Lo schiaccianoci
21 dicembre 2006
Il cast 1
Tanti Schiaccianoci 2
La versione coreografica di Rudolf
Nureyev 3
Il padrino Drosselmeyer: ritratti a
confronto. 4
La recita scaligera. 4
Roberto Bolle e gli allievi della Scuola di Ballo dell'Accademia del
Teatro alla Scala.
© Foto Marco
Brescia/Teatro alla Scala
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Si è inaugurata con Lo schiaccianoci di Čajkovskij-Nureyev la stagione
scaligera di balletto 2006-2007. Dal 16 al 31 dicembre inclusi il balletto
natalizio per eccellenza ha calcato e calcherà il palcoscenico piermariniano.
Étoile è Roberto Bolle e artista ospite Lisa-Maree Cullum.
I protagonisti della recita del 21 dicembre sono stati
Roberto Bolle (nel doppio ruolo di Drosselmeyer e del Principe), Lisa-Maree
Cullum (nel ruolo di Clara), Gianni Ghisleni e Laura Caccialanza (il dottor
Stahlbaum e sua moglie), Antonino Sutera (Fritz e il solista della danza
spagnola), Emanuela Montanari (Luisa e la solista della danza spagnola), Piera
Pedretti (la nonna e una danzatrice araba) e Vittorio D'Amato (il nonno e un
danzatore arabo), Massimo Dalla Mora (lo schiaccianoci), Nedo Zingoni (il re
topo), Sophie Sarrote e Deborah Gismondi (i fiocchi di neve), Marta Romagna e
Riccardo Massimi (coppia solista della danza araba), Maxime Thomas, Maurizio
Licitra e Salvo Perdichizzi (danza cinese), Laura Caccialanza e Gianni Ghisleni
(danza russa), Mick Zeni, Deborah Gismondi e Lara Montanaro (nella pastorale).
Oltre alla presenza del Corpo di Ballo del Teatro alla
Scala, la recita del 21 dicembre ha visto la partecipazione degli allievi della
Scuola di Ballo dell'Accademia del Teatro alla Scala e del Coro di Voci Bianche
del Teatro alla Scala e del Conservatorio "G. Verdi" di Milano.
La coreografia e la regia sono di Rudolf Nureyev e la
ripresa coreografica di Aleth Francillon.
La musica, di Pëtr Il'ič Čajkovskij,
è stata eseguita dall'Orchestra del Teatro alla Scala diretta da Kevin Rhodes.
I fiocchi di neve.
© Foto Marco Brescia/Teatro alla Scala
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Sono molte le versioni coreografiche de Lo schiaccianoci
perché molti coreografi vi si sono cimentati, dopo il lavoro iniziale di
Petipa-Ivanov,
commissionato da Ivan Aleksandrovič Vsevolojskij, direttore dei Teatri
Imperiali (la prima del balletto è datata 17 dicembre 1892).
Invece i testi letterari dai quali è stato tratto il
libretto sono soltanto due:
Schiaccianoci e il re dei topi di E. T. A. Hoffmann e Histoire d'un
casse-noisette di Alexandre Dumas padre.
I racconti dello scrittore e musicista tedesco divennero
noti nel mondo attraverso le traduzioni-adattamento francesi. Dunque Schiaccianoci
e il re dei topi giunse a Vsevolojskij filtrato (ovvero
"addomesticato", edulcorato) da Dumas, e in tale versione
Vsevolojskij lo "consegnò" a Marius Petipa commissionandogli il
balletto (e Petipa ingaggiò Čajkovskij). Insomma: gli inquietanti panni
hoffmanniani furono sciacquati in Dumas perché il racconto incluso nella
raccolta I confratelli di San Serapione era vicenda troppo complessa per
divenire senza mediazioni il libretto di un lavoro coreografico. Mentre infatti
è peculiare della danza contemporanea prendere spunto da tutto, nell'Ottocento
la necessità era quella di trarre libretti da vicende lineari. La scelta di
usare Dumas invece di Hoffmann poggiò anche sul fatto che l'Histoire d'un
casse-noisette si prestava a molti e spettacolari effetti che sarebbero
stati particolarmente graditi ai palati dell'epoca: giusto per portare due
esempi, la rutilante festa natalizia, rallegrata dalla presenza di molti
bambini, e la battaglia tra Schiaccianoci e il re dei topi.
