Fra ars mathematica e ars musica: intervista ad Alexandre Rodichevski

16 aprile 2011

Un frammento del video Fractales di Alexandre Rodichevski

Il legame fra musica e matematica è di vecchia data. Il Novecento è senza dubbio il secolo che lo ha portato alle conseguenze più estreme trasformandolo in approccio scientifico alla musica (Pierre Boulez è laureato in matematica, così come Philip Glass, Xenakis era architetto, Messiaen ornitologo). Tu sei uno scienziato. Come usi la matematica e gli strumenti scientifici di cui disponi in rapporto alla musica: come fonte di ispirazione tematica ‑ penso ai titoli dei tuoi CD, per esempio Ars mathematica ‑ o come strumento compositivo?

Direi soprattutto come strumento compositivo. L’esempio è l’uso che ho fatto di π (pi greco), basandomi sulla sua rappresentazione decimale e trasformandola poi in musica. Ad ogni modo, nel corso della mia attività compositiva, la fase sperimentale (o matematica, se preferisci) rappresenta solo l’ultima tappa. In Minuti ‑ per esempio ‑ ho composto i pezzi in base a canoni assolutamente tradizionali.

Minuti è stato il tuo primo CD, ma – immagino – non la tua prima composizione. Quando hai iniziato a scrivere musica?

Ai tempi dei miei studi universitari. Alloggiavo in un ostello con alcuni compagni che – come me – frequentavano facoltà scientifiche. Con loro ho partecipato a un esperimento collettivo: abbiamo composto un’opera.

Libretto e musica?

Sì. La nostra opera si intitolava Terrore e affrontava – appunto – il tema del terrore in ambito politico.

Vi riferivate alla Francia di Robespierre?

No, l’ambientazione era assolutamente russa; più precisamente il riferimento riguardava la Russia a cavallo fra Otto e Novecento. Scrivevamo di nascosto, basandoci su un organico ridottissimo ma a portata di mano: un pianoforte appartenente all'ostello, una chitarra e percussioni non solo strumentali, ma anche vocali.

L’opera è mai stata rappresentata?

No. Erano gli anni Ottanta: la tematica che avevamo scelto era ancora decisamente rischiosa. Terrore è rimasto un esperimento, un tentativo coinvolgente che mi ha consentito di approcciare la musica da un punto di vista creativo. Per molto tempo, però, è rimasto un esperimento isolato, privo di seguito.

In questa fase e successivamente quali sono stati i tuoi referenti a livello musicale?

Ho ascoltato voracemente i Pink Floyd, o meglio certe canzoni dei Pink Floyd… direi anzi che più che da un gruppo o da un artista in particolare, sono rimasto colpito da alcune canzoni, da brani rock degli anni Settanta. Per quanto riguarda i classici, amo molto i russi: Čajkovskij e Rachmaninov, ma anche Musorgskij, Šostakovič e Prokof'ev. Oltre a loro Bach, Vivaldi e Mozart.

Un ventaglio piuttosto ampio: occidentalisti, slavofili…

In realtà è una distinzione piuttosto astratta: in fondo penso che la musica russa abbia sempre mantenuto lo sguardo rivolto al panorama artistico dell’Occidente.

E per quanto riguarda le sperimentazioni novecentesche?

Non posso dire che abbiano particolarmente influito su di me. Ho ascoltato sporadicamente qualche pezzo di Messiaen, ho provato un certo interesse per Xenakis: sicuramente mi ha incuriosito il loro legame con l’ambito scientifico… ma li ho sempre sentiti lontani da me e dalla mia sensibilità.

Riassumendo: dai Pink Floyd a Čajkovskij. Mi viene automatico pensare al tuo primo CD, Minuti, nel quale hai fatto uso di uno stile musicale eterogeneo, denso di elementi appartenenti al repertorio classico e alla musica pop. A questo proposito, mi viene spontaneo chiederti che rapporto intercorre per te fra questi due ambiti musicali – il filone colto e la musica pop – che siamo abituati a considerare come rigidamente separati… a volte anche da un punto di vista gerarchico.

Lascerei da parte la distinzione fra filone colto e pop e prenderei invece in considerazione il concetto di “classico”.

Nel senso che preferisci stabilire una distinzione di tipo meramente cronologico, non qualitativo?

No, nel senso che mi viene spontaneo riciclare – passami il termine – il concetto di “classico”, attribuendogli però una connotazione diversa a quella comunemente riconosciuta. Classici per me non sono i compositori, ma i brani che – per determinati motivi – hanno significato qualcosa nello sviluppo musicale. Un classico, per me, può essere una sonata di Mozart, così come una canzone dei Beatles. Per quanto riguarda le mie composizioni, mi sarebbe comunque impossibile – anche volendolo – classificare la mia musica “in blocco”: quando abbozzo un pezzo, la maggior parte delle volte, so che il risultato può essere in stile classico o in stile pop, indifferentemente.

