Ricordi di Maurice Béjart. Intervista a Christian Poggioli

Christian Poggioli.

© Foto Antonio De Pascalis, Borgo Cardigliano di Specchia (Lecce), 2008

Pas de deux per due gemelli, firmato Maurice Béjart.

"Pensare a Béjart mi dà molta forza."

 

Cominciamo dalla Sua formazione. Allievo anziano dell'Opéra di Parigi, Lei ha lasciato il Teatro nel 1976…

… per l'Italia: il Teatro Massimo di Palermo con Ricardo Nuñez, il Teatro Comunale di Firenze con Alexander Polyakov, il Teatro di Torino. Nel 1978 sono entrato Ballet du XXème siècle di Maurice Béjart e, in seguito, nel Ballet de Flandres.

Come è giunto presso la Compagnia di Béjart?

C'è sempre stata la volontà, da parte mia, di entrare nella Compagnia. Vidi Béjart per la prima volta in televisione e, successivamente, lo incontrai per caso a Parigi. Io ho un gemello: Guy. Decisi, perciò, di proporci al coreografo marsigliese. Egli ci fece danzare e quindi ci disse di passare in segreteria per il contratto. Per noi creò alcune coreografie: si trattava di pas de deux, guardando i quali il pubblico aveva l'impressione di una figura riflessa nello specchio.

Anche Lei e Suo fratello sentivate di riflettervi l'uno nell'altro? Non sto parlando solo di un riflesso "fisico", ma interiore, una comunione.

Sì, certo. Oltre ai pas de deux Béjart creò per noi pezzi solistici. Io danzai anche in Bhakti deux con Rita Poelvoorde.

Quanti anni ha trascorso con Béjart?

Cinque. Béjart era appassionante e sempre molto incoraggiante. Voleva la vera danza: questa sua forza era coinvolgente e con lui era impossibile mentire. In Compagnia si era come in una grande famiglia e Béjart si interessava molto a ciò che noi pensavamo e provavamo, quali erano i nostri interessi oltre la danza. Ad esempio a me piaceva la chitarra elettrica e lui mi chiese di fare un'improvvisazione per un balletto: Les illuminations.

Ricordi particolari?

Ogni spettacolo è un ricordo particolare e bello. Certo, ho anche ricordi meno piacevoli, come quando ci si faceva male… I ricordi strettamente legati alla figura del Maestro, invece, preferisco tenerli per me perché mi danno un certa tristezza. Tuttavia pensare a lui mi comunica molta forza.

Se Lei dovesse dare una definizione della danza, che cosa direbbe?

La danza è libertà. Il ballerino recita con il corpo: attraverso la perfetta conoscenza di questo strumento, la capacità di coordinazione nello spazio e dopo essersi liberato della tecnica, chi danza esprime emozioni e libertà ed è importante che lo faccia attraverso gesti morbidi, purezza di linee e armoniosità.

Che cosa pensa della danza che esprime violenza? Angelin Préljocaj, ad esempio.

Non amo la violenza nella danza, se è ingiustificata.

E il nudo nella danza?

Non necessariamente è funzionale.

Dal 1996 Lei si dedica all'insegnamento.

Sì: al Centre International de Danse di Jazz Rick Odums, a L'Espace Pléiade (Centro di formazione professionale di danza) di Parigi. Inoltre tengo stage in Italia, in Giappone e altrove.

Qual è l'idea cardine del Suo insegnamento?

Quella che ho appena espresso dandole una mia definizione di danza: la danza è libertà. Aggiungo che la danza classica permette di acquisire le basi per tutti gli altri stili di danza.


Documenti correlati