Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy
La Biblioteca di Repubblica, 2003
A
firma di Maria Grazia Cutuli, sul Corriere della sera del 2 settembre
2001, si può leggere il terrificante incredibile racconto che va sotto il
titolo La storia di Sonu e Vishal, un ragazzo e una ragazza condannati a
morte per essersi parlati. "[…] È bastato far appello ai jat, la casta di
lei, gli agricoltori conservatori che dominano la regione. Pronunciare con
disgusto il nome di lui, bramino impoverito, per ricordare la differenza e
sancire l'impossibilità di un incontro. […] Anche una conversazione tra ceti
diversi può far scandalo in quest'India moderna che pretende di essere la prima
potenza economica e politica dell'Asia Meridionale. […] La discriminazione
basata sulle caste è nata 3 mila anni fa, prescritta dal testo sacro
dell'induismo, il Rig Veda. Nonostante la divisione sia stata ufficialmente
bandita con la costituzione adottata nel 1950, la piramide indiana vede ancora
oggi quattro livelli principali di appartenenza." Così tra "baracche
di fango, vacche smagrite, campi esangui, ad Alinagar […] la gente era lì,
quando i genitori di Sonu stringevano il cappio intorno al collo della figlia e
a quello dell'amico."
"E come potevamo noi cantare…" Mi perdoni
Quasimodo, ma io spingo il mio sguardo atterrito, accompagnato dai tonfi sordi
di un cuore colmo d'angoscia, di sfiducia totale, d'amarezza infinita, pervaso
altresì dal sentimento dell'inaccettabilità della condizione umana, ad
abbracciare tutto il globo, e così vorrei chiedere a tutti in un grido: come
possiamo noi cantare…
Fin qui l'India di Maria Grazia Cutuli, che non è diversa da
quella di Dominique La Pierre e nemmeno da quella di Arundhati Roy e da quella
di tutti coloro che vi muoiono schiacciati dal peso di un'assurda cultura
sedimentata, nutrita, accettata attraverso i millenni.
Qui ho giustapposto una cronaca contemporanea, scarna per
forza di cose ma ricca di una penna felice, partecipe, ad un romanzo scritto
circa mezzo secolo fa. La cronaca è ciò che realmente accade, mentre il
romanzo, anche se costellato da eventi storici la cui veridicità sia facilmente
rilevabile; anche se sia più o meno ricco di riferimenti autobiografici che
conferiscono al percorso narrativo un andamento realistico è pur sempre frutto di
immaginazione e di fantasia. Questa è la differenza. La cronaca quindi
coinvolge in modo invasivo la nostra sfera emotiva.
Ed ora affronteremo l'avvincente romanzo della Roy,
ambientato nella complessa India.
Con la corsa agonistica per la conquista dello spazio, la
globalizzazione, i (pre)potenti mezzi di comunicazione che hanno tanto
rimpicciolito il mondo, anche l'immaginario collettivo riesce a disancorarsi,
magari con un piccolo sforzo, dagli stereotipi che hanno accompagnato da sempre
il nome di quel Paese. Stereotipi che vanno dalle vacche sacre alle
purificatrici acque del Gange; dalle immagini di Budda che ci guatano in modo
così poco rassicurante, alle danzatrici; dalle ricchezze favolose, ai lebbrosi
che vivono a contatto delle fogne…
Ma l'India ha dato al mondo anche due icone: Gandhi e Madre
Teresa di Calcutta. Il pensiero di questi due incredibili pellegrini dell'amore
può portarci conforto? Purtroppo mi sento autorizzata a pronunciare un
amarissimo destabilizzante no, dato che le loro vite hanno lasciato così poco
segno. Come dire due ottimi seminatori in possesso di ottima semente, i quali
hanno avuto solo pietraie ove spargerla, anche se si deve riconoscere che il
seme di Madre Teresa è cresciuto in una bella pianta lasciandoci nella speranza
che, chi ne ha la possibilità, continui a nutrirla. Due esempi indù; ma anche
in altre parti del mondo, di tanto in tanto, riesce a far capolino qualche
Buonavolontà. Purtroppo, inesorabilmente, le fiamme del Male, sempre così
ruggenti, così alte e divoratrici, scaturite dall'egoismo, dalla sete
inestinguibile di potere - quando non è addirittura inconcepibile sadismo -
riescono sempre ad avere la meglio su tutto.
