La fine di un ciliegio

C'erano una volta due Ciliegi gemelli che crescevano in una delle piazzette d'una piccola città. Un brutto giorno uno di essi morì di morte naturale ed il gemello rimasto – come si può immaginare – provò un grande dolore; ma nessuno degli abitanti della cittadina si accorse di nulla perché l'albero piangeva soltanto di notte, al buio, o nei giorni di pioggia in modo che le sue lacrime si confondessero con le gocce d'acqua piovana. E tutto ciò perché quel Ciliegio, come tutti gli alberi, del resto, era molto dignitoso; ma soprattutto perché era generoso e non voleva che nessuno fosse triste per causa sua.

Bisogna sapere che subito dietro l'aiuola dove cresceva il nostro amico era un edificio scolastico ed i bambini, entrando ed uscendo da esso, si godevano la sua vista, mentre le loro maestre, prendendo spunto, potevano porgere agli alunni molte nozioni importanti come l'avvicendarsi della stagioni, il sistema ecologico con le catene alimentari, il cielo dell'acqua e tante altre cose. Oppure potevano insinuare nel cuore dei piccoli, pensieri di pura poesia inducendoli a descrivere o a disegnare i meravigliosi rami dell'Albero coperti da migliaia di petali bianchi e serici, con api, farfalle, uccelli che vi facevano in mezzo simpatiche, leggiadre, rumorose o silenziose scorribande.

È chiaro che non tutti i bimbi provavano interesse né a quanto andavano loro spiegando le insegnanti, né alla commovente visione d'un albero fiorito; ma quest'ultimo, poiché era un albero generoso, come abbiamo detto, non si formalizzava, non si offendeva per l'indifferenza con cui il suo miracolo stagionale veniva accolto; esso dava puntualmente integralmente, gratuitamente tutto ciò che poteva, sentendosi pago soltanto di quello che otteneva: aria, sole e nutrimento che andava a cercarsi da solo propagando le sue radici nel sottosuolo.

La posizione dei cittadini adulti rispetto all'Albero era quella dell'indifferenza per la maggior parte di essi, i quali vi transitavano accosto pressati dal consueto incalzante dinamismo; l'altra esigua parte si sentiva gratificata da quell'esistere così discreto e così intenso al tempo stesso.

Comunque sia siamo convinti che a nessuno, ma proprio nessuno, sarebbe mai saltato in mente di divellere l'Albero innocente. Perché mai se il suo stare al mondo era tutti pro e niente contro?

Senonché, essendo l'Uomo un animale assai strano, da un giorno all'alto piovve la grave decisione di cui un gruppo di passeri venne subito a conoscenza.

In quella città doveva arrivare in visita un grande personaggio e quell'Albero, in tale contingenza, andava tolto per far posto a non si sa bene cosa. Tale notizia costernò i passeri che subito fecero circolare la nuova tra il gruppo dei volatili amici del Ciliegio.

Tutti furono d'accordo che bisognava rendere edotto l'amico della terribile condanna che gli pendeva sul capo (alberi e uccelli riescono agevolmente a comunicare tra di loro). Saggia decisione: albero avvisato mezzo salvato, come si suol dire; e chissà che tutti insieme non fossero riusciti a trovare il modo di strappare all'assurda condanna quel poveretto! Già, ma chi si sarebbe assunto l'incarico di portare la ferale notizia?

Dopo un po' di tira e molla si fece avanti un vecchio Merlo, azzoppato l'anno avanti da una sassata, il quale, durante la convalescenza aveva avuto modo e tempo di meditare su una montagna di cose; per questo era ritenuto da tutti molto saggio. Così una mattina, Merlo-lo-Zoppo si avviò lentamente verso il Ciliegio, planò altrettanto lentamente tra i suoi rami e, dopo essersi schiarito la voce che non voleva uscire perché il magone gliela tratteneva in gola, gli sussurrò vicino alla corteccia del fusto ove inizia a diramarsi, la tragica notizia.

Dapprima il Ciliegio non riuscì a penetrarne tutta la portata; poi capì ed un lungo drammatico brivido lo scosse dalle radici alla cima facendo cadere una nuvola di petali bianchi come fosse una nevicata natalizia.

Angosciato Merlo-lo-Zoppo tentò di rincuorare l'amico, di incitarlo alla lotta per la sopravvivenza; ma il condannato, affranto, chinò lievemente i rami verso terra mormorando che le piante sono in grado di capire più cose di quanto si possa immaginare e lui sapeva con certezza che l'Uomo non torna mai sulle sue decisioni quando esse sono crudeli e ingiustificate.

Detto questo non parlò più preparandosi a morire dignitosamente e silenziosamente così com'era vissuto.

Nel frattempo quell'esigua parte di cittadini di buona volontà si adoperò in mille modi per strappare l'Albero alla morte; ma, come esso aveva giustamente previsto, nulla valse a far rinsavire coloro che, dall'alto, avevano deciso per tutti.

Ed ecco che un venerdì, tutto sole e voglia di vivere, una macchina orribile si portò sul posto e, senza nemmeno un piccolo processo, ghigliottinò il condannato portandone subito le spoglie chissà dove.

Questa è la fine ingiustificata e immatura di un Ciliegio che non aveva fatto altro che offrire ossigeno e poesia.

[…]

Pubblicato su La Roggia e su Lo Strillozzo