Intervista a Dario Mariani del Museo mineralogico e paleontologico "La
Miniera" di Desio (Milano)
18 luglio 2006
Mio padre, collezionista di
minerali e di fossili 1
La sede de "La Miniera" di
Pio Mariani 2
Intervista a Dario Mariani, attuale
titolare de "La Miniera" 2
Minerali luminescenti della collezione di Valerio
Chiappani.
Foto
Alexandre Rodichevski
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"Se una parola termina in '-ite', o è una malattia o è
un minerale." Ecco la battuta su solida base linguistica che girava in
famiglia. Fu coniata da mia madre perché mio padre Valerio era un collezionista
di minerali e di fossili. Mi divertivo, allora scolaretta delle elementari, ad
elencare mentalmente quanti più nomi riuscissi, e di malattie e di minerali:
appendicite, otite, epatite, laringite, malachite, pirite, azzurrite, fluorite…
E a proposito della verità che se sono minerali i loro nomi spesso terminano in
"-ite", rammento un oggetto simpaticamente scherzoso, visto una volta
in un negozio, dove veniva usato come soprammobile: un piccolo blocco di
materiale artificiale color aragosta, denso di puntini luccicanti, posto su una
base lignea che recava il nome del minerale: bidonite.
Da bambina qualche volta accompagnavo mio padre nelle escursioni organizzate con lo scopo di
trovare pezzi da aggiungere alla ricca collezione. Ricordo ad esempio i piccoli
quarzi del Selvino, che si raccoglievano semplicemente grattando la terra e i
pecten con o senza balani che scoprimmo in Provenza. Ancora: i vermi limivori
di Alassio, le ammoniti del Buco del Piombo, il quarzo Morione di Baveno.
Geode della collezione
di Valerio Chiappani
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Durante i suoi inizi mio padre organizzò spesso escursioni
con Pio Mariani ‑ il futuro fondatore del Museo mineralogico e
paleontologico "La Miniera" di Desio (Milano) ‑ con il quale
condivideva la grande passione: entrambi partivano la mattina per tempo con una
lambretta e con lo zaino in spalla, tornando poi in giornata. Da Mariani
ricevevamo a volte cartoline, spediteci dalle escursioni nelle quali non si
accompagnava a mio padre. Ne rammento una in particolare, per il tramite della
quale inviò dal Piano della Mussa simpatici "saluti di granati".
Quindi minerali e fossili erano di casa, con il relativo
corredo di martelli, mazze, scalpelli, punte e persino di un trapano da
dentista per isolare le turritelle, "incastonate" in rocce
particolarmente dure e che si sarebbero rotte se fossero stati impiegati
semplicemente martello e scalpello. Mio padre possedeva poi alcune lampade di
Wood (a raggi lunghi e a raggi corti) per esaltare i minerali luminescenti. E non mancavano ‑
è naturale ‑ i libri: dalle dispense di mineralogia ai manuali di
chimica, dai libri divulgativi alle riviste scientifiche, dai saggi di geologia
a quelli di paleontologia.
Mio padre mancò nel 1983. La sua collezione è ancora tutta
lì, ovviamente, anche se io non ho continuato la sua strada, spaziando ‑
i miei interessi ‑ nell'area artistica e umanistica.
Quando, ormai mezzo secolo fa, Pio Mariani fondò il Museo
"La Miniera" (con annessi laboratorio per la lavorazione delle pietre
dure, gioielleria, bigiotteria e punto vendita di minerali e fossili), mio
padre ne divenne frequentatore abituale e anch'io andai più volte a visitarlo.
Vi portammo pure parecchi amici, parenti e conoscenti che si interessavano alla
materia o che ‑ semplicemente ‑ desideravano lasciarsi cogliere
dagli aspetti estetici dei minerali: in entrambi i casi i visitatori non sono
mai rimasti delusi.
Pio Mariani fu stroncato da un infarto nel 1987 e nella
gestione de "La Miniera" subentrò il figlio Dario. Il quale,
peraltro, già da tempo affiancava il padre nell'attività.
Dopo la morte di mio padre mi sono recata soltanto una volta
a "La Miniera" per accompagnare in visita un fisico di passaggio a
Desio. Eppure in questi ultimi mesi ho desiderato tornarvi, soprattutto per
fare una chiacchierata con l'attuale titolare. Ho perciò colto l'occasione di
un raro pomeriggio libero per prendere appuntamento con Dario Mariani.
