Intervista al geologo Guido Mazzoleni
22 giugno 2009
Rispetto
al passato, quanto è cambiata la professione di geologo?
Raccogliere dati sul terreno è forse il compito principale
del geologo, ma comporta dei costi, da diversi punti di vista. La diffusione di
computer ed internet ha suggerito l'idea sbagliata che tutto, o quasi, sia
ormai noto e che i dati di cui abbiamo bisogno si possano trovare in rete. Il
risultato è che molti giovani escono impreparati dalle università, soprattutto
come capacità diagnostica nel lavoro di terreno. Una cosa è saper fare la
simulazione di una frana al computer, un'altra ben diversa è trovarsi di fronte
ad un versante in frana, guardarlo e… vedere la frana.
Quali sono i principi etici del geologo?
I principi etici del geologo sono gli stessi di qualsiasi
cittadino che sia responsabile di un lavoro tecnico. Temo che l'etica latiti
diffusamente proprio a livello di troppi singoli cittadini. Un problema etico
caratteristico di questa professione, tuttavia, esiste e non è semplice da
affrontare. Molto spesso, il geologo osserva situazioni che comportano
determinati livelli di rischio e con le quali la gente convive, in un mondo più
o meno inconsapevole. Versanti instabili, aree dove le caratteristiche di
sismicità imporrebbero criteri più costosi di costruzione degli edifici, aree
soggette ad esondazioni, colate detritiche (la tristemente nota vicenda di
Sarno), zone a rischio vulcanico. Ciò che risulta difficile è comunicare
informazioni utili, nel modo corretto, senza creare allarme. Purtroppo, non
sempre esistono interlocutori istituzionali, dotati di uno "staff"
tecnico o quanto meno di una minima sensibilità su certi temi, ai quali passare
le informazioni del caso.
Che cosa comporta portare avanti progetti trasversali nel
campo scientifico? Un esempio concreto: quanto un geologo e un archeologo
possono o riescono ad avvalersi di un linguaggio comune?
"Progetto multidisciplinare" è un'etichetta tanto
positiva dal punto di vista dell'immagine quanto spesso, purtroppo, millantata.
Molti ne abusano. Quando così non è, si tratta di un'opportunità preziosa, sia
per chi vi partecipa, sia per i risultati che si possono raggiungere. Che
l'eccesso di specializzazione comporti il pericolo di costruirsi "gabbie
mentali", è già pensato da decenni. Più il tempo passa, più il pericolo
cresce. La realtà insegna che osservare da diverse prospettive permette una
visione d'insieme molto più efficace. Forse in Italia questo tipo di approccio
non è ancora diffuso come meriterebbe. La mia esperienza personale annovera una
positiva partecipazione ad un progetto multidisciplinare, dove un territorio
alpino di grande estensione è stato adottato quale "laboratorio
naturale" per lo studio della qualità dell'ambiente. Discipline come
geologia, geochimica, idrologia, pedobotanica e
climatologia, con dati "messi a registro" in modo coerente quanto a
relazioni spaziali, hanno fornito un'immagine d'insieme molto approfondita,
proprio perché in natura i processi evolutivi, che riguardano un insieme
complesso, dal substrato ai suoli alla vegetazione che vi cresce, sono
fortemente interconnessi.
Un geologo ed un archeologo possono senz'altro lavorare bene
insieme. Approcci e filosofie diverse, se armoniosamente intrecciati,
dovrebbero offrire una visione d'insieme valida e, probabilmente, ricca di
spunti nuovi. Si tratta ovviamente di trovare un linguaggio comune, ma questo è
un esercizio utilissimo per chiunque.
Qual è la più grande soddisfazione che questa professione le
dà?
Quella del geologo è una professione molto particolare. Il
difficile è "venderla" come meriterebbe, in un Paese come l'Italia.