Il romanzo della Roy ci presenta subito un'India che
esorbita dagli archetipi spiazzandoci un poco. Esso ci pone all'interno di una
famiglia della media borghesia, dove si possiede un'automobile, si va al
cinema, si suona il violino, ci si vale dell'aiuto di persone di servizio, si
parla inglese; retaggio, quest'ultima consuetudine, della lunga colonizzazione
da parte della Gran Bretagna, è chiaro.
Il primo approccio quindi non si irrora di
quell'immediatezza che ci cala nell'ambita sintonia lettore-scrittore, di
conseguenza lettore-ambiente descritto. Un minimo di ragionamento è necessario
per raggiungere l'equilibrio occorrente onde capire, inquadrare e quindi
gustare uno scritto. Senza mediazione invece ci troviamo a godere dello stile
personalissimo di questa scrittrice. La quale si serve di periodi brevi o
brevissimi conferenti all'opera un'incisività che cattura, che convince.
Apriamo il volume a caso. Ecco pagina 105, in cui si parla
dell'andata al cinema della famiglia (potrebbero essere moltissime le pagine,
quasi tutte, forse, tanto lo stile è omogeneo) e leggiamo: "Superarono il
Banco dei Rinfreschi dove aspettavano le aranciate. E le limonate. L'arancia
troppo arancia. Il limone troppo limone."
Qui, oltre al significato letterale direi che si può
leggere, se non proprio la denuncia, almeno la presa di coscienza di chi
"capisce", non certo piacevole per un abitante di quella terra,
dell'approccio caotico e invasivo, proprio della corsa alla conquista dei
mercati da parte dell'Occidente. Corsa frenetica che supera ogni ostacolo e non
lascia il tempo per l'elaborazione e per l'assimilazione a chi viene investito
dal "nuovo"; la maggior parte delle volte inutile ma sempre
intrigante.
In queste poche righe ci imbattiamo inoltre nella strategia
adottata dalla Roy per quanto concerne il suo modo di comunicare, ossia l'uso
frequente della maiuscola per due o più nomi comuni situati nella stessa frase.
È chiaro il compito loro affidato: dare pregnanza ad un concetto riguardante un
dato momento o una particolare situazione, che abbia una carica emotiva
inconsueta sulla psiche dei due principali personaggi; carica che deve essere
passata al lettore.
Non bisogna dimenticare che noi viviamo le vicende narrate
attraverso il filtro di una psiche alla sua prima ricezione dell'oggettivo.
Sono i figli di Ammu, la coprotagonista, "gemelli dizigotici", come
dichiararono i medici alla loro nascita. Estha (Esthappen) nacque diciotto
minuti prima della sorella Rahel. Ma fra di loro non ci fu mai una grande
rassomiglianza, di quelle che fanno chiedere quale sia l'uno e quale sia
l'altro.
Intorno a questi tre personaggi ne ruotano un numero
notevole di altri, tutti di grande importanza nell'economia dell'opera. In
primis la loro famiglia.
Cultura a parte, una famiglia come ce ne potrebbero essere
tante, coesa cioè dal legame che è alla base di ogni nucleo familiare, vuoi che
esso scaturisca dall'amore, vuoi che scaturisca dall'orgoglio che proviene da
un aberrato senso dell'onore. Una famiglia coinvolta nei fermenti che, negli
anni Sessanta, coinvolsero anche l'India: comunisti e sindacalisti, datori di
lavoro nel benessere e oscura miseria impastata d'ignoranza. Frammisto a tutto
ciò, gli Intoccabili, che tali sono rimasti. e non certo solo di nome,
nonostante trattati e promesse.
Proprio da questa fase storico-culturale verranno coinvolti
e travolti i due gemelli.
Travolgimento di cui non possono rendersi conto fino in
fondo ma che manterrà viva la sua virulenza contro cui nessuna rimozione può
essere operata.
