Il potere dello Sguardo. Intervista a Gloria Chiappani
Rodichevski
13 maggio 2010
Intervista. 1
Galleria
fotografica e video. 3
Recensioni 3
Yuki Imaizumi
nella seconda parte di Uomossessione.
© Foto Gloria Chiappani Rodichevski
|
Scrittrice, poetessa e giornalista: per anni la scrittura è
stata la mediazione attraverso cui, da "osservatore", hai vissuto il
rapporto con il mondo del balletto e della danza. Inizio questa chiacchierata
chiedendoti se la tua opera multimediale Uomossessione
costituisce la tua prima incursione creativa in questo universo già da te così
battuto.
Sì, se per incursione creativa intendi lo sviluppo di un tema
(l'ossessione) attraverso l'indagine danzata e la sinergia dei linguaggi
artistici.
Com’è nata l’idea di Uomossessione? Da che cosa sei
partita? Considerato il tuo stretto rapporto con
la scrittura, immagino che la prima a nascere sia stata la parte poetica.
No, tutto è iniziato con la musica. Ho cominciato a comporre senza pormi
un tema o una meta. Riascoltando, qualche giorno dopo, la composizione, mi ha
colpito il suo ritmo ossessivo. L’idea germinale è stata dunque l'iterazione
ritmica oltremodo insistente: ossessiva, appunto.
Questo mi colpisce molto: una scrittrice produce un video di
danza partendo da un’idea musicale e sviluppandola. Musicalmente ti sei rifatta
a qualche referente particolare?
No.
Com'è strutturato il video?
Si articola in due parti: L'Osservato
e Il Sublimato. Desidero segnalare che
nella prima parte c'è un intervento musicale di Alexandre Rodichevski,
che accentua ulteriormente la cadenza ossessiva del ritmo. Fondamentale è stata,
nella fase di montaggio, la perizia tecnica di Alexandre, coniugata con la sua artisticità.
Per dirla con un’espressione celebre e molto discussa: "Prima
la musica e poi la parola", quindi.
Prima la musica, poi l’immagine, poi la parola e infine la danza. Ascoltando
il ritmo ho avvertito l'esigenza di commentarlo con l'immagine. Ho perciò
selezionato alcuni video che avevo creato qualche anno prima e ne ho prodotti di
nuovi, omogeneizzandoli. Quando parlo di commentare intendo dire che l'immagine
ha dato man forte all'ossessione, sostenendo il ritmo della composizione
musicale e sviluppando il tema psicologico. E dopo l'esigenza dell'immagine, si
è fatta sentire l'esigenza del commento attraverso la parola poetica. La prima
parte del video è introdotta da questa poesia:
L’Osservato
È adesso che il sado-scientifismo
c’imprigiona sotto osservazione
dell’uomo che ossessiona l’uomo a morire.
La poesia che dà il la alla seconda parte è questa:
Il Sublimato
Liberto,
nell’altezza fonda
di mare-cielo
sublimo le miserie umane.
L'esigenza finale è stata quella della danza.
Con la partecipazione al video della ballerina Yuki Imaizumi.
Sì. È una giovane danzatrice giapponese che, in Italia, è entrata a far
parte della European Thersicore
Company ‑ Balletto di Vicenza, dopo essersi specializzata con Prisca Picano, già prima ballerina del Teatro San Carlo di Napoli.
La partecipazione di Yuki al video è stata
importante: nella creazione della coreografia è stata fondamentale
l’interazione del suo sguardo con il mio.
Hai scelto una tematica straordinariamente attuale, come mostra
l’allusione iniziale al "sado-scientifismo che […]
ossessiona l’uomo a morire". Come consideri il rapporto attuale fra l’uomo
e la scienza? Pensi che l’uomo sia diventato oggi vittima della sua creatura?
Senza dubbio qualcosa (o molto) ci è un po' sfuggito di mano. Si sa che
la scienza e la tecnologia sono strumenti neutri che possono essere utilizzati a
scopo sia benefico sia malefico. Nel video, tuttavia, l’allusione al sado-scientifismo deve essere considerata in modo meno
specifico. La chiave di lettura è la risposta alla domanda: a quali condizionamenti
psicologici porta la nostra contemporaneità? È chiaro che, così domandando, lo
spettro delle risposte è ampio.
Un elemento "forte" c’è, però: il grande occhio proiettato
sullo schermo, nella prima parte del video.