Penso comunque che, quando si riesca a farlo, sia il più bel mestiere
possibile. Per me significa vita all'aria aperta, a contatto con l'ambiente
naturale e, soprattutto nel mio caso, con quello alpino. Ho avuto la fortuna di
vedere, non da turista, luoghi affascinanti come i vulcani dell'America
Centrale e le foreste del bacino amazzonico. Nel caso della mia professione,
vedere significa anche e soprattutto cercare di capire. Un alpinista che
arrampica in aderenza, su una via verticale irta di difficoltà tecniche, deve
capire in anticipo, grazie ad intuito ed esperienza, dove può trovare gli
appigli ed appoggi offerti dalla scultura della parete rocciosa. Se io fossi in
grado di superare quelle difficoltà tecniche, saprei a colpo d'occhio dove
trovare discontinuità in un insieme tridimensionale apparentemente
inattaccabile. Fenditure, cenge, discontinuità hanno una loro logica, in base
alla quale vanno cercate nel posto giusto. Capire come si è formato un vulcano,
attraverso una complessa sequenza evolutiva, richiede lo stesso approccio
analitico, cercando di individuare l'architettura d'insieme e identificare i
luoghi dove cercare le tracce giuste. Superfici di erosione, paleosuoli, forme antiche parzialmente obliterate da forme
più recenti sono chiavi di lettura preziose. Sapere cosa si cerca, individuare
il luogo adatto e trovare ciò che cerchiamo è una soddisfazione sottile ma
particolarmente appagante.
Quali sono le regole del collezionista (mineralologo
o paleontologo) etico? Non dimentichiamo infatti che, quando collezionare
minerali e fossili divenne una moda, le montagne furono prese d'assalto, spesso
con mezzi non ortodossi (martelli pneumatici, addirittura dinamite...)
Il collezionismo è un tipo di attività molto particolare ma
antico quanto l'homo sapiens. La vita moderna ci offre "comodità"
come ascensori per salire al piano dove abitiamo, impianti di condizionamento
per sfuggire al ciclo climatico delle stagioni, computer per dialogare con
altre persone. Forse, più lo stile di vita diventa artefatto e ci fornisce un
comodo ma onnipresente diaframma tra noi e il modo reale, più sentiamo il
bisogno di raccogliere qualche oggetto "primitivo", come può esserlo
una pietra. Lo raccogliamo perché qualcosa ci incuriosisce, anche se non
saremmo sempre in grado di spiegarne il motivo. Raccogliere significa però
prendere qualcosa dall'ambiente naturale e tenerlo per noi. Nel caso della
raccolta di minerali per costruirsi una collezione privata (o, in qualche caso,
per farne commercio) questo può comportare dei problemi. Spesso i collezionisti
e raccoglitori si comportano in modo asociale, a volte stupidamente pericoloso,
per loro stessi e per gli altri. In Italia, dove tutto sembra permesso, e dopo
alcuni "impatti ambientali" poco desiderabili, si è scelta la
soluzione di vietare tutto, almeno in teoria. Una demarcazione tra lecito e
illecito può tuttavia basarsi sul buon senso, se chi legifera non si prende un
eccesso di margine conservativo, per scarsa conoscenza della questione. In
Svizzera, nei luoghi più importanti per la ricerca mineralogica, basta dotarsi
di permesso a pagamento e portare a casa quello che può stare in uno zaino,
circa 20 kg di materiale. Ovviamente, comportamenti pericolosi come far
crollare blocchi di roccia da una fessura piena di quarzi, su un versante
scosceso, rischiando di travolgere inconsapevoli escursionisti che passano sul
sentiero sottostante, non hanno a che fare con la normativa sulla raccolta di
minerali, ma con le leggi sull’omicidio preterintenzionale...
Dal mio punto di vista, minerali e fossili dovrebbero essere
trattati allo stesso modo, nonostante la grande differenza reciproca, loro
attribuita dal legislatore. Una legge del famigerato ventennio ignora i
minerali mentre equipara i fossili a beni archeologici (come se, ad esempio,
nel Cambriano, più di 500 milioni di anni fa, ci fossero tracce di antiche
civiltà), vietandone tassativamente non solo la raccolta ma anche il possesso.
Sia i minerali, sia i fossili andrebbero visti come chiavi di lettura per
capire qualcosa dell'ambiente in cui si sono formati. I fossili, inoltre, sono
tracce di forma di vita che ci giungono da tempi più o meno antichi, grazie a
processi di mineralizzazione. La biologia degli antichi organismi e la
mineralogia delle sostanze, che ne hanno fissato la traccia, andrebbero viste
nel loro insieme. Se le leggi di un Paese ne rispecchiano natura degli abitanti
e specifici problemi locali, bisognerebbe pensare all'opportunità che si
diffonda un comune orientamento verso un collezionismo consapevole. Raccogliere
qualcosa in un dato territorio dovrebbe comportarne anche una sua conoscenza.
Negli Stati Uniti, il collezionismo è diffusamente praticato ad alto livello e,
allo stesso tempo, è riconosciuto come un’attività ricreativa e formativa,
anche grazie all’opera di molti gruppi organizzati.
Quando si aggiunge un pezzo alla propria collezione, quali
sono le informazioni fondamentali da assumere?