Buon antidoto è l'amore profondo che li lega alla loro
tenerissima madre, causa consapevole ma non colpevole di questa crudele
situazione. Una donna coraggiosa che pagherà in modo troppo duro l'aver osato
ribellarsi alle pastoie di un'assurda imposizione.
Una famiglia come ve ne potrebbero essere tante, cultura a
parte, abbiamo detto; la quale appartiene a quel gruppo dove l'amore, a valenza
globale come collante invincibile, non esiste.
Non ci sono parole per esprimere ciò che si prova leggendo
la cronaca della Cutuli: Non ce ne sono nemmeno molte pure qui, si deve
riconoscere. Là è l'orribile azione contro natura commessa in nome di qualcosa
sul cui valore nulla saprebbero dire gli assassini, nulla saprebbero chiedersi;
qui, meno perdonabilmente - se si può usare questo termine - c'è l'aggravante
di una cultura acquisita che dovrebbe soppiantare quella ancestrale visto che
si è accettata con tanta disinvoltura e simpatia. Per non parlare dei mezzi cui
si ricorre: il ricatto morale, tanto subdolo poiché è consumato sulla pelle di
due bambini.
La posta in gioco è altissima, come spiega l'ex suora,
nonché moglie mancata Navomi Ipa: si tratta della loro salvezza e di quella
della loro madre. Se non l'asseconderanno nei suoi intrighi la prigione è
assicurata. Una prigione diversa per ciascuno dei tre. E loro sanno bene come
sono le prigioni in India! In fondo è semplicissimo: si tratta solo di dire un
breve sì a quella buona pasta di ispettore di polizia. Di confermare cioè la
falsa accusa di ladro a carico del loro amato e amorevolissimo amico.
Baby Kochanna, la prozia, ha messo a punto la sua strategia
in lotta contro il tempo. Infatti ha scoperto che nella mente dell'ispettore
sono sorti dei dubbi. Questo può guastare tutto anche se ha quasi la certezza
che Velutha, l'innocente accusato, non supererà la notte; ma sa anche che
quella pazza di sua nipote, già rea di aver divorziato dal marito, il padre dei
gemelli, manesco, ubriacone, irresponsabile, sarebbe capace di tentare ogni
strada pur di salvare il suo amante Intoccabile, dichiarando pubblicamente che
non ci fu mai violenza da parte di lui: lei lo ama ed è riamata.
Quella morte è una fortuna per la famiglia che vedrà in tal
modo il suo onore salvo; come prova a carico della povera vittima vale un nudo
sì strappato con l'inganno ad un innocente.
Negli anni successivi [i gemelli] avrebbero rivissuto
mentalmente la scena. Da bambini. Da adolescenti. Da adulti. Erano stati
costretti con l'inganno a fare quello che avevano fatto? Erano stati vittime di
un trucco?
In un certo senso, sì. Ma le cose non erano così semplici.
Tutt'e due sapevano che era stata data loro una possibilità di scelta. E come
avevano scelto in fretta!
L'ispettore dichiarò che gli bastava interrogare un solo
gemello. La prozia scelse Estha che sapeva il più pratico, il più malleabile.
"Vai tu. Dabravoragazzo."
Ed egli andò.
E dovette vedere ciò che rimaneva del loro grande amico. Un
povero corpo maciullato che giaceva sul nudo pavimento, immerso nel suo sangue
e nei suoi escrementi. Stava solo nella "guardina […] nera come il
carbone". Il bambino potè vederlo perché "qualcuno accese la luce.
Brillante. Accecante."
"Mezz'ora dopo mezzanotte la Morte andò a
prenderlo". E i gemelli
con la madre,"la piccola famiglia arricciolata e addormentata su un
copriletto azzurro a punto croce? Che cosa andò da loro? La morte no. Solo, la
fine della vita"
Come abbiamo potuto constatare il potere di Baby Kochamma ha
un notevole peso in seno alla famiglia. Forse perché è la sorella sopravvissuta
a Pappachi, il capo incontrastato.
