Le lettere non spedite

Questo racconto fa parte della raccolta di racconti inediti Anni quaranta-cinquanta, di Celeste Chiappani Loda, ambientati nel ventennio 1940-50.

Brescia, giugno…

Mio caro,

continuo a pormi la stessa domanda senza trovare rispo­sta. Perché hai soffocato il tuo sentimento per me, sul nascere? Sono certa che mi amavi. Oserei dire che sono certa tu mi ami ancora. Ma con una freddezza inconcepi­bile in un uomo della tua sensibilità hai bloccato il prorompere di un legittimo puro sentimento. Perché?

Brescia, giugno…

Carissimo,

come sempre il pensiero è corso a te al mio primo risveglio. Al perché che non vuol darmi pace. Non ti chie­si spiegazioni non avendone il diritto. Tu sei stato sempre maestro nel dosare parole e baci che potevano essere quelli destinati ad una sorella desiderata e mai avuta. Eppure sono sempre certa che avevi per me ben altro sentire. Poi la partenza e la lettera che m'inviasti dalla tua La Spezia. D'addio? Anche questo tra le righe. Ma stamattina ecco l'idea: la tua pro­fonda religiosità di fronte ai miei dubbi blasfemi ti ha dato la forza di erigere paletti inamovibili, di troncare un sentimento che avrebbe potuto sfidare l'universo. Ma è solo un'idea la mia. Penserò che è frutto di una cattiva nottata, una gratuita illazione priva di credibilità. Non voglio che tu "muoia".

Lago d'Iseo, luglio…

Caro, caro,

sono ospite della professoressa Rina Peroni Lanza, nel suo villino a picco sul lago, per un paio di giorni. Buona parte della giornata di ieri la passammo in barca, l'ingegnere, marito della signora, i bambini ed io. Mentre io remavo – è ben faticoso devo dire – essi pescavano. Abboccarono quattro lucci ed io soffersi tutta l'agonia di quei poveri pesci; tuttavia tac­qui. Perché fui così vigliacca? Dovere di ospite senza dubbio. Ma non riesco a darmi pace.

Lago d'Iseo, luglio…

Tesoro,

è il tramonto e si esce tutti in barca per fare il gi­ro di Montisola. Ma io non vedo nulla: solo la tua im­magine pervicace che si sovrappone ad ogni altra, so­prattutto alle luci dell'isola che l'acqua nera ac­coglie e rimanda trasformate. Al di fuori di ogni ragionevolezza spero che tu mi compaia davanti da un mo­mento all'altro. So che tutti gli innamorati si comportano così; ma che cosa conta tale consapevolez­za? Ciascuno è depositario del proprio amore che è ineguagliabile, irripetibile.

Lago d'Iseo, luglio…

Adorato,

mi specchio nelle acque grigiazzurre, quasi immote, del lago sotto di me, appoggiando i gomiti alla ringhie­ra del terrazzino. Esse accarezzano dolcemente il mio viso che vi si adagia, lo scompigliano appena in un tenero gioco che quasi mi intorpidisce. Anche noi cambiamo dentro, così: in modo quasi impercet­tibile o con violenza – se le acque del lago fossero agitate che rimarrebbe dei lineamenti del mio volto? È spaventosamente banale ciò che scrivo, ma mi sembra tanto importante in questo momento! Fin dove arriva il cuore e fin dove il cervello? Oh, basta!

Gabbio di Casale Corte Cerro, luglio…

Mio caro,

resterò qui per una settimana. Ho noleggiato una bici­cletta con cui mi reco ora sul lago d'Orta ora sul la­go Maggiore. La distanza è abbastanza rilevante sia in un senso sia nell'altro; ma io pedalo volentieri e ho buona resistenza. Sono luoghi meravigliosi. Il Verbano soprattutto è un tripudio di giardini fioriti, palpitanti… M'accorgo di non gioirne tuttavia, e recito con Goethe: Inver, o Roma, un mondo sei tu,/ ma pur senza l'amore/ non è mondo il mondo/ e nemmen Roma è Roma.

