“Semplicemente” Botero
Dal 20 marzo al 10 luglio 2011 presso la Pinacoteca Comunale
Casa Rusca di Locarno: un’esaustiva esposizione di dipinti e sculture che copre
gli ultimi quindici anni di attività di Fernando Botero.
Fernando
Botero
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Artista o arguto business man dell’arte? Semplicità o
semplicismo? Fernando Botero è una delle personalità artistiche più controverse
della pittura contemporanea: le sue opere sono passate gradualmente attraverso
l’indifferenza del mercato artistico, l’ostilità delle tendenze pittoriche del
Novecento postbellico e un successo quasi di massa. Oggi, di fronte al
proliferare di una produzione commercializzata su larga scala, risulta
difficile definire in che cosa consista l’effettivo valore dell’arte di Botero.
O forse no. Forse il problema non riguarda l’oggetto osservato, ma l’occhio di
chi osserva e forse l’occhio che osserva soffre ancora, semplicemente, di una
malattia tipicamente novecentesca: il tarlo che induce a cercare di complicare
l’incomplicabile. Lo si capisce facilmente trovandosi vis à vis con Botero; credo che l’effetto sarebbe spiazzante per
chiunque. Fernando Botero parla fluentemente inglese, francese e italiano:
d’altra parte ha vissuto una vita itinerante per antonomasia, che lo ha portato
a Madrid, a Parigi, a New York e a Firenze; ciononostante gli manca totalmente
la disinvoltura del viveur o
dell’artista affermato: ha piuttosto la serietà dignitosa di un signore d’altri
tempi o il cipiglio un po’ rétro di un vecchio torero in pensione. È Fernando
Botero, nato a Medellin e tornato – almeno metaforicamente parlando – alla sua
Colombia in seguito a un percorso tortuoso e denso di incontri. È in Colombia
che il giovane Botero si imbatte – ovviamente a distanza – con l’avanguardia
artistica europea e scrive un articolo su Picasso che gli varrà l’espulsione
dall’ambiente conservatore del collegio; è dalla Colombia che il pittore parte
per un viaggio verso il Vecchio Continente che – contro ogni aspettativa – lo
porterà allo scontro con le tendenze più affermate della pittura contemporanea
e, parallelamente, all’incontro con l’arte classica e rinascimentale,
metabolizzata e riproposta in modo del tutto personale; è infine alla Colombia
- alla lussureggiante e ipertrofica vitalità latinoamericana - che Botero
ritorna attraverso la progressiva maturazione di uno stile che diventerà la sua
inconfondibile cifra personale.
Gente del circo con elefante, 2007
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Le “donne grasse”
(ma in realtà si dovrebbe – se mai – parlare di “realtà grassa”) nascono
proprio da questa fedeltà alle proprie radici. La compiaciuta opulenza delle
bellezze di Botero e il suo successo a livello commerciale, spiccano come un
colossale paradosso in una società che sembra stabilmente orientata verso un
modello di bellezza femminile efebico e diafano. Alcuni critici hanno posto in
relazione la dilatazione delle forme operata da Botero con il contesto socio
economico coevo, leggendola come proiezione visiva del consumismo. Tuttavia la
realtà è molto più semplice e meno “militante”, senza contare che –
generalmente – l’affermazione di un modello di bellezza si consolida come
opposizione e non come riflesso della tendenza economica del momento (le
ipertrofiche Veneri di Rubens sarebbero impensabili al di fuori della crisi del
Seicento). La dilatazione delle forme, nelle opere del pittore colombiano, ha
quindi un significato molto diverso… e in un certo senso molto più localistico:
ne è una spia il fatto che essa non riguardi solo il corpo umano, ma anche gli
animali e lo stesso contesto paesaggistico.
Il seminario, 2004
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“Il problema è
determinare la fonte del piacere quando si guarda un dipinto. Per me il piacere
viene dall’esaltazione della vita, che esprime la sensualità delle forme. Per
questa ragione il problema formale è creare sensualità attraverso le forme.”