Di costui la Roy ci dà una descrizione vivace, sia fisica,
sia morale. E. John Ipe era un noto entomologo "fotogenico, azzimato e
strigliato con cura",
ma soprattutto anglofilo. Lo vediamo in una fotografia scattata a Vienna,
vestito da cavallerizzo, "benché non fosse mai salito su un cavallo in
vita sua. […] C'era, nella fotografia, un'immobilità vigile, che comunicava un
brivido segreto alla stanza calda in cui era appesa."
Quest'uomo affronta malissimo il suo pensionamento, quindi
la sua vecchiaia. Quando poi l'insegnante di violino di Mammachi, ossia la
moglie Sosha di diciassette anni più giovane, gli dice che la donna ha un
grande talento e che potrebbe emergere come concertista, il suo ottuso
maschilismo si accentua, se possibile, così che le sue angherie nei confronti
di lei crescono di numero e di intensità.
Per la figlia di costoro essere anglofili è un demerito.
Infatti dirà che il padre è uno "scopino da cesso"
britannico. Ma anche Chacko, l'unico figlio maschio, del resto, condivide la
presa di posizione della sorella. Lo possiamo capire da quanto spiega ai
gemelli: "[eravamo] una famiglia di Anglofili. Rivolti nella direzione
sbagliata, intrappolati fuori dalla nostra storia e incapaci di ricalcare i
propri passi perché le impronte erano state spazzate via."
Curiosa dichiarazione, pervasa di amarezza che ci lascerebbe
interdetti se non sapessimo che in ciascuno di noi c'è una grandissima
componente di contraddittorietà. La persona che faccia della coerenza un
proprio stile di vita deve mettere in atto tutta la sua buona volontà per
riuscire in tale proposito.
Chacko, un uomo che riesce ad impietosirci nonostante tutto;
tanto inetto da non saper gestire l'azienda di famiglia in modo da farla
rendere; che è stato ad Oxford e che tuttora esercita il suo potere di maschio,
secondo la millenaria tradizione talmente radicata da far parte ormai del
materiale genetico del maschile indù (e non solo indù, in quanto a questo).
Infatti dirà alla sorella, di quattro anni più giovane, che lavora nella
fabbrica di conserve alimentari di loro proprietà quanto lavori lui:
"Quello che è tuo è mio e quello che è mio è sempre mio."
Del resto egli è nella legalità poiché le figlie non hanno alcun diritto sui
beni familiari. Per questa donna poi c'è l'aggravante di aver disonorato la
famiglia con un divorzio. E non solo.
La coscienza del fratello è a posto quindi, anche quando non
si farà scrupolo di dire ai nipoti che la loro madre non ha alcun diritto di
avere un luogo in cui stare.
Curiosa l'origine della scontentezza di questi due fratelli:
nell'uno esiste per aver "subito" l'invasiva offerta della cultura
occidentale; nell'altra, che pur disprezza gli inglesi e la loro influenza,
perché vorrebbe rompere con le tradizioni della sua terra che la vogliono
soffocare in quanto donna.
Non ha certo preso esempio dalla madre che invece ha tutto
accettato. Ecco come ce la presenta la scrittrice:
Era bella. Anziana, insolita, regale.
Cieca Madre Vedova con un violino. […]
Sulla cute, nascoste con cura dai capelli radi, Mammachi
aveva delle protuberanze carnose a forma di mezzaluna. Cicatrici delle vecchie
botte di un vecchio matrimonio. Le sue cicatrici da vaso d'ottone.
Donna succuba, ma dura; la cui durezza tuttavia si scioglie
completamente alla fiamma dell'amore incondizionato per suo figlio. Con cieco
orgoglio dichiarerà che egli è "probabilmente uno degli uomini più
intelligenti dell'India".
Bisogna riconoscere a questo figlio il merito di aver
fermato il braccio, armato di vaso, del padre mentre si stava abbattendo sulla
propria moglie. Era la prima volta che assisteva a queste scene.
Pappachi incredibilmente non reagì, ma da quel momento si
chiuse in se stesso staccandosi in modo completo dalla famiglia. La difesa
della madre è un'azione inaspettata in un uomo come Chacko, la quale non può
che attirare le nostre simpatie. Che si trasformano in pietà quando ci troviamo
davanti allo stesso uomo che deve scendere nelle più profonde plaghe
dell'inferno in cui può venire gettato un essere umano: la perdita di un
figlio, che è "un crudele sbaglio della natura".
