I luoghi del dialogo di Alberto Moretti

Edizioni del Confine, 2000

Dialoghi che si sostengono o si negano, in luoghi alla mercé di sguardi solitari, in luoghi aperti o chiusi, in luoghi sconosciuti o troppo noti.

Riuscire a documentare questi dialoghi non è scontato, perché la documentazione dipende dalla capacità di lasciarsi sedurre da ciò che sta in bilico tra il detto e non il detto, riconoscendo così, in un atteggiamento o in un gesto, un dialogo.

Solo con i sensi in allerta, dunque, si riesce a dare casa al dialogo. Con i sensi che rispondono a un preciso volere sinestetico, giacché Moretti parla di «fotografare con l'emozione dei sensi tutti senza privilegiare l'occhio» e spiega: «Mi sono così completamente liberato dalla ricerca – spesso estetizzante – del rapporto fra inquadratura e composizione, imparando a sentire l'immagine nel palmo. L'occhio in mano, insomma.» Questa sfida (perché di sfida si tratta) si è tecnicamente avvalsa di una Yashica T5, «piccola camera compatta non digitale,» chiarisce Moretti, «dalle caratteristiche ottiche "non professionali", da tenere nascosta prima, durante e dopo il "decisivo" click.»

Ecco, allora, che un fotografo ‑ forte di una piccola macchina annidata nel palmo della mano – si è concesso il lusso di lasciarsi trasportare da uno sguardo che a priori nulla mette a fuoco, se non la consapevole inconsapevolezza del cuore. Da lì, tutto.