Questa è la chiave di tutto. Dietro l’irreale dilatazione dei volumi non c’è
nessun tipo di riflesso o critica di un modello sociale, ma la pura e semplice
ricerca di un piacere ideale - non meramente edonistico - che in Botero si
concretizza idillicamente in un metaforico “ritorno alle origini”, esaltazione
della sensualità densa e lussureggiante tipica della realtà latinoamericana. Si
tratta di un modello astratto, utopico, che affonda le radici nella realtà, ma
che dalla realtà si distanzia: la brillantezza un po’ naïve della tavolozza cromatica e la totale assenza di dimensione
psicologica nella rappresentazione dei personaggi, concorrono ad allontanare
soggetti e paesaggi dall’osservatore, collocandoli in un “non luogo”
serenamente favolistico.
La cornada, 1988
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La mostra in corso
a Locarno – a cura di Rudy Chiappini – espone una cinquantina di opere (fra
dipinti e sculture) che illustrano in un’ampia carrellata gli ultimi quindici
anni di produzione dell’artista colombiano. Passeggiando attraverso le opere –
suddivise in base a nuclei tematici – emerge come un dato di fondo evidente
l’assoluta coerenza stilistica, che costituisce il principale elemento di
omogeneità all’interno della produzione artistica di Botero. I cambiamenti
devono quindi essere rintracciati non – come spesso accade – nell’evoluzione
formale, ma nell’espansione dello stile attraverso tematiche differenti, sempre
riconducibili alle radici culturali e alle esperienze personali dell’artista
colombiano. Dalle “Versioni dagli antichi maestri” emerge il dialogo (un
dialogo creativo e paritetico) con Velázquez, Zurbarán, Van Eyck e altri
esponenti del Cinquecento e del Seicento europeo. Si tratta di un rapporto fra
passato e presente vissuto in modo ludico, dal quale emerge in filigrana l’incompatibilità
dell’estetica di Botero con le principali tendenze dell’arte contemporanea (“Credo
che l’arte debba dare all’uomo momenti di felicità, un rifugio di esistenza straordinaria,
parallela a quella quotidiana. Invece gli artisti oggi preferiscono lo shock e
credono che basti provocare scandalo. La povertà dell’arte contemporanea è
terribile, ma nessuno ha il coraggio di dire che il re è nudo”). Seguono poi i
“Nudi” – soprattutto femminili – vivacemente permeati dall'influenza delle
sculture di Maillol e dell’arte arcaica, “Nature morte” intessute di memorie
cézanniane e, infine, i dipinti più immediatamente riconducibili alla realtà
latinoamericana. Funamboli e acrobati da circo, popolose scene di vita
familiare, preti panciuti e paciosi, tori e toreri. Si tratta in realtà di un
unico, gigantesco universo umano pullulante di vita e parallelo rispetto a
quello reale; lo si nota in particolare nei dipinti dedicati alla
rappresentazione di scene di vita religiosa e alla corrida. Le due realtà
risultano segretamente legate da un sottile filo conduttore: le immagini di
vita ecclesiastica appaiono pervase da un’ironia affettuosa, lontanissima dalla
veemenza iconoclasta di altri artisti latinoamericani (come Rafael Dussan, per
esempio); così la rappresentazione della corrida (un mondo particolarmente
vicino a Botero, che a dodici anni aveva frequentato una scuola per toreri),
risulta completamente scevra da immagini cruente: il mondo animale (tori e
cavalli) giganteggia quietamente nel recinto dell’arena e i toreri spiccano
come principi riccamente vestiti. Nel mondo di Botero – un universo comunque
venato di chiaroscuri, come mostrano i dipinti del 2004 dedicati ai detenuti
nelle prigioni iraquene di Abu Ghraib – non c’è spazio per gli elementi
negativi della realtà e i pochi spaccati che sfuggono a questa legge -“La
cornada” e “Suicidio”- appaiono edulcorati, mediati attraverso un filtro
giocoso che trasforma la débacle del torero in surreale sonno sulla groppa del
toro, e il suicidio in tragicomica caduta.
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