"Non conosco la danza e la fotografo." Intervista a Simone Ghera

8 febbraio 2013

Come e quando è nata la passione per la danza?

Londra.

© Foto Simone Ghera

Devo dire che non sono così attratto dalla danza, mentre lo sono moltissimo dalle ballerine. Non conosco le posizioni, non conosco i termini tecnici… Vivo la danza solo da un punto di vista personale, per certi versi estraneo alla danza stessa, ma molto vicino al ballerino. Da qui il tema fondante della mia ricerca: “dancer inside”. Voglio citare un commento assai calzante da un’intervista di Carlo Marraffa, direttore della Galleria la Pigna di Roma, che vede nel mio lavoro non solo una ricerca estetica delle linee, ma anche una “plasticità interiore” molto vicina al ballerino. Mi riconosco al 100% in questa definizione. Per me il punto di vista dal quale considero la danza è un vanto: la mia ricerca estetica è basata sull'anima e costruita sulla persona. Di solito si dice che la ricerca è senz'anima: al contrario!

Preferisci la dimensione dell'onstage o del backstage?

Ho scattato poche fotografie durante gli spettacoli perché preferisco la dimensione del backstage. Innanzitutto per fotografare quello che avviene sul palcoscenico occorre conoscere in anticipo il balletto, dato che ‑ durante lo svolgimento ‑ si passa da luci a 2000 watt al buio completo. E poi lo stage lo vivo come una finzione, mentre nel backstage (che io amo frequentare prima, durante e dopo lo spettacolo) i ballerini si possono permettere di non nascondere quella fatica e quelle difficoltà che sul palcoscenico sono bandite. Dello spettacolo ne posso fare a meno, del backstage no.

Al termine dello spettacolo i ballerini si trovano in intimo dialogo con se stessi: il sipario è calato, l'euforia va scemando e lascia il posto a un senso di vuoto. Molti hanno la necessità di restare soli e rifiutano, quindi, di condividere con alcuno quei momenti tanto particolari. Hai mai violato questa privatezza?

Roma, E.U.R., Museo della civiltà romana.

© Foto Simone Ghera

No. O meglio: mi è capitato, a sipario appena calato, di chiedere ai ballerini di lasciarsi avvicinare e ritrarre per una fotografia, ma, via di lì, nient'altro. Del resto, come tu hai detto, ogni cosa finisce con lo spettacolo: si perde quella tensione che, sul palco, lega tutti. A me, invece, interessa proprio quella tensione e la trovo durante le classi, le prove e anche le prove generali. Ricordo che una volta, in Spagna, nella classe di Nacho Duato, stavo talmente vicino alle ballerine, che mi hanno chiesto di allontanarmi perché ero un elemento di disturbo. Non stento a credere che, quando striscio per terra o mi arrampico sulle finestre o quando mi metto dentro il quadrato di sbarre al centro della sala, la mia presenza possa dare fastidio, ma la mia è un'esigenza. Il punto di vista da cui guardo una ballerina non può prescindere da una vicinanza in certi casi, se vuoi, asfissiante. Ad esempio, io non uso, ma abuso del grandangolo, perché mi permette di avvicinare talmente il soggetto, da deformarne significativamente alcune parti del corpo.

Qual è il tuo rapporto con il soggetto fotografato?

Spessissimo fotografo persone che non conoscevo fino a qualche minuto prima dello scatto. È curioso che mi sia stato spesso chiesto: "I tuoi soggetti hanno uno sguardo così intenso, che pare vada attraverso le cose. Come fai a ottenere questo?" Nulla! Cerco solo di mettere il soggetto a proprio agio, parlando continuamente di cose pratiche e condividendo le scelte: "Come vuoi vestirti? Secondo me ti sta meglio il body rosa di quello nero: che cosa ne pensi?" La condivisione è importante: il vero lavoro è quello che si fa tenendo conto che abbiamo davanti delle persone. Quando scatto, chiedo di compiere, molto lentamente, movimenti che mi attraggono e durante i quali individuo attimi per me assai interessanti. Prediligo le posizioni non frontali, le spalle, il collo visto da dietro (che è affascinante!) e ho un debole per le mani. Chiedo, ad esempio, che la ballerina atteggi il collo o le spalle in un certo modo e la cosa singolare è che 99 volte su 100 le danzatrici – nonostante usino lo specchio come uno strumento di conoscenza – non sono consapevoli di tutte le possibilità espressive del loro corpo. È quando mostro loro le fotografie che le ritraggono, che se ne rendono conto.