Sì, quell’immagine rappresenta una metafora che decodifica se stessa. È
una materializzazione visiva del tema, se vuoi, a cui rimanda la prima poesia.
Alcuni artisti e intellettuali di diversa formazione, a cui ho mostrato il
video, quando ancora mancava l'interpretazione coreografica, hanno sottolineato
quanto fosse tangibile la portata emotiva dell'occhio. La stessa Yuki è andata in questa direzione. Mentre si apprestava a
interpretare la parte dell'Osservato, la sua reazione spontanea è stata:
"Ma a me quell’occhio fa paura." Altrettanto spontanea è stata la mia
controreazione: "Deve farti paura." Prima ti ho detto che è stata
fondamentale l’interazione dei nostri sguardi: ciò che ti ho appena narrato ne
è un esempio.
Che cosa rappresenta l’occhio, quindi? È chiaramente un
simbolo, ma perché ‑ come simbolo ‑ risulta così forte, così
emotivamente e universalmente riconoscibile?
Come dicevo prima, lo spettro è ampio…
… perché il tema è ricco, complesso.
Sì. Puoi considerarlo, ad esempio, dal punto di vista dell’estendersi
capillare della comunicazione di massa: ormai l’uomo si trova intrappolato in
una ragnatela di sguardi (e di orecchie) ineludibili. Il rimando al Grande
Fratello dell'orwelliano 1984 viene da
sé.
Senza riferimento a nessun sistema politico particolare, però.
Se il romanzo di Orwell è contestualizzabile nel clima della guerra fredda e
nei timori del totalitarismo sovietico, la realtà ‑ oggi ‑ ha
dimostrato che il Grande Fratello è in realtà semplicemente il Leviatano dei tempi moderni.
In letteratura le diagnosi dell'occhio che controlla, con tutti i suoi
annessi e connessi, sono state numerose. Mi viene ad esempio fatto di citare Huis clos di
Sartre.
È forse la rappresentazione più moderna dell’inferno: tre
persone chiuse per l’eternità in una stanza, sotto il peso di uno sguardo
invisibile quanto onnipresente. L’impossibilità di essere invisibili è la più
vera e spaventosa condanna a cui sia sottoposto l’uomo oggi.
In ambito non letterario, il tema del controllo lo si trova nel Panopticon di
Jeremy Bentham, conosciuto anche attraverso la
mediazione interpretativa di Michel Foucault (Surveiller et punir). Uscendo da ambiti intellettuali
e ponendo mente alla nostra quotidianità, ci sappiamo controllati dalle
telecamere di uffici, negozi e luoghi pubblici (aperti o chiusi che siano),
frugati dai metal detector di banche e aeroporti, spiati – nei nostri movimenti
in Internet – da "spyware". Per questo l’occhio
è un simbolo che salta all'evidenza emotiva: credo che per l’uomo contemporaneo
non sia difficile riconoscersi in Yuki, nel suo disperato
annaspare davanti allo sguardo che la imprigiona sotto un vetrino.
La coreografia effettivamente riflette e traduce questo tema
in modo davvero riuscito. Mi hanno molto colpito anche le corrispondenze
musicali, non tanto tematiche quanto timbriche. Nella parte sull’Osservato, si
alterna in modo quasi stridente la contrapposizione fra suoni acuti e suoni
gravi: sembra alludere a uno stato di lotta, di dilaniamento
e viene rispecchiato in modo quasi mimetico dai movimenti di Yuki, dall’angoscia claustrofobica che la induce a "bussare"
al vetro che la imprigiona.
Riguardo al dilaniamento e allo stato di
lotta, concordo. Tuttavia Yuki non bussa mai al
vetrino. La temibilità/terribilità dello sguardo
dell'osservatore consiste in due fatti: uno, noi spettatori assistiamo al
dibattersi dell'Osservato sotto l'impassibilità dell'Occhio che vediamo
proiettato sullo schermo; due, l'Osservato sa di essere guardato, ma non sa
dove si nasconda la "telecamera". Anche se – paradossalmente – guarda
in direzione di quella, non la vede, ma ne sente la presenza. L'Osservato ha
perso infatti la contezza delle dimensioni spaziali e ogni contatto verso
l'esterno.