Già abbandonato dalla moglie inglese, di cui non riuscì mai
a disamorarsi, ora, proprio durante la prima visita che Margaret con la piccola
Sophie di nove anni, fa alla famiglia dell'ex marito, la bambina morirà
accidentalmente per annegamento.
In questa occasione, con poche righe felicissime l'autrice
farà sbalzare Mammachi in una figura a tutto tondo di madre innamoratissima:
"Il proprio dolore la addolorava e basta. Quello di lui la
devastava."
Abbiamo parlato dell'incoerenza di quest'uomo; ed ecco
l'altra faccia, quella d'immutabile massiccio spessore, fatto di materia
ancestrale, sedimentata caparbiamente attraverso i millenni, che non può
sgretolare la sua compattezza in tempi relativamente brevi. Sono proprio quelle
radici tenaci alle quali lui si rammarica di non essersi tenuto legato in uno
stato di dipendenza. Ma ciò si mostra incredibilmente incongruo quando intima
alla sorella frastornata, vinta dagli avvenimenti, con somma fermezza:
"Fai le valigie e vattene."
I gemelli sono presenti così che Rahel "aveva guardato
su. E aveva visto che Chacko era svanito, e al suo posto era apparso un
mostro."
La poveretta deve andarsene, dunque. Cercherà un lavoro.
Purtroppo qui si pone il grande problema dei gemelli adorati: non li può
portare con sé in un peregrinare doloroso; ma neanche lì possono restare. Non
entrambi, per lo meno . La prozia Navomi insiste: troppo selvaggi, troppo
maleducati, troppo falsi e, se lasciati insieme, diventano ingestibili. Su
questo non si può darle torto, del resto: quando i due se le danno di santa
ragione, tutto ciò che si trova sul loro cammino, sul loro dimenarsi violento,
viene travolto, rotto, reso inservibile.
Per questo si decide che il povero Estha, "bambino
silenzioso", verrà "Restituito" al babbo che, nel frattempo, si
è risposato.
Per un felice caso proprio in quei giorni "un Amico di
Famiglia […] doveva andare a Madras",
così avrebbe scortato il poveretto. La nonna osserva che è quindi inutile
spendere soldi in un biglietto ferroviario per accompagnarlo.
E noi entriamo con Ammu, Rahel e il partente nella stazione
ferroviaria di Cochin dove "i treni bloccavano le entrate, lasciando fuori
la luce del giorno, da tutt'e due le parti. Lunghi turaccioli che tenevano
l'oscurità imbottigliata."
L'aria era densa di mosche.
Un cieco senza palpebre e gli occhi di un azzurro jeans
scoloriti, la pelle butterata dal vaiolo, chiacchierava con un lebbroso senza
dita.
E c'è anche il tizio che usa l'oscena protesi cava fino al
ginocchio, dipinta di nero, bianco e rosa (scarpa, calzino, polpaccio) come
contenitore per portarsi appresso un bicchiere, un asciugamano ed altre piccole
cose. Intanto i venditori ambulanti urlano le loro merci, dalle bibite agli
occhiali da sole, agli orologi giocattolo.
Bambini macilenti, chiari per la malnutrizione, che
vendevano riviste porno e cibo che loro non potevano permettersi di mangiare.
[…] Gente vuota. Senza casa. Affamata. Ancora colpita dalla
carestia dell'anno prima.
[…] Una vecchia signora vomitò. Una pozza grumosa. E poi
continuò per la sua strada.
Il Mondo della Stazione. Un circo. Dove, con il trambusto
del commercio, la disperazione tornava al pollaio per la notte e si induriva
lentamente nella rassegnazione.
Rassegnazione, benefica dea che purtroppo ha un incedere
lentissimo, per la qual ragione, non sempre giunge in tempo.
Già prima di arrivare in stazione, sulla strada percorsa
dalla Plymouth - ereditata dal padre dopo la sua morte - usata dalla famiglia
per recarsi dal suo piccolo centro fino alla più importante Cochin, incontriamo
"Murlidharan, il matto del passaggio a livello [, nudo e senza
braccia che] stava appollaiato in perfetto equilibrio sulla pietra miliare con
le gambe incrociate. Le palle e il pene gli ciondolavano giù".