Brescia, settembre…

Amore mio,

domani partirò per Monaco di Baviera dove mi fermerò tre o quat­tro giorni: sono giusto quelli che mi mancano ancora per finire le ferie dell'anno in corso. Terminerò là questa lettera così ti potrò descrivere le mie impres­sioni. Sono molto emozionata: è la prima volta che vado in Germania. Ma quanto rinuncerei volentieri a questo viaggio, che pure ho ardentemente desiderato, per stare anche un solo giorno con te, nella tua La Spezia.

Cecilia non poteva credere ai suoi occhi. Aveva gira­to la testa per un impulso inspiegabile e, ad uno dei tavolini del bar Igea, antistante la stazione ferro­viaria, aveva visto lui, Francesco. Il cuore aveva su­bito perduto colpi ed ella s'era fermata per potersi riprendere. Istintivamente abbassò gli occhi sul pac­chetto di lettere trattenute da un elastico, che tene­va in mano. All'ultimo momento aveva deciso di non metterle né in borsetta né in valigia. C'era tutta in quelle parole che erano lembi di se stessa fissati sulla carta. Perciò le era parso giusto tenersele in mano come qualcosa di vivo. Solo un ogget­to può essere cacciato in borsa o in valigia.

Sorrise. Anche se ogni foglietto era racchiuso in una busta senza indirizzo in realtà quello era un diario. Un diario in omaggio a quello che s'era illusa potesse trasformarsi nel miracoloso primo amore.

Anche Francesco s'era voltato senza ragione apparente e, vistala, s'era alzato, ma senza muovere un passo.

Solo un tre metri li separavano.

– Oh, ma che sorpresa! Nemmeno ci fossimo dati appuntamento. Siedi. Prendi un caffè? – chiese lui.

Cecilia ascoltava stordita. Riuscì a fare un calcolo veloce: c'era abbastanza tempo prima che il suo treno partisse. Così sedette mormorando:

– Sì, grazie. Un caffè andrà benissimo. –

Ma chi era quell'estraneo? Incredibile: tutto ciò che di familiare trovò in lui, dopo appena sette mesi di assenza, fu il tic nervoso che gli faceva strizzare l'occhio sinistro. Solo che ora le sembrava più appariscente, più disturbante. La ragazza ne distolse lo sguardo molto a disagio.

– Che fai di bello? Abiti sempre a La Spezia? –

Pos­sibile che "tutto" si potesse ridurre ad una simile domanda? Cecilia pensò sgomenta che tra due sconosciu­ti la curiosità di sapere sarebbe stata più acuta, stimolante.

Anche Francesco, si vedeva, faceva sforzi per avviare una conversazione impossibile.

– Sì, abito sempre là. Ho dovuto venire per ritirare certi documenti al Provveditorato. Non ho ancora preso moglie…, ma ho un mezzo impegno con una collega. E tu? –

– Io faccio l'assistente sociale alle dipendenze di un grosso complesso industriale. Mi reputo fortunata perché il lavoro mi piace. Neanch'io sono sposata … e non ho neanche mezzi impegni. –

Aveva fatto una risatina che sperava disinvolta. Ma ecco nuovamente quel silenzio grigio che ha il potere di paralizzare il pensiero.

Cecilia, per darsi un contegno, posò le "lettere" sul tavolino. Il giovane, allora, pur di dire qualcosa, si buttò a pesce su una banalità:

– Non mi dire che sono lettere d'amore; altrimenti le avresti legate con un nastro rosso, no? –

– Ah, queste? Sono relazioni su certi lavori che ho svolto. Pensavo di metterle a punto proprio in questi giorni perché le dovrei consegnare al più presto. –

Una spiegazione che non stava né in cielo né in terna; ma, pensò Cecilia, qualsiasi cosa fosse stata detta fra di loro uno spesso muro ne rimandava indie­tro le parole prima che giungessero alla coscienza dell'altro. Consultò l'orologio che aveva al polso e si alzò, sorridendo disinvolta:

– Mi dispiace, ma devo veramente andare. Grazie per il caffè e tanti auguri. –

Francesco si alzò a sua volta porgendole la mano del tutto formalmente:

– Grazie e altrettanti auguri a te. –

La ragazza raccolse borsetta, valigia e pacchetto avviandosi ancheggiando quel tanto sufficiente per mettere in mostra la sua elegantissima figura senza cadere nel cattivo gusto. Francesco la seguì con oc­chio svagato e notò che lasciava cadere le "relazioni" in un cestino dei rifiuti.