Intervista al ballerino Giovanni Di Palma

31 dicembre 2010

Giovanni Di Palma in sala prove del Teatro dell'Opera di Lipsia.

© Foto Felix Aarts

Un’intervista rilasciata l’ultimo giorno dell’anno: domani inizia il 2011. Ti pongo, allora, in apertura, una domanda che, in altre circostanze, avrebbe rappresentato la volata: i tuoi progetti per il 2011.

Sarà sicuramente un anno intenso di viaggi e di nuove esperienze. Ci sarà innanzitutto la prima a Brno, in Repubblica Ceca, de La creazione con coreografie di Uwe Scholz su musica di Haydn: mi sto occupando non solo di rimontare la coreografia, ma di i costumi, diapositive e di tutta la regia dello spettacolo. Poi sarà la volta di Istanbul e quasi sicuramente Den Haag, Zagabria, Tokyo, San Paolo e altre città. I miei impegni prevedono di rimontare non solo alcune coreografie di Uwe Scholz, ma anche quelle di Marco Goecke e di altri coreografi. Inoltre sarò attivo come maestro di ballo in alcune compagnie dove preparerò ballerini per altri ruoli. Un momento importante sarà anche la prima di uno spettacolo inedito a Tokyo in collaborazione con l’attore di teatro Noh Reijiro Tsumura: un grande artista!

E ora la volata finale: i tuoi progetti per un più lontano futuro.

Non so... Non faccio mai progetti a lungo termine, ma preparo gradualmente il terreno. Devo dire che, da oltre un anno, ho alternato l’essere protagonista in scena al lavoro dietro le quinte: questo mi ha entusiasmato, divertito e stimolato, arricchendomi di nuove idee e permettendomi di conoscere persone e artisti veramente speciali. Per la prima volta nel 2011 mi occuperò della direzione artistica di una nuova compagnia a progetto che sarà creata a Tokyo: sarà un’occasione per valutare le mie capacità per futuri incarichi. Sono comunque fiducioso! Del resto, mi interessa molto camminare e crescere in questa direzione: significa per me poter mettere a disposizione le mie esperienze per dare la possibilità a nuovi talenti di potersi evolvere, essendo a capo di una compagnia, di un teatro o di un'istituzione.

Mi collego alle tue ultime battute per affermare che un ballerino non deve solo vivere nell’oggi, ma saper guardare avanti, iniziando piuttosto presto a progettare la propria vita professionale dopo che lascerà le scene. Parlando in generale, quali sono le prospettive che ha oggigiorno a un ballerino?

Penso che ogni ballerino debba cercare dentro di sé un interesse da sviluppare. Non credo ci sia un cammino uguale per tutti:alcuni sono predisposti all’insegnamento altri alla coreografia. Ho conosciuto ballerini che sono diventati creatori di costumi o scenografi, altri compositori. Se si ha una vena artistica si trova sempre un interesse da cui partire. E se questa vena non la si ha, si cambia del tutto, compiendo studi che portino ad altri sbocchi lavorativi.

Prima ho usato la metafora ciclistica della volata finale. Ogni ballerino si pone un traguardo e fa le proprie scelte. Quali sono – secondo te ‑ gli ingredienti che sostengono la lucidità nel porsi un traguardo?

La consapevolezza delle proprie capacità, ascoltare e imparare sempre dagli altri, cercare continuamente nuovi stimoli e nuovi interessi. Dare il meglio di sé e arrivare a delle scelte senza nessun rimpianto. Essere critici soprattutto nei confronti di sé stessi e non mettere mai in primo piano gli interessi personali. Seguendo questa etica, si diventa ricchi, magari non in termini economici, ma sicuramente dal punto di vista umano.

E ora torniamo indietro: alla tua biografia. Me ne racconti le tappe principali?