Tornando a Yuki, ciò
che l'aiuta a uscire non è un intervento esterno (l'osservatore che la toglie
da sotto il vetrino, ad esempio, o qualcuno che viene a liberarla), ma un
cammino interiore che le permette di trasformare una situazione critica in un
punto di forza. Che poi questo cammino se lo sia trovato da sola o con l'aiuto
di una guida, non è indicativo. Nel passaggio fra prima e seconda parte,
infatti, il cerchio – chiaro rimando all'occhio ‑ che la terrorizza con
la sua intermittenza, si tramuta gradualmente in un volto. Non è un caso che,
di questo volto, gli occhi siano fuori campo: potremmo dire che il volto è
capitanato dalle sole labbra le quali ‑ di volta in volta ‑ parlano,
bisbigliano, si concentrano in una pausa, spiegano, convincono. Labbra che non
hanno remore a parlare delle fragilità della persona cui appartengono: il punto
di partenza (l'imbocco del cammino), del resto, è l'ammissione delle proprie
fragilità, non la loro negazione. È attraverso l'onesta ammissione del sentirsi
braccati, del senso di prigionia, che si ha la possibilità di trovare una via
d'uscita e – conseguentemente – di rinascere. Yuki
ascolta ciò che le labbra hanno da dire (ovvero si pone in ascolto della
propria voce interiore) e stabilisce un contatto con esse. Il primo contatto è
fisico: le tocca come fanno i bambini quando hanno bisogno di conoscere le cose.
Il successivo, e più importante, è metaforico e avviene attraverso la
rielaborazione del messaggio. A suggellare il patto della rinascita è il gesto reiterato
dell'abbraccio. Mentre le labbra continuano a parlare, il volto si fa sempre
più chiaro, fino a scomparire. Yuki è pronta: si
alza, si rassetta il tutù, inizia a distendersi, come se stesse uscendo da un
uovo (archetipo della nascita) e comincia a danzare sulle punte la Sublimazione.
(Altri, nel video, sono i simboli legati alla nascita: il seno materno nella
prima parte e le contrazioni uterine nella seconda.)
La metamorfosi trova il suo esito nella parte finale: quella
del Sublimato. Lo stacco è evidente: sia a livello cromatico (la predominante
di tonalità azzurre sullo sfondo, libero da immagini) sia a livello musicale
sia a livello gestuale.
Per la parte del Sublimato ho voluto dare a Yuki
indicazioni coreografiche precise: la liberazione e la conseguente leggerezza
psicologica, ad esempio, volevo fossero rette su un ininterrotto pas de bourrée.
Seguendo il filo d'Arianna della voce interiore, Yuki
riesce a uscire da sotto il vetrino, eludendo l'Occhio, e a pervenire a un
universo di pace e di bellezza. Il nulla (inteso come leggerezza, "sottoacqueità", liberazione, aria, ali che si stendono
e servono per far librare il corpo e lo spirito) la sostiene. Il video si conclude
con un fermo immagine in cui lei si appoggia, in attitude, idealmente al benefico
nulla. La visione consegna una ricchezza di elementi e di simboli. Per citarne
alcuni: la leggerezza insita nel tutù; la ruota finale a indicare il viaggio
della vita; la transizione, durante il video, occhio-luna-sole-seno-cerchio-volto-ruota.
In questo volo o nuoto, Yuki,
significativamente, atteggia la schiena in cambré en arrière: è un sottolineare che si
sente in grado di porsi frontalmente alla vita, di porgersi con fiducia,
facendosi bagnare di forza e di bellezza.
È quindi possibile liberarsi dall’Occhio? Per dirla con
Montale, esiste uno "strappo nella tela", un margine di libertà a cui
si possa aspirare?
Certamente. Le vie sono molteplici e totalmente individuali: il percorso
può essere di carattere etico per alcuni, artistico per altri... Elemento comune
è la forza di volontà che poggia sulla motivazione interiore. Infatti non ti
fai liberare: ti liberi. Non ti fai aiutare: ti aiuti; ovvero: se hai deciso di
farti aiutare è perché ti stai già aiutando. Come ho detto prima, non è
possibile eludere l'Occhio senza seguire quel filo d’Arianna che solo la nostra
lungimiranza ha tenuto in serbo per noi.
È possibile vedere la galleria fotografica completa e alcuni
frammenti video dell'opera multimediale, accedendo a questa pagina: http://www.morfoedro.it/doc.php?n=1485&lang=it
Alcune recensioni di Uomossessione si
trovano in queste pagine: http://www.morfoedro.it/doc.php?n=1509&lang=it
e http://www.morfoedro.it/doc.php?n=1490&lang=it.