Giuliano Grittini, il fotografo di Alda Merini, sostiene: "Per scattare fotografie a una persona devi entrare in sintonia con lei. Puoi, certo, anche scattare una foto a uno sconosciuto, ma non è stimolante. Invece, quando conosci una persona e la fotografi regolarmente, segui l’evoluzione della sua vita." Condividi?

Berlino, Franzosischer Dom.

© Foto Simone Ghera

La cosa fondamentale è la sintonia che si deve creare con la persona che fotografi: sintonia che, però, non dipende dal fatto che tu conosca quella persona da sempre o da soli dieci minuti. Mi spingo oltre: viene prima l'entrare in sintonia come esseri umani che come fotografo/soggetto. E se ho fotografato, ma non mi sono sentito a mio agio, ritengo di non aver costruito nulla di soddisfacente; viceversa, se gli scatti non sono riusciti come mi aspettavo, pazienza, a patto che io sia stato bene e mi sia divertito. Insomma, lo scatto a volte è puramente accessorio. Tutto questo non significa che il mio lavoro non sia faticoso. Anzi, mi faccio delle grandi sudate per lo stress e quando, nelle classi, gli insegnanti mi vedono in quello stato, si stupiscono: "Ma perché sudi così tanto, che non stai ballando?" Insomma, a me interessa entrare in intimità con la persona che ho davanti, arrivare alla zona off limits psicologica e voglio che questo traspaia dallo scatto. Per questo quando qualcuno, guardando i miei lavori, mi domanda: "Ma tu conosci bene questa ragazza?”, sono contento, perché la risposta è no: ho quindi raggiunto il mio obiettivo!

Ti occupi solo di danza?

No. Impazzisco per i cieli che hanno una grande personalità, anche se non sono molto attratto dai paesaggi. Tuttavia – so che mi sto ripetendo – è il fattore umano che mi interessa.

Perché ti occupi di danza, visto che non sei - orgogliosamente - né ballettomane né (ex) ballerino? Potresti portare avanti la tua ricerca estetica sulla persona in un campo che non sia quello così particolare del balletto.

Nel balletto sentivo che c'era un qualcosa. Sono entrato nella scuola di danza di mia figlia e ho cominciato a scattare, per studio. Ero attratto dall'incontro del corpo femminile con la danza e quando sono finalmente riuscito a dare un'etichetta alla mia intuizione, mi sono sentito illuminato: ciò che mi affascinava era l'eleganza della danza, non fine a se stessa, ma poetica; era l'atmosfera fatta di sensualità raffinata. Se ci pensi, queste componenti in sé sono banali: bellezza, sensualità, eleganza. Tuttavia la loro interazione ti permette – come fotografo ‑ di giungere a risultati che sono tutt'altro che scontati.

Quindi essere fotografo (anzi, scriviamolo con la maiuscola: Fotografo) significa riscattare il banale, andare oltre il déjà vu.

Firenze, Maggiodanza.

© Foto Simone Ghera

Esatto. E per tornare alla tua domanda sul perché mi occupo di danza senza conoscerla, ammetto che mi piace questa mia "immaturità" che mi fa vedere le cose in maniera istintiva e libera. Non voglio strutturarmi troppo. Alle ballerine chiedo un movimento, una torsione, non per ragioni coreografiche, ma perché so che in fotografia funzionano. Le pose che voglio che assumano e nelle quali stiano a lungo, non necessariamente sono quelle a cui sono abituate. Anzi! E infatti, il giorno dopo aver lavorato con loro, mi trovo i loro messaggi sul cellulare: "Mi fa male tutto!" Ma ‑ l'abbiamo detto ‑ fotografare è questo: andare oltre il banale.