Il punto di partenza è stato l’Accademia Nazionale di Danza di Roma, dove ho avuto la fortuna di essere studente di docenti meravigliosi, e non solo per quanto riguarda la danza; ho infatti studiato con validissimi insegnanti delle materie del liceo coreutico: italiano, filosofia, lingue straniere, storia dell’arte, della danza, della musica, solfeggio... Poi è venuto il balletto dell’Opéra di Nizza: la mia gavetta. È lì che ho ottenuto i primi ruoli da solista. Poi il Balletto di Dresda: importante scuola di disciplina, grande pubblico, grande repertorio classico e contemporaneo, i primi ruoli da protagonista e un’infinità di ore di prove e di spettacoli. Infine il Balletto di Lipsia che ha contribuito decisamente a fare di me quello che attualmente sono.

Quando e come hai sentito di amare la danza sopra ogni altra cosa?

Non lo so. Ho l’impressione che sia sempre stato così. A parte alcuni momenti, che non hanno fatto altro che chiarire quello che già sentivo dentro di me, non ricordo di aver forzato qualcosa: ho seguito il mio istinto. Nel periodo dell’adolescenza mi sono lasciato guidare molto volentieri da persone per le quali provavo (e sempre proverò) grande stima. Ho semplicemente pensato sempre e solo a lavorare, perdendo – certo ‑ occasioni per divertirmi o per conoscere altro, ma non rimpiango nulla, anzi sono fiero di tutto ciò che ho fatto. Paradossalmente anche per i miei errori sento fierezza, perché è attraverso di essi che sono cresciuto. Nei momenti di difficoltà ho cercato di trovare prima di tutto dentro di me la forza di reagire e, quando comprendevo di non esserne in grado, ho chiesto aiuto con umiltà e sincerità e senza nessuna pretesa.

So che colui che consideri il maestro per eccellenza è Uwe Scholz.

Sì. Uwe ha creduto in me quando io nutrivo dubbi nei confronti di me stesso. Mi ha dato tantissimo e ancora continua a farlo, pur essendo passati più di sei anni dalla sua morte. La mia gratitudine per questo grande artista è immensa e non verrà mai meno.

Quali sono stati gli altri maestri che hanno contribuito in modo fondamentale alla tua formazione?

Dal punto di vista professionale mi sento di dire che i miei maestri sono, senza nessuna eccezione, tutti coloro che incontrato sul mio cammino, perché nel bene e nel male da tutti ho imparato e forse "rubato" qualcosa che mi ha permesso di migliorarmi. Spero di incontrare sempre più "maestri" nel mio percorso di artista, perché credo che ci sia ancora tanto da fare.

Abbiamo iniziato quest’intervista parlando del futuro. Chiudiamola con un cenno al passato. Quanto è stata importante la tua famiglia in una scelta radicale come quella che hai fatto tu, lasciando il tuo piccolo paese in provincia di Benevento, alla volta di Roma prima e del mondo poi?

Prima mi hai domandato chi sono stati i miei maestri e io ti ho risposto attenendomi al piano professionale. Ora che mi chiedi del mio passato, ti dico che i miei maestri sono stati innanzitutto i miei genitori, che mi hanno trasmesso la consapevolezza che senza un lavoro costante non si cresce, l'umiltà nell'accettare le sconfitte e gli insuccessi, la volontà nel mantenere un'onorabilità personale.

Sai, a volte vengo criticato perché non investo mai il mio tempo in qualcosa che non riguardi la danza. Mi dicono: "Ma perché non ti prendi una bella vacanza, magari in una località esotica?" Se ho qualche momento libero, cerco di trascorrerlo con la mia famiglia. Non lo sento né come un dovere né come una necessità; per me è semplicemente naturale: si tratta delle mie radici. Egoisticamente posso dire di non sentire la mancanza della mia famiglia perché il mio modo di vivere mi riempie di tutto e il fatto di sapere che i miei cari stanno bene mi fa sentire ancora meglio. Non nascondo neppure di sentirmi spesso completamente diverso nel modo di vivere e di pensare dei miei familiari. Del resto è grazie a loro che ho avuto la possibilità di cercare dentro di me quel mio modo di essere, senza farmi condizionare da stereotipi di vita e di mentalità che non mi corrispondono. Insomma: alla mia famiglia devo tutto.