Patrizia Manieri, già étoile del Teatro San Carlo di Napoli, racconta e si racconta

25 luglio 2007

Cominciamo con una nota dolente: la situazione della danza in Italia non si può certo definire rosea. È all'estero che troviamo tutt'altra sensibilità.

Patrizia Manieri e Rudolf Nureyev in L'après-midi d'un faune, 1989

© Foto Alessio Buccafusca

È vero. Prendiamo il Teatro San Carlo: da qualche anno a questa parte al stagione di balletto è formata da una sola programmazione. Il 3 e il 4 agosto avremo il Lago dei cigni, ma è un fuori programma. Non so dire perché si sia creata tale situazione presso il Teatro. È come se si remasse contro la danza; contro quel poco che è rimasto, della danza. Alla fine è un cane che si morde la coda: la direzione dice che il Corpo di ballo non è in forma, ma se non lo si fa danzare… Eppure l'interesse per il balletto c'è. Lo scorso anno, infatti, Elisabetta Terabust programmò il Lago in sei recite e ci fu il tutto esaurito. Devo dire che al San Carlo anche l'opera lirica attraversa una crisi: sono saltate due opere programmate per settembre. Mancano i soldi. Non è come la Scala, dove gli imprenditori investono: gli sponsor del nostro Teatro sono unicamente la Regione e la Provincia.

Effettivamente la Scala vanta di sponsor prestigiosi: Rolex, ad esempio, che è stato sponsor ufficiale di tutta l’attività di tournée del Corpo di Ballo, sia a livello nazionale sia a livello internazionale.

Eh, certo! A maggio ero alla Scala per vedere la Bella addormentata nel bosco con Svetlana Zakharova e Denis Matvienko.

C'ero anch'io. Nell'"Adagio della rosa" si era tutti con il fiato sospeso. Quale ballerina reputa la migliore nell'"Adagio"?

La Zakharova è tecnicamente impeccabile. Direi che la migliore è comunque Carla Fracci. Anche in Giselle Carla è eccezionale. Volendo essere pignoli, la Zakharova non ha l'unicità di Carla. Per l'epoca Carla aveva una tecnica straordinaria. Oggi, infatti, è differente la preparazione del corpo, l'allenamento. Carla è certamente la ballerina più completa. Ho danzato con lei nella Giselle di Alicia Alonso: impersonavo Mirta, mentre Albrecht era interpretato da Paolo Bortoluzzi.

Patrizia Manieri durante le prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli. Arena flegrea 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

La differente preparazione tecnica ha ‑ dall'Ottocento ad oggi ‑ cambiato le fattezze corporee. Le tersicoree ottocentesche non erano così magre e lavoravano in modo tale da far necessariamente gonfiare i muscoli. Le odierne scuole di danza, invece, sono attente a che non si crei una massa muscolare che, se è grossa, non significa necessariamente che sia potente.

Non dimentichiamo, inoltre, che le ballerine ottocentesche riuscivano ad alzare le gambe solo fino a 45°.

Qualche ricordo degli artisti con i quali ha lavorato?

Ho lavorato con Rudolf Nureyev ‑ straordinario coreografo oltre che ballerino ‑ in Cenerentola, che si diede a Napoli: avevo il ruolo di una sorellastra. Ho, inoltre, danzato in L'après-midi d'un faune e in una variazione di Raymonda: il mio partner, qui, era Charles Jude. Adoravo Rudolf e lui mi voleva molto bene. È stato un ballerino che ha dato tantissimo e ha aiutato i giovani: pensi alla Guillem ad esempio.

Si dice che pretendesse moltissimo da tutti.

Patrizia Manieri durante le prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli. Arena flegrea 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

Sì, è così. Ma pretendeva moltissimo anche da se stesso. Probabilmente sapeva che questa è l'unica strada da percorrere per chi vuole emergere.

Qualcuno ha additato Roberto Bolle come il nuovo Nureyev. Che cosa ne pensa?