Il
re dei topi.
© Foto Marco Brescia
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La versione coreografica nureyeviana propone ‑ è noto ‑
una lettura psicanalitica de Lo schiaccianoci. Aleth Francillon,
incaricata di allestire il balletto di Čajkovskij-Nureyev alla Scala, ha
sottolineato molto chiaramente questo aspetto. Siamo ‑ ha spiegato
durante l'incontro del 13 dicembre
2006 presso il Ridotto dei palchi "A. Toscanini" del Teatro scaligero
‑ di fronte alla storia di un abbandono dell'adolescenza per entrare
nell'età adulta: Clara lascia l'infanzia e va verso l'adolescenza; stadio,
quest'ultimo, che attraversa per ritrovarsi, infine, donna che ha conosciuto
l'amore (i tre stadi sono segnati da tre pas de deux). Ma a chi è
demandato il compito di accompagnare Clara lungo questo cammino? Anzi, prima
ancora, di farle trovare il cammino? A Drosselmeyer, il manipolatore dei sogni,
colui che pare quasi ipnotizzarla per poterle mostrare con agio la strada,
l'ambiguo deus ex machina
che ‑ all'uscita dalla casa di Clara, al termine del racconto ‑
insinua nello spettatore il dubbio se sia stato lui a plagiare Clara o se sia
stata di quest'ultima la scelta di percorrere la strada verso l'età adulta. Non
solo. Aleth Francillon ha fatto anche notare quanto, in questa lettura
psicanalitica nureyeviana, giochino un ruolo importante i familiari di Clara
intesi come controllo costante nei confronti della protagonista non ancora
emancipata. Questo perché i pipistrelli che popolano gli incubi della
ragazzina, alla fine altri non risultano essere che i membri della sua
famiglia; inoltre le danze spagnola, russa e dei nonni sono interpretate
rispettivamente dai quasi onnipresenti Fritz e Luisa (fratello e sorella di
Clara), genitori e nonni.
Sul recupero nureyeviano del significato da "studio
viennese di Freud" de Lo schiaccianoci, molto acutamente Elsa
Airoldi nota: "Se […] tutte le volte che può, Nureyev scalza la destinazione
infantile delle fiabe […] per trasformarle in momento di meditazione
dell'universo adulto, nel caso dello Schiaccianoci non gli servono
proprio giustificazioni di sorta." Elsa Airoldi rammenta poi l'avvincente
"gioco di sovrapposizioni e di rimandi": il brutto schiaccianoci che
diventa un bel principe, quest'ultimo che diventa il sinistro Drosselmeyer, una
Clara che sogna ma che è anche la protagonista del proprio sogno, i già citati
pipistrelli che sono la trasposizione fantastica dei familiari di Clara.
Inoltre l'indecifrabile Drosselmeyer appare, "agli occhi di Clara, ora
come punto di riferimento, ora come figura maschile terrorizzante, ora come
compagno di divertimento, ora come essere surreale, sfuggente,
indecifrabile."
Propongo, qui di seguito, i ritratti di Drosselmeyer
schizzati da E. T. A. Hoffmann e da Alexandre Dumas.
Da Schiaccianoci e il re dei topi di E. T. A.
Hoffmann (traduzione di Carlo Pinelli):
Il signor Drosselmeier, consigliere alla corte d'appello,
non poteva precisamente dirsi un bell'uomo: piccolo, magro, con molte rughe sul
viso e al posto dell'occhio destro un grosso cerotto nero; non aveva capelli ma
portava, invece, una bellissima parrucca bianca, una parrucca, pensate, di vetro:
un vero capolavoro. Non per nulla il padrino era un uomo molto ingegnoso; si
intendeva anche di orologi e ne fabbricava perfino qualcuno. Perciò quando una
delle belle pendole di casa Stahlbaum era malata e non poteva più cantare,
ecco, arrivava il padrino Drosselmeier: si toglieva la parrucca di vetro, la
giacchetta gialla, si infilava un grembiale azzurro e incominciava a stuzzicare
l'interno dell'orologio con i suoi ferretti aguzzi, ma senza fargli male, al
contrario, perché l'orologio tornava a vivere, riprendeva a ronzare, a fare
tic-tac, a cantare allegramente. E tutti erano contentissimi. Drosselmeier non
veniva mai senza avere in tasca qualche bella cosina per i bambini: un ometto
che girava gli occhi e faceva la riverenza (… a vederlo c'era da morir dal
ridere!…), una scatoletta da cui saltava fuori un uccellino o qualcos'altro del
genere. Ma per Natale fabbricava sempre certi giocattoli che erano veri
capolavori di meccanica e perciò, subito dopo la distribuzione dei doni sotto
l'albero, venivano presi in consegna e custoditi gelosamente dai genitori.