La sede de "La Miniera".
Foto Gloria Chiappani Rodichevski
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"La
Miniera" si trova a Desio (Milano), in un ambiente in cui il visitatore si
sente a proprio agio, lasciandosi cogliere dal fascino storico ed
architettonico del luogo. Essa è infatti ospitata presso due edifici d'indiscusso
richiamo: un ex convento francescano del XIII secolo e una torre in stile
neogotico, progettata nel XIX secolo da Pelagio Palagi.
Passando
di proprietario in proprietario il complesso subì un profondo degrado fino agli
anni Settanta, epoca dell'acquisto e del restauro da parte di Pio Mariani, che
scongiurò in tal modo il pericolo imminente d'un crollo.
Il convento francescano
Il
convento ‑ sappiamo dai suoi primi documenti risalenti alla fine del
Duecento ‑ ospitava una piccola comunità di frati minori conventuali.
La Torre del Palagi.
Foto Alexandre Rodichevski
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Il 26
maggio 1777 fu emanato un decreto imperiale che prevedeva la soppressione del
convento a causa delle sue ridotte dimensioni: esso fu perciò sconsacrato il 10
novembre dello stesso anno, messo all'asta ed acquistato dal marchese
Ferdinando Cusani che aveva affidato in quegli anni al Piermarini l'incarico di
ridisegnare la propria residenza di Desio.
Il
convento venne trasformato in corte colonica e subì un notevole degrado.
La Torre del Palagi
Fu
verso la metà del XIX secolo che Giovanni Battista Traversi, proprietario della
residenza desiana dopo Ferdinando Cusani, decise di trasformare e di ampliare
la propria villa secondo i nuovi gusti del secolo. Diede perciò incarico
all'architetto bolognese Pelagio Palagi il quale, appoggiandosi alle strutture
dell'antico convento, progettò una grande torre in stile neogotico che si
sarebbe poi dovuta congiungere ad altri edifici, fino a formare un complesso
unitario.
Di
notevole importanza fu anche la realizzazione del grandioso parco all'inglese
che divenne in breve tempo uno dei più rinomati e che è ora aperto al pubblico.
Giungo presso la sede del Museo mineralogico e
paleontologico dove il titolare mi accoglie e mi fa strada verso il suo
ufficio.
Ci accomodiamo e cominciamo a conversare. Dario Mariani è
cordiale e ride volentieri quando ci scambiamo alcuni aneddoti. Entriamo subito
in sintonia, forse grazie ai nostri trascorsi (anzi: ai miei trascorsi e ai
suoi attuali) mineralogico-paleontologici.
Un tempo muoversi per cercare minerali e fossili era desueto;
poi divenne una moda, con tutto ciò che di negativo le mode comportano; e anche
la moda passò. Oggigiorno che cosa significa collezionare minerali e fossili?
La Torre del Palagi
vista dal parco.
Foto Alexandre Rodichevski
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Dice bene. Un tempo se qualcuno, in montagna, incappava in
un minerale o in un fossile non se ne curava perché non sapeva neppure di che
cosa si trattasse. Si figuri che la prima mostra allestita da mio padre nei
locali della Villa Tittoni venne scambiata per un'esposizione di blocchi di vernice!
Poi, sì, c'è stata la moda che ha portato ‑ in Italia ‑ allo
svuotamento di cave e di miniere che, perciò, sono state chiuse (noi ormai
acquistiamo all'estero dove esistono aziende dedicate alla vendita di minerali
che contano anche 5000 dipendenti: la settimana prossima mi recherò in Brasile,
ad esempio). Le nuove generazioni collezionano poco, però si danno alla
cristalloterapia. C'è stato dunque uno spostamento nell'acquisto-collezione di
minerali.
In termini di percentuali?
Attribuirei il 50% al collezionismo puro e il 50% alla
cristalloterapia.
Quali sono i cristalli usati in questo tipo di terapia?
Quasi tutti i tipi e ogni autore dice la sua ritenendo che
per curare il tal disturbo è più indicato questo o quel cristallo.
Come funziona la cristalloterapia?
Non ho alcuna specializzazione in materia. Per sommi capi:
esistono sette chakra che corrispondono a sette centri di energia del nostro
corpo. Su ogni punto da curare si pone un minerale che ha lo stesso colore del
chakra.
Quindi, nel vostro punto vendita, fornite anche minerali per
la cristalloterapia?