Abbiamo parlato di Alexandre Rodichevski scienziato. Ti chiedo ora cosa emerge dalla tua musica delle tue origini siberiane…

Molto poco, credo. I titoli dei miei brani rimandano spesso e volentieri a ricordi che nella maggior parte dei casi non sono legati alla mia vita in Siberia. Fra l’altro la particolarità della storia del mio paese rende difficile in partenza stabilire in cosa consista un’identità siberiana.

Immagino: per via del forte legame con la Russia. Cosa mi dici però di Matrioska, uno dei brani del CD Minuti?

Certo, in quel caso il riferimento è evidente. Nel brano ho tentato di ricreare l’impressione di un girotondo danzante di matrioske: è un brano che ho fatto ascoltare anche a mio padre, che vive in Siberia, e lui stesso mi ha detto che lo trovava molto calzante al tipo di immagine che volevo rappresentare.

Parliamo ora del CD Cosmologie. Mi sembra che si configuri come una sorta di macrovisione della vita dell’Universo… come un corrispettivo temporalmente dilatato di Minuti: una giornata dell’Universo. Da Cosmologie traspare l’esistenza di tre universi ‑ fisici e umani ‑ pervasi da una sorta di stupore. Che ruolo ha il Divino nella tua visione cosmologica?

Cosmologie rappresenta il riflesso di una visione tipicamente scientifica della realtà. Non è un caso che i titoli dei brani ‑ le tematiche ‑ siano concepiti in modo problematico, non assertivo: per opposti complementari.

Il Divino non c’è, quindi.

La presenza del Divino, invece, la si può avvertire in due momenti. Nel breve tema musicale all'inizio e alla fine del CD narro la solitudine prima della creazione (Big Bang) e dopo la distruzione dell'Universo (Big Crunch). E questo è il primo "momento". Il secondo è rappresentato dal brano Cinque elementi, dove alludo al quinto elemento: l'Essenza, della quale, come ritenevano i filosofi antichi, è composta l'Anima. Il brano è un omaggio ai pensatori del passato per la loro concezione del mondo.

Gli elementi della quiete è il tuo ultimo CD. Dal punto di vista stilistico, si recepisce un mutamento marcato rispetto ai CD precedenti…

È vero. Gli elementi della quiete è caratterizzato da un’intensa sperimentazione formale di cui ‑ in realtà ‑ alcune tracce sono presenti già in Cosmologie: mi riferisco in particolare al brano Due costellazioni. In quel caso avevo già sperimentato un metodo compositivo nuovo. Avevo utilizzato le coordinate di una costellazione, trasformandole poi in espressione sonora: un procedimento simile a quello che ho utilizzato con π (pi greco). In Gli elementi della quiete non ho fatto che estendere e potenziare questo metodo compositivo, trasformando determinate frequenze in espressione musicale; in questo caso, però, a differenza delle sperimentazioni precedenti, si può dire che non ho quasi elaborato il risultato finale ‑ se non, ovviamente, per quanto concerne l’arrangiamento.

Hai fatto delle sperimentazioni anche nell’ambito della musica frattale?

Nel brano Fractales (dal CD Ars mathematica) ho utilizzato i metodi, già conosciuti negli anni Novanta, della musica derivata dalle sequenze frattali di Thue-Morse. La mia invenzione in questo ambito, invece, è una composizione basata sulla curva di Peano.

Hai definito Minuti come "cortometraggi musicali". Per il tuo brano Fractales hai creato anche un video. Da tutto questo emerge l’importanza del legame fra musica e immagine: è un aspetto che pensi di sviluppare in futuro?

L’elemento visivo è senza dubbio molto forte nelle mie composizioni: è alle radici stesse dell’atto creativo, nel senso che molto spesso ‑ nel momento in cui compongo ‑ visualizzo una determinata immagine. Prendi Caduta negli inferi, per esempio (è un brano di Cosmologie): creandolo, mi è venuto spontaneo immaginarlo come un balletto. Il legame fra musica e immagine è un aspetto che senza dubbio mi piacerebbe sviluppare: non solo nell’ambito del teatro o del cinema, ma anche – e soprattutto ‑ in relazione al mondo della danza.

Un’ultima domanda: di che tipo di strumentazione ti servi per le tue composizioni? Pensi che in futuro scriverai qualcosa per strumenti tradizionali?

L’unico strumento di cui mi servo è il computer; in casa ho un pianoforte, ma per comporre non lo uso. I suoni a cui mi ispiro si rifanno principalmente a strumenti reali (soprattutto in Minuti) e nelle mie partiture troverai riferimenti a pianoforti, percussioni, ottavini. Per quanto riguarda il futuro… chi può dirlo?