Ogni artista nel suo genere è unico. Non si può pensare di sostituire Nureyev. Prenda Maria Callas o Greta Garbo: sono uniche. Questa unicità è un limite per chi potrebbe essere il secondo Nureyev; tuttavia a nessuno piacerebbe essere il secondo! Così Roberto sarà unico nel suo genere.

C'è un aneddoto sul "grande tartaro" che vuole condividere con noi?

Legato alla danza o privato?

Lascio a Lei la scelta.

Lui possedeva un basco verde che a me piaceva molto. Gli chiesi: "Maestro, me lo regala?" Mi rispose: "Se me ne comperi un altro, te lo regalo." Feci così. Gli telefonai a Londra e glielo dissi, che avevo acquistato un altro basco per lui, ma lui non venne più a Napoli. Lo rividi all'Opéra: non dimenticherò mai l'immagine di lui sulla sedia a rotelle. Dopo non lo incontrai più. Eh sì… benché non abbia lavorato a lungo con lui, gli volevo molto bene.

Patrizia Manieri con Giuseppe Picone durante le prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli. Arena flegrea 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

Ci sono altri artisti di cui vuole raccontare qualcosa?

Con Paolo Bortoluzzi, cui ho accennato sopra, a Napoli facemmo Festa. Si trattava di una di quelle serate molto belle, organizzate da Vittoria Ottolenghi, che si tenevano nella piazze italiane.

Si era nel 1989: i tempi in cui la televisione si dedicava anche alla danza con l'iniziale maiuscola. Venivano infatti trasmessi sul piccolo schermo gli spettacoli-contenitore estivi come, appunto, Festa o Mantova, festa a corte. Inoltre Vittoria Ottolenghi conduceva la trasmissione Maratona d'estate, in alcuni periodi con cadenza addirittura giornaliera.

Proprio quei tempi. In Festa danzavo un pas de deux con Paolo Bortoluzzi: io impersonavo Lady Hamilton, mentre lui Horatio Nelson.

Ricordo bene quel pezzo: un pas assai godibile, improntato ad una certa garbata ironia.

Il pezzo rappresentava la Napoli della rivoluzione con una Lady Hamilton appartenente alla corte. Era un bel pas de deux e pure i costumi erano molto belli! In quello spettacolo c'erano anche Vassiliev, la Maximova e la Terabust.

Prima ha parlato del Nureyev coreografo. Altri coreografi che ha amato?

Riccardo Nuñez e Patrizia Manieri durante le prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli. Arena flegrea 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

Ballai Il pipistrello con Cyril Pierre ‑ più giovane di me ‑ della Compagnia di Roland Petit. E ballai Carmen. Mi divertii da morire a danzare Petit! Poi ho adorato il Cranko di Onegin per i pas de deux. Stupendo anche Balanchine (penso ad Apollon musagète): egli è più vicino alla mia fisicità poiché sono una ballerina alta. Tutti loro mi hanno dato qualcosa, arricchendomi.

Lei ha affermato di aver amato Onegin e di sentire Balanchine più vicino alla sua fisicità. Ove il primo è un balletto narrativo, i lavori di Balanchine (con l'eccezione del Sogno) sono balletti dalle purissime linee neoclassiche (cito, ad esempio, le tre creazioni nate dalla collaborazione con Igor Stravinskij: Apollon musagète, Orpheus ed Agon). Le chiedo: si sentiva più attratta da un personaggio da interpretare psicologicamente (Tatiana) o dal formalismo di una Tersicore?

Ho preferito Onegin perché mi sentivo indubbiamente più vicina a Tatiana che a Tersicore. Del resto il balletto di Cranko l'ho danzato a quarant'anni, perciò l'eroina puškiniana era stata mia nella vita prima che sul palcoscenico.

