Alberto Burri: la sezione aurea dei Cellotex
Museo Fondazione Luciana Matalon, Milano ‑ 30
novembre 2006
Alberto Burri in mostra a Milano. 1
"Da che parte si
comincia?" La fruizione dei Cellotex 1
"Finiamola, una buona
volta!" Il catalogo della mostra. 2
"È medico, quel pittore."
Note biografiche di Alberto Burri 2
Cellotex rosso e nero (bozzetto per manifesto
Barcellona), 1991. Acrilico su cellotex, cm 74x104x4
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Al Museo Fondazione Luciana Matalon di Milano sono approdati
i Cellotex di Alberto Burri, che faranno mostra di sé fino al 31 gennaio
2007.
L'evento è stato promosso in collaborazione con la
Fondazione Palazzo Albizzini "Collezione Burri" di Città di Castello;
ha ottenuto il patrocinio della Regione Lombardia, della Provincia di Milano e
del Comune di Milano; ha ottenuto inoltre il contributo di Banca Antonveneta.
La mostra è divisa in due sezioni comprendenti dieci Cellotex
degli anni Settanta-Novanta (fra essi il bozzetto utilizzato dalla filatelia
delle poste francesi per la realizzazione di un francobollo commemorativo) e
una serie limitata di dieci Multiplex del 1981.
Si tratta di un'utile occasione per accostarsi alla poetica
burriana, anche grazie all'ausilio del catalogo che comprende scritti di
Luciana Matalon, di Floriano De Santi e di Italo Tomassoni.
Come ci si può porre di fronte ai Cellotex (e ai Multiplex)
del medico-pittore di Città di Castello, in mostra a Milano? In diversi modi,
naturalmente. Sia perché ogni individuo è un mondo emozionale ed intellettuale
a sé sia perché l'opera d'arte, una volta nata, vive la propria vita, a volte
percorrendo molta strada lontano dal suo creatore.
Il modo che ho deciso di adottare per fruire la mostra è
forse il più ovvio: ho voluto riandare all'operazione compiuta da Burri, il
quale desidera confrontarsi empaticamente con la materia usata ‑ e a
volte lasciatasi alle spalle ‑ dall'uomo durante il proprio cammino
industriale. Confrontarsi, cioè, con le "tracce di accrescimento" di
rathjeiana memoria, con i "documenti materiali" che l'uomo lascia e
ai quali, per altri scopi, si è interessata anche la sociologia. In
un'espressione: con la materia-traccia della storia collettiva.
È il materiale usato per scopi industriali, dunque, ciò che
ha attratto l'attenzione di Burri: il cellotex, per non fare che un esempio, è
un tavolato composto di segatura e di colla. Ma, antecedentemente, Burri si è
confrontato con altre "tracce" rathjeiane, lavorando per aree
tematiche materiche: i "Catrami", le "Muffe", i
"Gobbi", i "Sacchi", i "Legni", i
"Ferri", le "Combustioni", i "Cretti". Ha voluto
cioè contattare, studiare, amare, martoriare, piegare la materia ai propri
voleri ma forse, prima ancora, piegarsi ai voleri di quella, in un umano
rivisitare il proprio cammino.
Cellotex, 1979. Acrilico, vinavil su cellotex
applicato su compensato, cm 91x127,5x5
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Ha saputo dunque assecondare le inclinazioni della materia
(penso ai "Sacchi" non artatamente rotti ma trovati rotti);
raccontare alla materia l'identità che essa stessa avrebbe potuto assumere
(penso al Grande Cretto di Gibellina, opera d'arte ambientale che è
operazione di Memento per eccellenza); creare la materia in metamorfiche
operazioni dove il colore è ‑ di volta in volta ‑ deflorazione (Sacco
e rosso del 1954), eleganza serale (Nero cellotex del 1978),
sabbiosa meditazione (Cellotex P 8 del 1984).
Insomma, Alberto Burri ha fatto assurgere la materia-traccia
ad Arte, perciò stesso consacrandola ufficialmente come Storia. Perché che
cos'è l'arte se non il punto d'intersezione del sublime che alberga nell'uomo e
del cammino storico di questi, in un'estetica realistica che nulla vuole avere
a che spartire con l'arte per l'arte?