Pensiamo a chi acquista reperti archeologici sottratti
illegalmente al loro sito di ritrovamento dai "tombaroli". Ciò che è
prezioso, e che corre il rischio di andare irrimediabilmente perduto, è
l'insieme degli oggetti e delle loro relazioni spaziali, la disposizione, il
legame con un preciso livello. Quanto viene raccolto in campagne di scavo
organizzate da istituzioni e musei viene catalogato direttamente sul terreno e
tutte le informazioni di corredo sono correttamente registrate. Una forma di
collezionismo consapevole dovrebbe tener presente questi aspetti anche nel caso
dei minerali. La raccolta di fossili sul territorio italiano è vietata, mentre
può avvenire in località estere, anche della massima importanza, e, in quel
caso, dovrebbe condividere gli stessi criteri della raccolta di minerali. Fatto
salvo il caso dell'acquisto, quando ci si deve necessariamente affidare alle
eventuali informazioni in possesso del venditore, nel caso fortunato di
ritrovamenti di minerali che si voglia conservare nella propria collezione,
sarebbe raccomandabile raccogliere un minimo di dati originali. Per quanto
possa sembrare banale, la prima cosa è l'insieme di informazioni più
dettagliate e precise possibili sulla località di ritrovamento. Informazioni
sulla natura geologica di questo luogo possono essere trovate in tempi
successivi, mentre ricostruire a posteriori la posizione originale dei campioni
è pressoché impossibile. Spesso le località d’interesse (soprattutto nel caso
di lavori in sotterraneo) hanno una notevole complessità, dal punto di vista
delle strutture geologiche, dell’età e della geochimica, cioè della
distribuzione dei vari elementi chimici nelle rocce e minerali che
costituiscono il giacimento. Un altro elemento d’interesse, spesso
sottovalutato, è il periodo di ritrovamento. Esistono campioni che ora
costituiscono testimonianze storiche, a volte uniche, dopo la chiusura di certe
miniere o l’esaurimento di certe località. La data di ritrovamento (o di
acquisizione) dovrebbe sempre essere registrata. Nel caso di acquisto, converrebbe
registrare anche costo, nome del venditore ed eventuale provenienza da
preesistenti collezioni (e in questo caso, ancora, la data almeno approssimata
di raccolta o rinvenimento). Quanto succede in genere e possiamo spesso
osservare personalmente è che molte collezioni (forse quasi tutte) finiscono
disperse o, nei casi più fortunati, acquisite da un museo. Ci si dovrebbe
immaginare come custodi a tempo di determinati oggetti e pensare in modo
sociale, a beneficio dei futuri fruitori.
Che cosa "racconta" un minerale? E un fossile?
Quando questa dote di informazioni sia stata correttamente
raccolta e registrata, nonché posta in relazione con un campione che sia
identificabile da un numero o da una sigla, avremo fatto due passi
particolarmente importanti che possono valorizzare al meglio la nostra
collezione: un inventario ed un catalogo descrittivo. In piccolo, esattamente
quello che fa un museo. Una raccolta così organizzata costituisce un patrimonio
di conoscenza davvero importante, spesso unico. Se un singolo minerale è una
“chiave di lettura” in grado da sola di fornire indicazioni di grande
interesse, un insieme coerente di oggetti, con i dati relativi al modo in cui
sono stati raccolti, può dirci molto della storia (spesso incredibilmente
lunga) che ne ha visto la formazione, contemporanea o successiva al “guscio” di
rocce che li contenevano. Un sasso ci può dire quando si è formato (milioni o
miliardi di anni fa!), ma anche com’era il clima di quel periodo e, più in
generale, molto sull’evoluzione del frammento di pianeta in cui viviamo. Ho
vissuto esperienze molto belle accompagnando, come guida naturalistica, gruppi
di persone alle quali raccontare l’evoluzione del Lago di Como, il sollevamento
delle Alpi, la collisione tra Africa ed Europa ed altre cose apparentemente
impossibili o incomprensibili, facendo loro osservare le forme di paesaggio, ma
anche rocce e minerali di cui potersi portare a casa un piccolo campione come
ricordo.
Se non avesse intrapreso la carriera di geologo che cosa le
sarebbe piaciuto fare?