Da Histoire
d’un casse-noisette di Alexandre Dumas:
Parrain Drosselmayer, conseiller de médecine, n'était pas un
joli garçon le moins du monde, tant s'en faut. C'était un grand homme sec, de
cinq pieds huit pouces, qui se tenait fort voûté, ce qui faisait que, malgré
ses longues jambes, il pouvait ramasser son mouchoir, s'il tombait à terre,
presque sans se baisser. Il avait le visage ridé comme une pomme de reinette
sur laquelle a passé la gelée d'avril. À la place de son oeil droit était un grand emplâtre noir; il était
parfaitement chauve, inconvénient auquel il parait en portant une perruque
gazonnante et frisée, qui était un fort ingénieux morceau de sa composition
fait en verre filé; ce qui le forçait, par égard pour ce respectable
couvre-chef, de porter sans cesse son chapeau sous le bras. Au reste,
l'il qui lui restait était vif et brillant, et semblait faire non seulement sa
besogne, mais celle de son camarade absent, tant il roulait rapidement autour
d'une chambre dont parrain Drosselmayer désirait d'un seul regard embrasser
tous les détails, ou s'arrêtait fixement sur les gens dont il voulait connaître
les plus profondes pensées.
Or, le parrain
Drosselmayer qui, ainsi que nous l'avons dit, était conseiller de médecine, au
lieu de s'occuper, comme la plupart de ses confrères, à tuer correctement, et
selon les règles, les gens vivants, n'était préoccupé que de rendre, au
contraire, la vie aux choses mortes, c'est-à-dire qu'à force d'étudier le corps
des hommes et des animaux, il était arrivé à connaître tous les ressorts de la
machine, si bien qu'il fabriquait des hommes qui marchaient, qui saluaient, qui
faisaient des armes; des dames qui dansaient, qui jouaient du clavecin, de la
harpe et de la viole; des chiens qui couraient, qui rapportaient et qui
aboyaient; des oiseaux qui volaient, qui sautaient et qui chantaient; des
poissons qui nageaient et qui mangeaient. Enfin, il en était même venu à faire
prononcer aux poupées et aux polichinelles quelques mots peu compliqués, il est
vrai, comme papa, maman, dada; seulement, c'était d'une voix monotone et
criarde qui attristait, parce qu'on sentait bien que tout cela était le
résultat d'une combinaison automatique, et qu'une combinaison automatique n'est
toujours, à tout prendre, qu'une parodie des chefs-d'oeuvre du Seigneur.
Cependant, malgré toutes ces tentatives infructueuses,
parrain Drosselmayer ne désespérait point et disait fermement qu'il arriverait
un jour à faire de vrais hommes, de vraies femmes, de vrais chiens, de vrais
oiseaux et de vrais poissons. Il va sans dire que ses deux filleuls, auxquels
il avait promis ses premiers essais en ce genre, attendaient ce moment avec une
grande impatience.
Roberto Bolle e
Lisa-Maree Cullum.