In queste descrizioni, dove il dramma è palpabile e devasta
il nostro profondo, il linguaggio della Roy si fa crudo, direi
provocatoriamente scurrile (cacare, merda eccetera). Attraverso di esso, che
serve ad immergerci in una realtà disumana, non possiamo che rabbrividire di
disgusto, di ribrezzo, di pena, di raccapriccio.
Ecco allora che gli stereotipi che hanno sempre accompagnato
il nome India tornano, non senza una giustificazione, alla nostra mente.
Quell'India dalla policromia folklorica. In questo Paese, forse più che in
tanti altri Paesi del mondo, si può avere la netta percezione dell'inaccettabile
divario tra il delittuoso superfluo e l'altrettanto delittuoso nulla. E qua
chissà quanti di noi, dopo una breve riflessione, si pongono una domanda.
"Il dio delle piccole cose" è un dio minore, ma quello "delle
grandi cose", che cambia nome a seconda della posizione storico-geografica
in cui è posto, che è sempre onnipotente e giusto (e anche buono),come può
assistere senza batter ciglio a tutto ciò?
"[…] se Dio è nelle piccole cose anche il diavolo lo
è." (Michael Connelly)
Possiamo allora pensare, non senza tremore, ad una parità di
spazio, quindi di forze tra il Bene e il Male, dove l'uomo ha la consistenza di
una foglia morta in balìa delle intemperie?
E quivi, sul fondo del baratro, dovremo assistere ad un
addio struggente, dove persino il benefico alito della speranza sembra non
trovare più ossigeno per sopravvivere. Scorrendo le righe si verrà risucchiati
da quella spirale d'angoscia che diventa fumo venefico, il quale invade narici,
gola, polmoni.
Il povero piccolo Estha viene così strappato da quel mondo
che, bene o male è sempre stato il suo. Viene strappato dall'amore che, madre e
sorella gli hanno sempre saputo dare.
Tenendo stretta la mano di Ammu il bambino le chiede quando
andrà a riprenderlo. Butta là un arco di tempo. " 'Fra due mesi, Ammu?' Aveva
detto apposta un periodo lunghissimo, in modo che lei potesse"
contraddirlo, rassicurarlo. Ma la donna non può. Forse, anche in questo caso
drammatico vuole mantenersi coerente col rapporto onesto che ha instaurato con
i propri figli; forse è stata presa alla sprovvista, fatto si è che risponde:
"[…] Appena riesco ad andar via di qui e a trovare un
lavoro". […]
"Ma allora significa mai!" Un'ondata di panico.
Una sensazione di profondo senza fondo [lo travolge].
[…] Le pupille di Estha si dilatarono. Le unghie affondarono
nella mano di Ammu, mentre lei avanzava lungo il marciapiede. Il passo di lei
si trasformò in corsa man mano che il Postale per Madras prendeva velocità.
Ciao Estha, dio ti benedica, aveva detto la bocca di Ammu.
La bocca di Ammu-che-cerca-di-non-piangere.
Sul marciapiede della stazione, Rahel si piegò in due e
gridò, gridò.
Il treno uscì dalla stazione, lasciando entrare la luce.
Per Estha questa sarà l'ultima volta che vedrà sua madre.
Esthappen, piuttosto taciturno da sempre, ma che in seguito si chiuderà in un
mutismo innaturale; l'unica arma a sua disposizione per chiudere i mostri al di
fuori del suo ristretto cerchio vitale. Un povero essere introverso,
vulnerabile, solo, che dimostra una sensibilità commovente
quando […] il suo amato bastardino di diciassette anni,
cieco, spelacchiato e incontinente decise di mettere in scena la sua miserevole
e prolissa morte, Estha lo curò e lo assistette fino al travaglio finale come
se ne andasse della propria vita.
Questi è colui che ha chiuso, serrato, inchiavardato dentro
di sé quel "sì" tremendo, legato all'immagine di un uomo pestato a
morte.
