletro, talvolta persino "a cappella" e con ampio spazio per l'improvvisazione in chiave espressionista. Agli spettacoli hanno partecipato attori, performer, artisti visivi, scultori, danzatori, videomaker, giocolieri, il pubblico coinvolto direttamente e in qualche caso richiamato dalla strada, ma ora è tempo di riduzione. Per quanto "Bath Salts" veda numerosi musicisti coinvolti, l'ascolto complessivo si presenta volutamente scarno, con strumenti a corda (arpa in primo luogo) e percussioni (campane di cristallo e di bronzo, pietre sonore, ossa, unghie, legni, campanacci, metallofoni e xilofoni d'ogni provenienza, prevalentemente offerti dalla sensibilità e la ricerca antropologica e spirituale di Pierangelo PANdiscia/Enten Hitti), a dialogare con la voce cantata e recitata (il grande Paolo Carelli, ex Pholas Dactylus), il tutto ibridato con un'elettronica ultra-contemporanea (Elio Martusciello, Valerio Cosi, Stefano Delle Monache, Lorenzo Sempio) che amplifica e confonde come in un fantasmatico gioco di specchi, l'idea spazio-temporale. Un racconto dai tempi della crisi economica che è divenuta culturale e personale, con l'augurio per una "rinascita", a partire dall'azione e dalla fiducia nelle relazioni interpersonali, oggi votate al cannibalismo, di cui droghe di sintesi come i "Bath Salts", sono divenute tristemente simbolo.

I musicisti che hanno partecipato al progetto di cui abbiamo appena parlato sono 80 e provengono da tutto il mondo. E alcuni degli strumenti suonati sono inusuali: Theremin, Onde Martenot, campane di cristallo, fiati autocostruiti, strumenti giocattolo. La ragione di tanta abbondanza?

"Itai doshin" è la parola magica. È un termine buddista che vuol dire "diversi corpi, unica mente" e indica una sorta di unicità di intenti in merito ad un lavoro comune, tanto all'interno di uno studio di registrazione, come avvenuto con "Bath Salts", che attraverso un lavoro di networking, come per "L'Enfant et le Ménure".

I musicisti coinvolti sono 80, considerando tutti e quattro i dischi, più due artisti visivi, un mosaicista, un fotografo e un designer. Ad un certo punto del mio percorso ho deciso di "aprire la mia vita" al mondo. Ho scelto di contattare sulla base di alcuni demo, una serie di musicisti via web, nei riguardi dei quali ho sempre nutrito stima, per capire se si poteva stabilire un'interazione che mi allontanasse dalla focalizzazione sul mio agire "isolato". La risposta è stata infinitamente superiore ad ogni aspettativa, in termini di attestati di stima, disponibilità e soprattutto di volontà di agire in assoluta libertà. Molta, troppa gente, mi ha riportato quanto fosse in qualche modo legata ad un fare che rischiava di divenire un cliché e di avere voglia di un humus nel quale agire senza costrizioni, complici anche contratti capestro con label. Tanto più libertà è stata percepita, tanto più ho ricevuto materiale sonoro di assoluta varietà e validità, anche nei termini di lateralità, ricerca sonora e timbrica. Ad un certo punto era tale la quantità di thereministi coinvolti che è diventato persino difficile riuscire a trovare adeguati spazi senza saturare la materia sonora. Lo scambio può arricchire in modo assai vivace e questa esperienza è stata un pasto sufficientemente nutriente da limitare da qui a qualche anno il mio percorso alla sola attività performativa dal vivo di cui sento di avere gran urgenza.