© Foto Tamoni
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Per una volta vorrei cominciare a parlare della recita
scaligera partendo dalla fine anziché ‑ come si converrebbe ‑
dall'inizio. Partendo cioè dagli applausi nutriti ed insistenti al termine
della rappresentazione. Questo genere di applausi è stato indirizzato a tutti i
protagonisti, ma a Roberto Bolle sono state riservate ovazioni: quel Bolle dal
quale il pubblico sembrava proprio non volersi accomiatare. L'étoile, infatti,
ha saputo, ancora una volta, catturare l'attenzione ed evocare emozioni nella
platea: lui, l'ininquadrabile Drosselmeyer, che ha fatto la sua comparsa in
scena claudicando, quasi nascosto dietro un monocolo nero e sotto un parruccone
grigio
ed un lungo cappotto, ma che poi si è liberato delle pastoie della deformità
per vestire i panni d'un prince charmant i cui gesti ampi e perfetti
hanno conquistato il cuore di Clara, rassicurandola sulla natura delle sue
paure (non possiamo non ricordare, ad esempio, il tenero confidarsi-affidarsi
della protagonista a lui e il sollecito ‑ da parte del principe ‑
tranquillizzare Clara sull'entità dei pipistrelli).
Lisa-Maree Cullum, étoile del Bayerische Staatsballett di
Monaco, è stata degna la partner di Roberto Bolle. Di Clara ella ha
sottolineato sia lo stupore alla scoperta dei turbamenti adolescenziali e delle
paure legate all'entrata nell'età adulta, sia la dedizione di cui sono capaci
le bambine dell'età di Clara quando si vedono investite di una missione.
Leggiamo infatti Hoffmann, sul cui racconto poggia soprattutto la versione
nureyeviana: "il padrino Drosselmeier, col suo enigmatico sorriso, prese
in grembo la piccola [Maria]
e le disse più teneramente del solito: ‑ Eh, sì, cara la mia Maria: a te
è stato dato più che a noi tutti […] ma ti toccherà soffrire molto se vorrai
continuare a proteggere quel povero schiaccianoci deforme, perché il re dei
topi lo perseguiterà senza dargli quartiere. Non io, carina, tu sola potrai
salvarlo: tieni duro e siigli fedele. ‑ "
Veniamo ora agli altri protagonisti della recita del 21
dicembre.
Le danze esotiche hanno offerto al pubblico l'opportunità di
vedere primi ballerini, solisti e membri del corpo di ballo scaligero impegnati
nei famosissimi pezzi di colore del già colorato (e perciò stesso ‑ ma
non solo per questo ‑ amato da Ivan Aleksandrovič Vsevolojskij)
balletto.
Il pubblico milanese si è potuto godere, nella danza araba,
una Marta Romagna in perfetta forma e sintonia con Riccardo Massimi. La prima
ballerina scaligera ha improntato il proprio ruolo ad una sensualità mai
esagerata ma, direi, filtrata da una cortina leggermente eterizzante.
Altra coppia degna di nota è stata quella formata da
Antonino Sutera e da Emanuela Montanari, sia interpreti della danza spagnola,
sia vestiti dei panni rispettivamente di Fritz e di Luisa. Il ruolo di Fritz
pare molto calzante a Sutera, che ha sottolineato assai bene il carattere
monellesco e dispettoso del fratello di Clara.
Roberto
Bolle e Lisa-Maree Cullum.
© Foto Tamoni
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La brava coppia solista del trepak russo è stata
quella di Laura Caccialanza e di Gianni Ghisleni.
Nella danza pastorale un calibrato Mick Zeni è stato
affiancato da Deborah Gismondi e da Lara Montanaro.
La danza cinese è stata invece interpretata dal vivace e
terso trinomio Maxime Thomas, Maurizio Licitra e Salvo Perdichizzi.
A latere di queste mie citazioni delle danze esotiche,
voglio ricordare anche le due ballerine soliste Sophie Sarrote e Deborah
Gismondi come fiocchi di neve e Piera Pedretti e Vittorio D'Amato nella gustosa
danza dei nonni.
Infine un plauso agli allievi della Scuola di Ballo
dell'Accademia, disciplinati ma così vivaci nelle loro interpretazioni da aver
saputo rendere ‑ come da tradizione che si rispetti ‑ Lo
schiaccianoci una vera fonte di gioia anche per i bambini.
Alcuni tra i giovani e i giovanissimi ballettomani da me
sentiti hanno dichiarato che il miglior modo che ha un teatro di festeggiare il
Natale è sicuramente quello di dare un "bel balletto": ma non c'è
balletto più adatto a rappresentare il Natale de Lo schiaccianoci, i cui
colori e la cui atmosfera sanno dare ‑ mi hanno spiegato ‑ "un'emozione infinita".