[…] peggio di tutto, portava in sé il ricordo di un uomo
giovane con la bocca da vecchio. Il ricordo di una faccia gonfia e di un
sorriso maciullato, sottosopra. Di una pozza di liquido chiaro che si allargava
e di una lampadina nuda riflessa nella pozza. Di un occhio iniettato di sangue
che si era aperto, aveva vagato e poi si era fissato su di lui. Su Estha. E che
cosa aveva fatto Estha? Aveva guardato dritto quella faccia tanto amata e aveva
detto: Sì.
Una scelta della scrittrice, quella di inframmezzare i
ricordi degli avvenimenti da parte dei gemelli agli accadimenti presentatici
dallo scrittore onnisciente. Ne risulta una commistione temporale che, in certo
qual modo, può rallentare la lettura; come che un lievissimo diaframma
traslucido si frapponga tra il fruitore e la pagina scritta. Tuttavia possiamo
definire ciò una difficoltà ininfluente per il godimento dell'opera, poiché
questa, alla fine, risulta una tecnica che riesce a dare movimento ed eleganza
al tessuto che si srotola lungo una filiera solida pur ospitando inneschi di
varia natura.
Quante cose possono accadere in un tempo brevissimo! Poco è
passato da quando si svolse questo tenero dialogo tra madre e figli. Un gioco
fatto di parole semplici dove lo spessore della complicità è un fatto
intrigante, che si impadronisce della nostra sfera emotiva.
Ammu si rigirò verso Estha e Rahel, e i suoi occhi erano
gioielli annebbiati. [Annunciò:] "Tutti dicono che i bambini hanno bisogno
di un Baba. E io dico di no. Non i miei bambini. E lo sapete perché?" [I
gemelli quasi all'unisono risposero:] "Perché tu sei la nostra Ammu e il
nostro Baba e ci vuoi bene il doppio."
Ma né questa somma incommensurabile d'amore, né null'altro
riuscì a strapparla alla sconvolgente morte solitaria "in una sudicia
stanza […] con l'unica compagnia di un rumoroso ventilatore da soffitto. […]
L'uomo delle pulizie la trovò la mattina dopo. Spense il ventilatore."
Già. Le leggi non scritte che regolano la vita umana
contemplano anche questo: nulla può servire ad un cadavere che, oltre ad essere
tale è gravato anche dal peso di non aver nessuno accanto a sé.
La chiesa, quella stessa dove avvennero i funerali della
piccola Sophie, durante i quali i gemelli vennero lasciati in disparte con Ammu
dalla loro stessa famiglia, e poterono familiarizzare per la prima volta con la
morte, "rifiutò di seppellire Ammu. […] Così Chacko noleggiò un furgoncino
per trasportare il corpo al crematorio elettrico. Gliela consegnarono avvolta
in un lenzuolo sporco e stesa su una barella.
[…] La strada era piena di buche e cunette, e il corpo di
Ammu sobbalzò e scivolò giù dalla barella. Il capo urtò un bullone sul
pavimento, ma lei non trasalì e nemmeno si svegliò. C'era una ronzio nella
testa di Rahel, e per tutta la giornata Chacko dovette urlare per farsi
sentire.
Il crematorio […] era deserto. […] Nessuno veniva cremato
lì, tranne i mendicanti, i derelitti e quelli che morivano in carcere. […]
Quando arrivò il turno di Ammu, Chacko strinse forte la mano di Rahel. Lei non
voleva che le stringessero la mano [e la sottrasse]. Nessun altro della
famiglia era presente."
Poi l'autrice, con una prosa incalzante e sofferta che ci
destabilizza, descrive l'inceneritore: dietro lo sportello d'acciaio che si
solleva il "borbottio attutito del fuoco eterno" diventa un
rosso ruggito, […] una bestia tenuta a digiuno. Poi le
dettero da mangiare la Ammu di Rahel. I suoi capelli, la sua pelle. Il suo
sorriso. La sua voce. Il modo in cui usava Kipling per amare i suoi bambini
prima di metterli a dormire. […] Il suo bacio della buonanotte. […] Tutto
questo diventò cibo per la bestia, e la bestia fu soddisfatta.