Forniamo solo minerali ma non diamo alcun tipo di
assistenza. Al più il minerale viene corredato da una spiegazione sulle sue
proprietà curative, tratta da qualche pubblicazione specializzata.
Che tipo di utenti frequenta il museo?
Il nostro museo è visitato da scolaresche, gruppi di
appassionati, associazioni culturali, Università della Terza età. Anche i
clienti del punto vendita sono molti e provengono un po' da tutta Italia e
dall'estero: si tratta sia di privati sia di negozi, visto che fungiamo, per
questi ultimi, da grossisti.
Senta, come siete giunti in questa sede affascinante?
Il complesso architettonico è stato acquistato negli anni
Settanta dai missionari Saveriani e da alcuni privati. Non le nascondo che
abbiamo passato una decina d'anni di crisi. Abbiamo infatti intrapreso il
restauro, forti del fatto che avremmo avuto un finanziamento statale
corrispondente al 20% delle spese. Finanziamento che però non arrivò mai.
Inoltre era l'epoca della diossina e solo per il fatto che Desio si trovava
nella zona interessata dalla nube tossica, la gente non veniva più a visitarci.
Perdemmo il 50% della clientela.
Il museo è fruibile tramite visite guidate?
Me ne occupo personalmente quando sono in sede: consiglio
perciò una prenotazione. Il museo, ad ogni modo, è autoesplicativo grazie ai
cartellini posti accanto ai pezzi esposti.
E quali pezzi sono esposti?
Alcuni minerali del museo.
Foto Gloria
Chiappani Rodichevski
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Ci sono anche i primi pezzi trovati da mio padre! Era
bambino quando rinvenne a San Giorgio, una frazione di Desio, due calcari
policromi con banda di calcite. Ovviamente non sapeva di che cosa si trattasse:
venne attratto dalla bellezza dei pezzi. Fu amore a prima vista. Mio padre
lavorava presso l'Azienda del gas desiana: quindi quello che fu, dapprima, solo
un passatempo, successivamente si trasformò nella sua attività principale,
tanto da fargli fondare un museo e l'azienda.
Oltre a quei primi pezzi, il museo conserva un vasto
assortimento di reperti fossili e di minerali provenienti da tutto il mondo:
questo lo rende unico in Italia.
Qualche esempio?
Ci sono campioni che indubbiamente, per qualità e per
dimensioni, rivestono un'importanza a livello europeo e addirittura mondiale: i
demantoidi della Val Malenco e un geode con quarzo ametistino di 16 quintali e
m 1,50x1,50 di dimensioni.
Il pezzo più vecchio tra quelli del museo?
Trilobiti di 5-600 milioni di anni.
Mi racconta un Suo desiderio?
Avere un laboratorio d'analisi dei minerali.
Per fare ricerca?
No, per poter fornire a chi chiede un minerale, il pezzo
corredato della sua analisi. La classificazione è affascinante.
Senta, c'è chi predilige i minerali ai fossili e chi
viceversa. Lei?
Prediligo decisamente i fossili. Ci sono pesci dove è
possibile vedere gli organi interni. Pensi ad alcuni pesci degli strati
fossiliferi del Liaoning: si possono seguire le loro anse intestinali.
Addirittura ci sono uccelli fossilizzati in modo così perfetto che è visibile
una massa scura che un tempo fu il piumaggio.
Diciamo che i fossili ci raccontano la nostra vita, mentre i
minerali intrigano per i loro colori e le loro forme.
Alcune
vetrine del museo.
Foto Gloria Chiappani Rodichevski
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Certo, anche i minerali sono splendidi: i loro colori sono
sempre in armonia, non li si trova mai accostati a caso. E anche quando pare un
accostamento azzardato, se lei nota esiste una precisa logica estetica.
Di quanti addetti è composta la vostra azienda?
Tredici, inclusi gli amministrativi, gli addetti al taglio
dei minerali e alla costruzione dei gioielli e le addette alla vendita.
Vogliamo concludere regalando un aneddoto curioso ai lettori
di questa intervista?
Sì: una cosa che capitò sia a mio padre sia a me. Venne un
giorno un signore chiedendoci da che parte si entrasse in miniera…
Non si era, cioè, reso conto che il nome del museo era
metaforico?
Esatto. Ma quando capitò a mio padre, la cosa fu davvero
pittoresca perché il visitatore si presentò perfettamente attrezzato per la
discesa nelle profondità della terra!