Decisi che la geologia mi appariva affascinante e che valeva
la pena dedicarvi la vita, attorno ai 10 anni, ben prima di terminare il liceo
scientifico. Se non avessi fatto quella scelta, mi sarebbe piaciuto fare il
liutaio. Trovo affascinante l’odore del legno (anche quello artificiale delle
vernici) e, a questo proposito, ricordo distintamente come facevano i locali
che vivono nella foresta amazzonica a riconoscere un albero, la cui chioma si
trova, a volte, a 40 o 50 metri d’altezza. Prelevavano col machete un piccolo
campione di legno e l’annusavano. Alcune essenze (un termine davvero poco
casuale per i vari tipi di albero) hanno odori caratteristici, dovuti a
sostanze riconcentrate dai suoli, al tipo di linfa, o a composti presenti non
solo nelle foglie e nei fiori, ma in tutti i tessuti vegetali. Il legno è una
materia affascinante, che si presta ad essere modellata, come hanno imparato a
fare i primi esseri umani. La musica, infine, oltre ad essere la più
affascinante ed universale forma di comunicazione, è un connubio di arte e
scienza. Mettere in pratica le leggi dell’acustica, come regolare la lunghezza
del diapason, accentuare determinate frequenze modificando il timbro dello
strumento, sfruttare al meglio le caratteristiche strutturali del materiale,
come le fibre fitte e regolari degli “abeti di risonanza”, sembra uno di quei
giochi didattici, dove impariamo divertendoci.
Vogliamo parlare della sua pubblicazione (coautore Sante Ghizzoni), Itinerari
mineralogici in Val Codera
(edito da Geologia Insubrica nel 2005)?
Questo libro, dedicato ad un piccolo microcosmo come una
vallata alpina priva di strada d’accesso e frequentata da un gruppo di fedeli
appassionati, è la realizzazione di un sogno, da parte di due visionari. Posso
dire che ce lo siamo sognato, progettato, finanziato, costruito, presentato e
distribuito con le nostre sole forze, senza particolari aiuti. Certamente, una
pazzia al di fuori da qualsiasi logica commerciale. Con il ben noto ma
generalmente inutile “senno di poi”, si può dire che ha un titolo sbagliato.
Anche se contiene una parte importante dedicata alla geologia e mineralogia,
purtroppo con un “taglio” troppo poco divulgativo, vi sono indicazioni
d’interesse escursionistico o storico che potrebbero andare a beneficio di
chiunque voglia visitare la valle. Oggi penserei ad un titolo come Cristalli, rocce, paesaggio. 26 itinerari
naturalistici in Val Codera,
o qualcosa del genere, che eviti di restringere immediatamente la tipologia di
lettore al quale rivolgersi. Posso dire, in ogni caso, che si tratta di un
lavoro onesto, basato su materiale originale raccolto in proprio percorrendo,
oltre ai sentieri principali, molti dei luoghi più impervi.
Lei coltiva l'interesse per la fotografia. Com'è nato? In che
modo si coniuga con la geologia?
Cartier-Bresson diceva che una
bella foto nasce dalla capacità di collimare l’oggetto, l’occhio ed il cuore.
Un’altra bellissima definizione del fotografare è “disegnare con la luce”. Il
mio lavoro ed il mio amore per l’ambiente naturale, in tutte le sue forme, mi
hanno spesso portato a trovarmi in luoghi magici, in momenti magici. Se
ritrarre una persona significa in qualche modo impadronirsi momentaneamente
della sua essenza, per fissarne una certa immagine a prescindere da quanto
questa sia autentica o rappresentativa, la fotografia di paesaggio è una forma
di “appunti di viaggio” che trovo molto più discreta e in sintonia con il mio
modo di essere. Mi sono regalato la prima macchina fotografica dopo la laurea
ed ho iniziato a fotografare soprattutto gli ambienti che avevo modo di
attraversare. La mia professione è spesso, quasi sempre, qualitativa e
descrittiva, per cui una documentazione fotografica risulta preziosa.
L’efficacia di uno strumento di lavoro e il senso estetico, con la ricerca non
solo delle luci migliori per una rappresentazione “oggettiva”, ma anche di
quelle più belle, si confondono facilmente. Spesso, inoltre, tra lavoro e
viaggio non sarei stato in grado di fissare una linea precisa di demarcazione.
Ho la consapevolezza di aver vissuto esperienze inconsuete e davvero fortunate,
soprattutto nella mia adorata America Latina. Parlavo di appunti di viaggio,
come se la fotografia potesse sempre sostituirsi allo scritto. Sicuramente è un
sistema che supera la pigrizia del foglio bianco. A contatto con il lavoro di
tipografia, per impaginare il mio libro, ho imparato la regola in base alla
quale “una foto dice più di mille parole”. Dato che sono certamente pigro,
qualcosa che fa per me.