Intervista a Valentina Bonelli, critico e storico di danza, autrice di Ballerina (red! edizioni)

15 marzo 2011

Qual è la sua definizione di danza?

Ballerina, il libro di Valentina Bonelli (red! edizioni, 2010)

Ogni tanto ripeto tra me e me, sorridendo ma anche con una certa convinzione, la definizione che ho sentito pronunciare, molto tempo fa, da un coreografo che amo molto, Jurij Grigorovič: "Il balletto è una religione".

Una frase che mi pare ben colga lo spirito di devozione assoluta di chi la danza la pratica da professionista, la indaga in qualità di studioso, la segue come spettatore. Facciamo parte di una ristretta setta, mossa da un sano fanatismo.

Com'è nata l'idea del suo libro Ballerina?

A dire il vero non è venuta a me, ma all'editore red!, intenzionato a coprire un segmento librario ancora scoperto in Italia: quello dei manuali di danza per bambine e adolescenti.

Tuttavia, non avendo mai scritto un libro per l'infanzia né avendo mai pensato di farlo, ho riflettuto un po' prima di accettare l'inaspettata proposta dell'editore. Poi mi sono detta che poteva essere interessante provare a raccontare e trasmettere a un pubblico giovane, in un linguaggio diverso da quello al quale sono abituata, quanto ho appreso e amato in questi anni da critico e storico di danza. Una volta accettato l'incarico, è stata mia la proposta di strutturare il libro in una sezione tecnica, una pratica e una storica, così come l'idea di un personaggio di fantasia in cui le piccole lettrici potessero identificarsi.

Il la alla narrazione è dato dalla presenza di Maja, una giovanissima ed emozionata ballerina. È un caso che lei abbia scelto il nome della grande Plisetskaja?

Valentina Bonelli (a destra) e Agnese Omodei Salè (a sinistra), durante la presentazione di Ballerina, a Danza in fiera (26 febbraio 2011).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

Volevo un nome russo e da ballerina, e Maja lo è. Naturalmente la scelta non è casuale: ho sempre ammirato Maja Plisetskaja, non solo come artista, ma anche come donna vissuta con libertà e coraggio nell'Unione Sovietica di allora. Due anni fa ho avuto la fortuna di incontrarla e intervistarla e non ne dimenticherò la bellezza e la fierezza.

Lo scopo del suo libro è di sostenere la passione delle giovanissime per la danza o di farla nascere o entrambe le cose?

Non ho uno scopo così ambizioso: mi basta che un libro come il mio invogli le giovanissime ad andare a teatro e a conoscere il balletto. Se poi verrò a sapere che qualcuna delle lettrici di Ballerina ha intrapreso lo studio della danza grazie al libro o lo trova un utile strumento di approfondimento, ne sarò felice.

Per scrivere un libro come il suo, quanto è importante aver studiato danza?

Fondamentale, naturalmente, almeno per quanto riguarda la sezione tecnica e pratica. Ma dal momento che io, pur avendo studiato danza, non l'ho mai esercitata da ballerina professionista, mi sono avvalsa della consulenza di validi professionisti e didatti, che compaiono nei ringraziamenti del libro. In aggiunta alle due suddette sezioni, ho comunque voluto che nel libro ci fosse un'ampia sezione dedicata alla storia del balletto, spesso misconosciuta anche da chi la danza la pratica.

Il suo libro palpita della passione per la danza, senza però nascondere i sacrifici che il mestiere di ballerina comporta. Qual è la percentuale di coloro che si iscrivono a una scuola di danza seria, con l'intenzione di fare della danza una scelta di vita e poi desistono?

Non credo esistano percentuali, in ogni caso non sono divulgate: certo devono essere alte. Per questo non mi dispiace aver rimarcato nel libro che solo pochissimi riescono, poiché la danza - è noto - richiede un imponderabile equilibrio tra doti fisiche, tecniche e caratteriali. Tuttavia, sulla distanza, non prenderei necessariamente come una sconfitta la rinuncia e l'abbandono, piuttosto come un percorso comunque arricchente, che potrà magari aprire altre strade nel mondo della danza. Trovo invece insopportabile la vulgata da talent show televisivo che tutti, purché animati da passione, possano diventare professionisti della danza.

Primo tema: la danza oggi. Secondo tema: la danza oggi in Italia. In che stato di salute versa la "cenerentola delle arti"?

La danza oggi potrebbe essere l'arte della scena più universale e trascinatrice, e lo è in quei Paesi che vi hanno creduto. In Italia invece la cultura di danza semplicemente non esiste, dopo decenni di investimenti mancati nella creazione di Accademie e scuole, nell'istituzione di centri e spazi dedicati, nei finanziamenti alle compagnie e agli artisti di talento, nel sostegno a teatri e festival. Un'ottusa e ignorante cecità politica, che non capisce, o non vuole capire, quanto la danza, al pari di altre arti, potrebbe diventare un'industria culturale. Ho appena appreso con sollievo del reintegro del taglio del 40% al FUS, il Fondo Unico dello Spettacolo, che alla danza destinava comunque soltanto - come si sa - il 2% delle risorse. Per una volta gli appelli e le mobilitazioni hanno temporaneamente ottenuto lo scopo, ma se la danza forse non morirà, continuerà a sopravvivere faticosamente.