Riccardo Nuñez, Patrizia Manieri e lo staff della coreografia durante le prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli. Arena flegrea 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

In un ballerino il corpo e la mente non compiono lo stesso cammino perché con l'andare degli anni è giocoforza che il corpo sia meno prestante, mentre l'artista acquista acume interpretativo. Si vive, cioè, acquisendo un'esperienza di vita che permette di penetrare nel personaggio che si rappresenta sulla scena, facendolo proprio: così proprio, da conferirgli uno spessore che rende ogni interpretazione un unicum. Alessandra Ferri raccontava ad esempio che Giulietta è un ruolo che va fatto crescere nel senso che, man mano che lei diventava donna e comprendeva più profondamente la giovinetta veronese, ballando quel ruolo lo riempiva di significati nuovi (non più la Giulietta contemplativa ma la Giulietta che ama il contatto fisico con Romeo).

È la crudeltà della vita del ballerino: si cresce e si matura dal lato interpretativo, ma andando avanti con l'età c'è un calo fisico. Sui 35-36 anni si possono far convergere le due cose. Parlando di Roberto Bolle, egli è ora più maturo di quando era ragazzo.

Prima ho citato Alessandra Ferri: che cosa pensa della sua uscita dalla scena all'apice del successo?

Giuseppe Picone e Irina Dvorovenko durante le prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

Condivido la sua scelta: è una scelta coraggiosa. Dal momento in cui ho smesso di ballare una parte di me è morta, è inutile negarlo: tutti vorrebbero essere sempre sul palcoscenico, ma continuare non è giusto, sia per chi sta dietro di noi (i giovani che hanno voglia di emergere), sia per noi stessi. Continuare è egoistico. Occorre, invece, guardarsi un po' meno allo specchio. Quando si è maestri si deve mettersi lo specchio alle spalle e guardare i giovani che sono di fronte allo specchio. Per un maestro è un completamento vedere in scena un ragazzo che ha preparato e al quale ha dato tutto e osservarlo crescere: arricchisce in quanto artista. Certo, non sarà mai l'emozione di essere sul palcoscenico, ma dare è importante così come è importante non interstardirsi a continuare a tutti i costi. Penso pure a quelle donne che, pur di non invecchiare, si fanno operazioni, usano il botulino…: in realtà diventano mostri, perché vanno contro natura. Un artista dovrebbe guardare alla propria giovinezza come ad un periodo in cui è stato grande e ha costruito: ed ora è giunto momento di dare, non attraverso la propria caparbia presenza sul palco da protagonista, ma rivolgendo le proprie attenzioni artistiche ai giovani. Le donne cui ho appena fatto cenno si incaponiscono a guardarsi allo specchio, ma è uno specchio malato, non sincero: esse non si guardano davvero, fino in fondo. Mettere lo specchio da parte significa concentrarsi non su di esso, ma sulla realtà che occorre accettare.

Giuseppe Picone durante le prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

Insomma: occorre dare a noi stessi il compito di indurre la realtà, che abbiamo sottoposto a equilibrata ma lucida disamina, a condurci verso il cammino giusto che ci porta verso gli altri: a quegli altri che hanno bisogno della nostra sapienza e perciò stesso grandezza.

Le lascio un'altra metafora: una margherita che non accetta i propri petali bianchi e sottili ma vuole quelli della rosa… be', è un obbrobrio!

Lei ha usato in modo molto opportuno il tema dello specchio, tema largamente trattato anche in letteratura. AscoltandoLa mi viene spontaneo pensare a The Picture of Dorian Gray. Nel romanzo wildiano lo specchio ha le fattezze del ben noto ritratto, che gioca scorretto non perché non mente, ma perché si sostituisce al protagonista macchiandosi dei fatti corruttivi covati letalmente da lui. Gray, dunque, e qui mi riporto alla Sua metafora, non ha saputo sostenere lo sguardo del vero se stesso.

Chiudiamo questa parentesi letteraria e riportiamo il discorso sulla danza. Intraprendere la carriera di ballerino è un percorso che ha come diktat sacrificio e dedizione. La società contemporanea sembra invece improntata al "tutto subito". Nei Suoi allievi trova un riflesso di questa contraddizione?