Presso il Museo Fondazione Luciana Matalon è disponibile il
catalogo della mostra, interamente a colori, che riproduce tutte le opere
burriane esposte. L'introduzione ("La tempesta spirituale di Alberto
Burri") è di Luciana Matalon e di Floriano De Santi, mentre il saggio
critico portante ("Alberto Burri: la sezione aurea dei Cellotex") è
di Italo Tomassoni. Completa il catalogo una biografia del pittore.
Provocatoriamente Tomassoni inizia così il suo saggio:
Non voglio scrivere un'ennesima interpretazione dell'opera
di Alberto Burri. […] Descriverò […] scrivendo, piuttosto, contro
l'interpretazione.
E continua…
Essere contro l'interpretazione significa […] restituire
all'opera d'arte il suo primato sulla chiacchiera, il suo diritto al segreto
rispetto alla divulgazione. […] Significa […] finirla una buona volta con le
nevrosi di un'idea gerarchica male assimilata e ancor peggio amministrata,
secondo la quale l'opera di Burri troverebbe la sua aureola sacramentale nel
vertice dei "Sacchi", riducendo o smarrendo ogni crisma eucaristico
nelle opere successive.
… lanciando in tal modo il guanto della sfida al visitatore
che giunge con frusti preconcetti sul luogo della mostra burriana.
Alberto
Burri nacque a Città di Castello, in Umbria, il 12 marzo 1915 e morì a Nizza il
13 febbraio 1995.
Si
laureò in medicina nel 1940. Si arruolò come ufficiale medico e fu fatto
prigioniero a Tunisi dagli inglesi nel 1943. L’anno successivo venne trasferito
dagli americani in un campo di prigionia a Hereford, in Texas. Qui iniziò a
dipingere. Tornato in Italia, nel 1946, decide di abbandonare definitivamente
la medicina per dedicarsi soltanto alla pittura.
Cellotex,
(bozzetto per francobollo poste francesi), 1991. Acrilico su cellotex, cm
73x103,4x4
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Stabilitosi
a Roma approfondì i propri interessi artistici. La prima personale di paesaggi
espressionisti e di nature morte fu allestita nel 1947. Fu nell'anno seguente
che cominciò a creare le prime astrazioni in pezzi materici.
Nel
1951, assieme ad Ettore Colla, a Mario Ballocco e a Giuseppe Capogrossi, Burri
partecipò alla fondazione del gruppo "Origine", orientato alla
ricerca sperimentale nella pittura non figurativa.
Dal
1953 cominciò ad esporre all'estero.
Interessato
alla materia e alle sue metamorfiche trasformazioni, Burri iniziò a creare
diversi "cicli" avvalendosi di volta in volta di juta, legno, ferro,
plastica. Non sempre generose, di fronte all'utilizzazione di pezzi di juta
rattoppati e rammendati o di stoffe rotte, furono le reazioni della critica,
che si concretarono persino in denunce per aver introdotto “stracci sporchi e
altro materiale anti-igienico” in uno spazio ‑ quello del quadro ‑
considerato sacrale dall'allora vigente concezione dell'arte.
Nel
1978 fu dalla volontà di Burri che nacque la Fondazione Palazzo Albizzini
"Collezione Burri" che si avvale attualmente di due sedi espositive:
Palazzo Albizzini (edificio della seconda metà del XV secolo) e gli ex seccatoi
del tabacco (complesso industriale sorto tra la fine degli anni '50 e la metà
degli anni '60 per l'essiccazione del tabacco tropicale).
Nel
1979 la Cassa di Risparmio di Città di Castello acquistò Palazzo Albizzini, di
cui promosse il restauro, terminato nel 1981. Il Palazzo venne poi consegnato
in comodato gratuito novantanovennale alla Fondazione Palazzo Albizzini
"Collezione Burri".
La
collezione delle opere di Burri presso il palazzo, aperta al pubblico nel 1981,
conta circa centotrenta opere del periodi compreso tra il 1948 e il 1989,
ordinate cronologicamente in venti sale. La collezione presso gli ex seccatoi
del tabacco, inaugurata nel 1990, ospita 128 opere del periodo 1970-1993.