Anni quaranta-cinquanta
di Celeste Chiappani Loda
Raccolta di racconti, inedita.
Anni quaranta-cinquanta. Un ventennio che gli italiani
avanti con l’età ricordano fin troppo bene. Esso è per loro molto vicino,
vivido in tutta la sua potenzialità emotiva; in primo luogo per la diabolica
efferatezza che caratterizza il quinquennio iniziale (che fa storia a sé),
secondariamente per la grande miseria che caratterizzò il periodo restante. È
chiaro che quest’ultima condizione riguardava – e quando mai non fu così? –il
ceto più basso. Ma a differenza dei secoli passati ora
sembrava lecita la speranza in un mondo migliore. E tutti eravamo pronti ad
abbracciarla, a nutrirla con tenacia. Tutto ciò attiene ai vecchi, abbiamo
detto. Periodo invece remoto, privo di qualsiasi interesse, incapace di
incidere sulle coscienze per quanto riguarda l’adolescente, il trentenne, il
sessantenne (nato allora quindi totalmente inconsapevole di quanto gli accadeva
intorno) di oggi.
Sessant’anni: uno scampolo trascurabilissimo di quella
Storia che è andata delineandosi e rassodandosi
durante l’accavallarsi dei millenni che, nella sua essenza, si ripete e
mantiene baldanzosa la rotta tracciata annichilendo le piccole patetiche
deviazioni , niente che conati, in fondo, che hanno per fine la pace, la
giustizia, la tolleranza. Deviazioni-aborto del tutto
ininfluenti.
Grande Storia fatta anche di piccole storie sconosciute o
subito dimenticate perché prive di catalizzatori che le potrebbero aiutare a
uscire dagli angiporti. Il tutto però coeso dal terribile invitto
scatenante: "Homo homini lupus".
Concetto tanto più spaventoso poiché la sua veridicità possiamo
appurare sia nel gomito gomito quotidiano (può
riguardare il coinquilino della porta accanto o il parente stretto – non ci
sono distinzioni), sia nel rapporto tra nazioni ed etnie diverse plagiate e
"telecomandate" dai sedicenti grandi della Terra.
Restando nel presente esiste, è vero, uno sparuto gruppo di
uomini di buona volontà (specie ormai quasi estinta) che si adopera per vincere
l’indifferenza, quando non è addirittura disprezzo, ostilità, blasfema smentita
dei più, onde mantenere viva la sacralità del "Per non dimenticare".
Sforzo che appoggio appieno, con estremo calore a dispetto di quella
destabilizzante puntuta frase dell’Ecclesiaste: Non v’è nulla di nuovo sotto il
sole. La quale, più spesso dell’accettabile, mi ronza nella mente. Quel che è
stato sarà, quindi? Molto inquietante, direi.
È assodato che nulla ha più valore didattico
dell’esperienza, ma a una condizione inevitabile: essa deve
compiersi sulla nostra propria pelle. Dunque, riallacciandoci alla Memoria di cui sopra
adoperiamoci perché essa rimanga sempre viva, attenti bene a non abbandonarci
ad assurde illusioni. Un’esortazione amorale? Può darsi. Tuttavia esiste anche
il cosiddetto scarico di coscienza. E sentirsi a posto con la propria coscienza
(almeno per coloro che sono convinti di averne una con
il senso del dovere di usarla al meglio) è già premio, anche se sterilmente
egoistico, purtroppo.
Arrivati a questo punto è tempo di
venire ai racconti che seguono tratti dalla raccolta che ha per titolo, paro
paro,le prime tre parole della presentazione qui sopra stilata.
Essi, per un buon ottanta per cento
cronaca pura,non si propongono scopi nobili, alti fini, soltanto desidererebbero
far conoscere al lettore l’adombrato clima, almeno uno scorcio, socioculturale
di allora, per certi versi così distante da quello odierno. Tali scritti
rappresentano la "piccola storia" cui si è accennato sopra e
presentano due piani di lettura: soffermarsi un attimo onde
riflettere per sentirci coinvolti nel divario che esiste tra i numerosissimi
"mondi" in cui è diviso il nostro pianeta; oppure leggerli
semplicemente "sotto l’ombrellone" dove l’atmosfera che lo circonda
non è certo delle più favorevoli per invogliare a spingere sguardo e attenzione
tra le righe.
Per leggere alcuni racconti della raccolta, è sufficiente fare
clic sui titoli che seguono questa introduzione.
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