Giuseppe Picone e Irina Dvorovenko durante le prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

I più giovani non capiscono che devono dare tutto alla danza. Hanno nei confronti della danza lo stesso approccio che hanno verso il telefonino o verso Internet: avere le cose in tempo reale, poiché con il telefonino raggiungi chiunque subito e con Internet trovi le notizie che ti servono senza doverti perdere in ardue ricerche. Ecco la difficoltà che incontro lavorando con i ragazzi. Amano la danza, ma mordono il freno e questo è un limite e non un motivo di crescita. Per noi intraprendere la carriera di ballerino significava mettere mattone su mattone, mentre essi vorrebbero vedere subito i risultati. La variazione di Raymonda, che ho citato prima, l'ho costruita non mattone su mattone, ma addirittura granellino su granellino! Oggi i giovani non si spiegano perché li fermi tremila volte e non sei mai contenta. Intendiamoci, non è colpa loro: è che sono figli del loro tempo. Anche nei rapporti interpersonali, con fidanzati, genitori, amici, è la stessa cosa. Io non li vedo parlare con l'amico per telefono al fine di esternare le proprie difficoltà: oggi c'è il messaggino. "Sono down." Non sono in, sono out." Io stavo ore al telefono con la mia amica perché dovevo elaborare le mie problematiche!

Restiamo in tema di mutamento dei tempi. Christopher Wheeldon, a cui fu chiesto di fare il punto sul balletto contemporaneo, rispose: "I guess modern dance and a lot of contemporary ballet feels a little soulless, a little cold. It's been stripped down so much to this angry physicality that it almost feels as if the poetry is being drained out of dance." Lei che cosa pensa dell'uso che la danza contemporanea fa del corpo?

La danza contemporanea tende ad estremizzare i "fuori equilibrio". Ieri c'era una certa tecnica per salire sulla spalla del ballerino, oggi non sai neanche come ci sei arrivata, su quella spalla! La danza contemporanea, quindi, sì, tende a usare il corpo in un modo estremo, il che la rende spesso fredda.

Si è percorso un lungo cammino da Martha Graham ad oggi…

Il 16 luglio a Napoli c'è stata Sylvie Guillem in Push: l'emozione che ricevo dall'uso di un tipo di fisicità come la sua è differente da quella che può darmi una variazione fatta dalla Graham.

Il dettato Graham si è infatti storicizzato: e qui ritorniamo a quanto abbiamo appena detto sull'uso estremo della corporeità oggi. Del resto è stato evidenziato che Push è costruito "attraverso un perpetuo e itinerante scambio di pesi, spinte" riuscendo "a comunicare attraverso il corpo senza l'aiuto di desueti feticci simbolici, trame narrative o vecchi cimeli da repertorio".

Prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

Cambiamo argomento. È percezione diffusa che i gusti del pubblico siano orientati verso i balletti narrativi, verso i grandi classici, che vengono preferiti ai più difficilmente decodificabili lavori contemporanei. Il pubblico pare insomma non stancarsi facilmente di Laghi, Giselles, Belle addormentate, Romei e Giuliette. Ritengo, tuttavia, che esso vada educato e fatto crescere (e non solo nel campo della danza, ma in quello dell'arte e della cultura in genere. Apro e chiudo questa parentesi perché non vorrei esaltarne la vis polemica, parlando del ruolo educativo che dovrebbe avere la scuola in primis e la società poi e che potrebbe-dovrebbe avere il piccolo schermo). Secondo Lei nelle stagioni di balletto in quale percentuale occorrerebbe presenziasse la danza classica e in quale quella contemporanea?

Nella stessa percentuale. Le faccio l'esempio del cinema. Io amo il cinema e mi reco molto spesso nelle sale. Se vado a vedere un film che racconta una storia, poniamo una storia d'amore, noto che la gente si emoziona: è come se ci fosse ancora tanto desiderio d'amore e una profonda esigenza di emozionarsi (probabilmente in contrasto con i tempi in cui viviamo). Tuttavia c'è anche parecchia voglia di contemporaneità: immagini rielaborate con il computer, estremizzazione del futuro…. Avverto, in sintesi, che esiste la necessità di entrambe le tendenze, quindi non è possibile privilegiare l'una o l'altra. Tornando alla danza, sicuramente quella non classica rappresenta uno stimolo ed è formativa: per il pubblico, certo, ma pure per i giovani ballerini.