"La bestia" allora divorò quella donna che aveva amato
e che aveva sofferto, che si era ribellata per difendere la sua entità di
essere umano e che aveva pagato assai duramente soccombendo nella disfatta più
totale dopo aver combattuto una battaglia impossibile da vincere.
Zio e nipote
dovettero aspettare per avere la ricevuta che li autorizzava
a ritirare i resti di Ammu. Le sue ceneri. La polvere delle sue ossa. I denti
del suo sorriso. La sua intera persona pigiata dentro un piccolo vaso di
argilla. Ricevuta n. Q498673.
Un numero su un foglietto di carta che rappresenta l'inutile
prima dell'annichilimento totale. Un nulla che pure ha avuto la sua porzione di
tempo e di spazio, dentro i quali si è mosso strascicandosi appresso la
consapevolezza della sua fragilità, in un groviglio inestricabile e devastante
di perché destinato a non avere mai risposta.
Quel vasetto d'argilla dove stava ora Ammu avrebbe dovuto
essere consegnato a suo fratello. Ma Estha non c'era: non era ancora stato
"ri-Restituito" dal suo Baba.
Lo sarà più tardi.
È trascorso tanto tempo da allora. Tempo che passa sempre
sui ricordi deformandoli, smussando i loro spigoli, senza mai tuttavia
cancellarli, quando hanno uno spessore così corposo, un potere di penetrazione
così intenso.
Sono passati ventitré anni e i due fratelli si incontrano nella
vecchia casa. La prozia è sempre lì, forte delle sue certezze, simbolo di chi
si è costruito bovinamente un solido mondo intimo della cui validità non
dubiterà mai e per il qual motivo si arroga il diritto di giudicare, di
prendere decisioni che riguardano gli altri, senza il minimo tentennamento.
Il distacco che esiste tra lei e la nipote, arrivata dopo
tanto tempo, è totale.
Ora i gemelli hanno l'età di Ammu al tempo della sua morte:
trentuno anni.
Non vecchi. Non giovani.
Ma vitalmente morituri.
Erano due estranei che si erano incontrati per caso.
Si conoscevano prima che la Vita iniziasse.
Questo spiega come "ancora una volta trasgredirono le
Leggi dell'Amore. Che stabiliscono chi si deve amare. E come. E quanto."
Finale felicemente inaspettato, conturbante ma comprensibile
e giustificabile.
La vita di questi due personaggi è stata tutto un
sottosopra; un ribaltamento invasivo di una situazione dolorosamente anomala,
ma che a loro, dotati della forza dell'incoscienza, andava ugualmente bene.
C'era il baluardo invalicabile dell'amore materno, arricchito dal profondo
affetto quasi parentale di Velutha che soppiantava agevolmente la figura di un
Baba da dimenticare.
Ora sono qui, tra le mura di questa casa segnata crudamente
dal tempo, dove i drammi che ha ospitato, di cui è stata testimone, ma non
rifugio protettore, emettono il loro veleno dalle muffe dell'abbandono.
Baby Kochamma, oltre non rappresentare almeno il misero
resto di una famiglia di cui fecero parte, con la sua presenza rinfocola il disagio,
lo scompiglio interiore che ancora possiede i due giovani.
I fantasmi del passato sono ancora tutti qui, entro queste
pareti. Per sopravvivere i gemelli capiscono che devono escogitare qualcosa
onde esorcizzarli. Non possono essere propositivi, non possono pianificare
progetti. Non resta loro che gettare i dadi e tentare la sorte…
E "quello che divisero, quella notte, non era la
felicità, ma un dolore spaventoso."
Un libro questo che invita ad arrivare fino all'ultima
facciata, anche se ci fa muovere in un clima irrespirabile che intasa e
soffoca. Il clima che immancabilmente accompagna il faticoso incedere della
interminabile, perpetua fila degli Abele. Si deve arrivare all'ultima facciata,
anche se la matassa che si dipana è solo dramma, dolore, prepotenza, miseria,
ribellione stroncata nel sangue.
Sacrosanta ribellione del succubo che non dovrebbe mai
lasciare le coscienze pascersi d'indifferenza.