Questa Sua affermazione mi fa porre mente a Contropotere, prima assoluta di Jacopo Godani, data al Teatro alla Scala nel 2005. Attorno a Godani si sono stretti venticinque membri del Corpo di ballo scaligero che hanno preparato un pezzo dove energia e movimento sono tutto. Ritengo, sia per il tipo di movimento sia per le tematiche trattate, che Contropotere sia stata un'interessante opportunità per i venticinque scaligeri; tanto quanto ‑ per altre motivazioni ‑ lo è stata per il pubblico milanese.

Parlando appunto di giovani, Lei che cosa direbbe a chi ha deciso di intraprendere la carriera di ballerino?

Che ha scelto la cosa più bella della vita!

Leggo la Sua esclamazione come un moto del cuore.

Prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

Sì.

Il 3 e il 4 agosto, diceva, a Napoli verrà dato Il lago dei cigni ‑ che Lei sta rimontando ‑ con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo, con l'étoile Giuseppe Picone e con Irina Dvorovenko dell'American Ballet Theatre. Come vanno le prove?

Per ora stiamo lavorando con il Corpo di ballo: Giuseppe, infatti, è arrivato oggi, quindi con lui cominceremo domani; Irina, invece, arriverà venerdì. Le cose vanno abbastanza bene: abbiamo certamente ancora molto da lavorare. Lo scorso anno ho rimontato il Lago con Roberto Bolle e Polina Semionova.

Qual è la più grande qualità umana che possiede Bolle?

La semplicità sia nel modo di parlare sia in quello di relazionarsi. E una buona dose d'umiltà e d'umanità.

Bolle sostiene, infatti, anche progetti a favore dei bambini meno fortunati.

Parliamo ora della "Giornata internazionale della danza", che si è celebrata il 29 aprile e della quale Lei è stata testimonial a Napoli. Prima domanda: vista la situazione in cui versa la danza oggi in Italia, quale importanza rivestono le celebrazioni della "Giornata internazionale della danza"? Seconda domanda: ribadita la non rosea situazione di cui sopra, qual è la responsabilità di un testimonial?

Prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, 2007.

© Foto Alessio Buccafusca

Alla prima domanda rispondo che la "Giornata" è importante perché qualsiasi cosa si faccia per la danza è importante: lezioni aperte, articoli sui giornali, sfilate, mostre fotografiche… Con un blando gioco di parole voglio dire: che si faccia qualcosa, è già qualcosa.

Alla seconda domanda oppongo un'altra domanda: se non mi adopero io come testimonial, io che amo la danza, chi si deve assumere questo ruolo? Essere testimonial è rilevante in nome di quel dare di cui parlavo prima quando sostenevo che bisogna mettere lo specchio dietro le spalle; è una manifestazione di amore per la danza; è cercare di agire, pur nei limiti delle proprie possibilità: non si è fatto nulla di eclatante, poiché non è stata data la possibilità, ma qualcosa si è fatto. A Napoli il 29 aprile è stata organizzata una parata per cercare di avvicinare la gente all'universo danza. Ribadisco il concetto: fare qualcosa significa fare…

… e non fare significa perdere un'occasione, ma soprattutto rischiare l'isolamento e ‑ conseguentemente ‑ rischiare di vivere e di far vivere di sempre meno cose.

Esatto. Che ci stiano isolando è palese. Ma se la danza è diventata la Cenerentola degli enti lirici, è imperativo non toglierla di mezzo, questa povera Cenerentola!

Il fotografo Alessio Buccafusca assiste alle prove de Il lago dei cigni, coreografia di Riccardo Nuñez, con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, 2007.

© Foto Giuseppe Picone

Si ringrazia il fotografo Alessio Buccafusca che, presente sia durante le prove de Il lago dei cigni con il Corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli sia durante lo spettacolo del 3 e del 4 agosto 2007, ha fornito gli scatti che corredano quest'intervista e che formano la galleria fotografia.